Guardo Rembrandt e vivo un grande senso di pace. Quando guardo Rodin, il sangue comincia a correre, la testa mi comincia a pulsare. Se osservo Whistler non sono più in grado di respirare a fondo. Per parafrasare Max Liebermann: Guardare Rembrandt mi fa venir voglia di dipingere. Guardare Whistler mi fa venir voglia di smettere.(Jeffrey Jones, The Studio, 1979)
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Jeffrey Jones nasce ad Atlanta, nello stato americano della Georgia, il 10 gennaio 1944 “in un’immensa casa di pietra circondata di magnolie e velata di edera”. È la casa dei nonni materni, dove trascorre la prima parte dell’infanzia insieme alla madre, ai nonni, alla bisnonna e a una prozia cieca che abita una stanza al piano terra dell’edificio. Suo padre è oltreoceano, a combattere i tedeschi. Tornerà a casa solo nel 1947 e Jeffrey lo vede per la prima volta all’età di tre anni. E capisce che davanti a lui sarà sempre senza difese.
Un passo di A Recollecting Remembrance:
Un passo di A Recollecting Remembrance:
— La mia vita esemplifica la storia di ragazzi e uomini nel corso dei millenni: ragazzi picchiati dai loro padri, ragazzi la cui capacità di amare e avere fiducia è stata soffocata quasi alla nascita. Uomini la cui massima speranza di contatto con gli altri esseri umani risiede nel distacco, come se la vita fosse già finita. In compenso è così che ci impediamo di distruggere i nostri figli e terrorizzare le donne che hanno la disgrazia di amarci, è così che ci separiamo dalla tradizione della violenza maschile, è così che ci preserviamo dalla seduzione della vendetta. ___ AFFLIZIONE
Tre anni dopo, all’età di sei anni, il piccolo Jeffrey ha il suo colpo di fulmine con i fumetti, alla vista, nel raccoglitore di un emporio, di un albo 3D con dentro una storia di Tor di Joe Kubert.
All’improvviso seppi che volevo disegnare fumetti, creare eroi (forse per proteggermi dai miei genitori e dagli altri bulli del circondario). Crescevo, disegnavo, studiavo storia dell’arte e vedevo di quali visioni i pittori erano stati capaci. Adesso volevo dipingere (per proteggermi dai bulli nella vita).
Ma il giovane Jeffrey ha un'altra grande passione che porta avanti insieme a quella per il disegno e che sembra dapprima destinata a prendere il sopravvento: la passione per la scienza. Da adolescente si dedica alla ricerca di minerali e allestisce un laboratorio di chimica nello scantinato di casa, dove sperimenta con il propellente per razzi. Al momento di iscriversi all'università sceglie Geologia e dopo la laurea ha una mezza idea di continuare gli studi con una specializzazione in Fisica. E' il 1966, lo stesso anno in cui si sposa con una ragazza di nome Mary Louise Alexander, incontrata proprio al college e destinata a diventare a sua volta una nota autrice di fumetti.
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Jeffrey Catherine Jones, Atlanta |
Eppure non passano che pochi mesi - siamo nel febbraio 1967 - e lo ritroviamo che vaga nelle strade innevate di New York City, guidato da prospettive di tutt'altro genere. Sono il mese e l'anno della "tempesta perfetta" e il giovane Jeffrey Jones è alla ricerca di un'occupazione come disegnatore di fumetti o illustratore e di una casa dove trasferirsi con la moglie, che è in attesa di un figlio. Così rievoca quei giorni nelle pagine di The Studio:
Dovevo tornare al mio alloggio di fortuna a intervalli di un'ora per mettere a riscaldare nel forno le scarpe bagnate e gelate – poi tornavo in strada. Dopo diversi giorni trovai un monolocale minuscolo, non ventilato, nell’Upper West Side. I paraggi potevano essere descritti al meglio come una New York medievale. Chiamai Atlanta e dissi a mia moglie che non dovevamo farlo per forza se lei non se la sentiva. Abitammo in quel locale per un anno e mezzo e le sono grato di questo.
Per fortuna trovare lavoro non si presenta come un'impresa altrettanto difficile. Al pari di molti dei suoi futuri colleghi e amici, aveva iniziato con il far apparire i suoi lavori sulle fanzine, le piccole riviste amatoriali autoprodotte, ma deve anche avere con sé un portfolio molto convincente se è vero che trova le porte aperte un po' ovunque, alla King (in Mandrake The Magician e in The Phantom) e alla Warren (in Creepy e Eerie) per esempio.
