Parte seconda - Capitolo 1 /3
Salutò l’infermiera con un’ultima richiesta: che gli fosse messo a disposizione un album da disegno e una matita a grafite o carboncino. Poi, rimasto solo, si guardò attorno in cerca della radio nominata dalla donna, ma non ne vide traccia nella stanza. A sua disposizione aveva solo il dannato libro sulla storia di Dunwich che qualcuno, chissà chi e perché, aveva sostituito all’altro che gli era stato portato il giorno prima. A meno che quell’idea della sostituzione non fosse stata davvero un parto della sua fantasia, come sosteneva la nurse, che adesso aveva scoperto chiamarsi Wilkins… un possibile postumo dell’esperienza allucinatoria che aveva vissuto in spiaggia due settimane prima. Due settimane, un tempo abbastanza lungo perché qualcuno fosse in ansia per la sua sparizione. E se, come sembrava, le autorità inglesi erano al corrente della sua identità, dovevano pure essersi messi in contatto con qualcuno all’ambasciata, che a sua volta doveva essersi data da fare a rintracciare i suoi parenti più stretti in Italia. Perché allora non si faceva ancora vivo nessuno?
Massimo non poteva rendersene conto, ma il crescente numero di domande che si poneva quel mattino altro non era che il risultato del progressivo recupero delle sue ordinarie facoltà mentali, oltre che del graduale riallineamento dei contenuti emozionali e intellettuali della sua persona, che per due interi giorni avevano vagato in ordine sparso e dissociati tra loro. In un certo senso, era come se il suo organismo si stesse riprendendo dai postumi di una gigantesca sbornia. Si sentiva del tutto pronto, e determinato, ad affrontare il medico a viso aperto stavolta, anche se avrebbe continuato a guardarsi, per il momento, dal rivelare che aveva alle spalle un corso di infermieristica ed era nelle sue intenzioni diventare presto lui stesso un collega di Miss Wilkins e dell’affascinante Paula Susi, rientrata in anticipo dalle ferie, il giorno prima, all’insaputa della collega.
Il dottore arrivò come previsto di lì a poco, armato di sfigmomanometro e fonendoscopio. Dopo una visita abbastanza accurata, concluse che era tutto nella norma.
<Vuol dire che sono finalmente pronto per un viaggetto dalle parti di Scotland Yard?> gli chiese Massimo, con un tono di voce e una scelta di parole che il suo interlocutore giudicò poco appropriati alla situazione.
<La trova davvero una prospettiva così divertente?>.
No, Massimo non la trovava in alcun modo una prospettiva divertente, bensì un’enorme scocciatura. Però gli premeva raggiungere al più presto Londra, per due motivi: primo, avrebbe compiuto una mossa di avvicinamento all’Italia, secondo, e di conseguenza, si sarebbe allontanato da Dunwich, un posto di cui voleva dimenticarsi l’esistenza il prima possibile.
<Posso farle un paio di domande, dottore, prima che se ne vada?>.
Il medico annuì.
<Come siete risaliti alla mia identità? E immagino abbiate cercato di contattare qualcuno in Italia che mi conosce?>
L’altro aveva l’aria di aspettarsi entrambe le domande e rispose senza esitazioni. <Alla sua identità è risalita la polizia, grazie all’unica macchina con targa italiana parcheggiata nei dintorni della spiaggia. E so che alcuni suoi parenti sono tenuti costantemente informati sul suo stato di salute>.
<Quindi sanno che mi sono risvegliato?>.
<Immagino di sì. Ma credo siano stati anche avvertiti della necessità di preservavi per alcuni giorni da un sovraccarico di emozioni>.
Massimo scosse la testa, incredulo. <Sovraccarico di emozioni? Cos’è, uno scherzo?>.
Il medico non rispose, ma la sua espressione grave allarmò non poco il giovane, che all’improvviso ebbe un sospetto.
<Ha a che fare con il mio amico Maurizio, vero? Il ragazzo che ha viaggiato con me…>.
Di nuovo, il medico non rispose. Rimise a posto i suoi strumenti, lo salutò consigliandogli di riposare ancora almeno fino alla sua prossima visita, nel pomeriggio, e lasciò la stanza.