Nell'agosto del 1967 James Warren pubblica su Creepy #16 Angel of Doom, disegnata da Jones su testi di Archie Goodwin. E' il primo lavoro dell'artista a vedere la luce su una testata professionale, ma niente lo stesso di cui andare troppo fiero in futuro, visto che di quella particolare storia Jones arriverà a dire che è disegnata talmente male che in una delle vignette è perfino impossibile dire se il protagonista sia visto di fronte o di schiena.
Ai piani alti della casa editrice sembrano tuttavia pensarla diversamente e Angel of Doom finirà ristampata sulla stessa Creepy appena due anni dopo, nel periodo della grave crisi editoriale del gruppo Warren (vedi questo post su Berni Wrightson per maggiori dettagli). Nel frattempo Jeffrey Jones, che all'epoca firmava tutti i suoi lavori a fumetti come Jeff Jones, aveva avuto modo di impreziosire con i suoi disegni altri tre albi della Warren Publishing (Eerie #11, 12 e 15) prima di considerare più saggio traghettarsi altrove.
Ai piani alti della casa editrice sembrano tuttavia pensarla diversamente e Angel of Doom finirà ristampata sulla stessa Creepy appena due anni dopo, nel periodo della grave crisi editoriale del gruppo Warren (vedi questo post su Berni Wrightson per maggiori dettagli). Nel frattempo Jeffrey Jones, che all'epoca firmava tutti i suoi lavori a fumetti come Jeff Jones, aveva avuto modo di impreziosire con i suoi disegni altri tre albi della Warren Publishing (Eerie #11, 12 e 15) prima di considerare più saggio traghettarsi altrove.
Ma non è ancora tutto. Jeffrey Jones, che non voleva lasciare nulla di intentato, aveva pensato di proporsi anche nelle vesti di illustratore oltre che di disegnatore di fumetti. E bussa con altrettanto successo alla porta della ACE Books. Per la ACE lavora, tra gli altri, Roy Krenkel, uno dei più famosi illustratori di genere fantastico dell'epoca, che è oberato di lavoro e spesso costretto a delegare ai migliori tra i suoi amici colleghi il compito di rifinire le sue opere: Grey Morrow, Frank Frazetta e, da quel momento in poi, lo stesso Jones. Ma a dispetto di una vasta produzione, comprendente oltre centocinquanta immagini di copertina realizzate nell'arco di un decennio - tra le quali spiccano per numero quelle per le opere di Lin Carter, Gardner F. Fox, Robert E. Howard, Fritz Leiber, Jack Vance - quello di Jones con l'illustrazione non sarà un rapporto dei più felici. Il che spiega ampiamente perché oltre la metà di tali copertine si collochi negli anni 1968 e 1969, in un periodo cioè in cui lui era ancora costretto dalle necessità economiche a sacrificare gran parte delle sue ambizioni artistiche.
Ecco cosa scrive al riguardo in A Recollecting Remembrance:
Ecco cosa scrive al riguardo in A Recollecting Remembrance:
I fumetti per me sono "vera arte". La combinazione di immagini e letteratura è un vero e proprio ambito ancora in gran parte inesplorato. La sola altra combinazione di immagini e parole disponibile in quegli anni era l'illustrazione, che sono però presto arrivato a considerare nei termini di qualcosa di immorale (nonostante io fossi un illustratore part-time).
Perché immorale? Perché, aveva precisato in una precedente intervista, l'illustrazione inibisce il lettore nell'elaborazione della sua personale trasposizione visiva della pagina scritta. Critica che non si applica al fumetto, dove testo e immagine nascono e si sviluppano insieme all'interno di una struttura che li comprende entrambi in maniera inscindibile. Non è un dettaglio da poco, questo, poiché colloca in un certo qual modo a parte Jeffrey Catherine Jones rispetto ai suoi colleghi di The Studio - Kaluta e Wrightson in particolare - che viceversa dimostrano di trovarsi del tutto a loro agio con l'illustrazione.
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Le citazioni nel testo sono da: Jeffrey Catherine Jones, A Recollecting Remembrance (1997-2003) e da: The Studio (a cura di J.S.; Dragon's Dream, 1979)
L'immagine in alto sotto il titolo è: Jeffrey Catherine Jones, Age if Innocence (detail).