Parte seconda - Capitolo 1/5
Dopo aver terminato il racconto della sua versione dei fatti – o doveva chiamarla deposizione? - Massimo osservò il sovrintendente di polizia e il medico allontanarsi da lui e mettersi parlottare in disparte, in prossimità della finestra. Quel loro scambio di parole, pensò, stava decidendo della sua sorte e sentì rafforzarsi il suo senso di impotenza.
Si chiese poi se non lo stessero privando dei suoi diritti, a interrogarlo così senza un avvocato o un rappresentante delle autorità del suo paese d’origine; ma non osava né protestare né fare domande, neanche a proposito degli eventi che avevano portato alla morte del suo amico Maurizio, sulla cui natura continuavano a tenerlo all’oscuro. Poteva solo attendere, attendere e sperare che si decidessero a sbottonarsi. Ma la cosa che trovava di gran lunga più assurda era il desiderio che provava, anche in quel frangente così disperato, di tornare a contemplare il ritratto di Paula Susi, quasi si fosse trattato di un’icona religiosa a cui affidare le proprie speranze di salvezza. Era riuscito appena in tempo a nascondere l’album da disegno sotto le coperte, rendendosi conto solo dopo del rischio che aveva corso, di dover fornire altre spiegazioni ancora, a un gesto che probabilmente non sarebbe neanche stato in grado di spiegare.
Lo lasciarono sulle spine ancora per qualche minuto, poi l’ufficiale tirò fuori dalla sua borsa e gli allungò una copia del Suffolk News-Herald.
«Se va alla pagina della cronaca locale di Dunwich e legge il trafiletto che ho evidenziato potrà togliersi alcune curiosità».
Massimo fece come gli era stato detto e nel giro di istanti visse una vasta gamma di reazioni che andavano dal più totale sconcerto a qualcosa di simile a un moderato sollievo.
«Cos’è… uno scherzo?» fu tutto quello che riuscì a dire.
Il sovrintendente capo si accigliò. «Le sembra che abbiamo voglia di scherzare?». E fece un cenno appena percettibile con la testa verso l’agente di polizia che sostava ai piedi del letto, all’erta quasi fosse pronto a prevenire il più improbabile dei tentativi di fuga.
«Volete dire che la causa di morte di Maurizio… del mio amico, è quella scritta qui: asfissia da paralisi respiratoria per effetto di botulismo fulminante?».
«È il risultato che hanno dato gli esami autoptici» confermò il medico. «Quando siete stati trovati in spiaggia eravate vivi entrambi, ma il suo amico è sopravvissuto meno di ventiquattro ore. Lei a quanto pare è stato più fortunato. Dovete aver mangiato qualcosa di avariato nel corso del viaggio… carne o pesce in scatola».
Massimo annuì. «Ci siamo portati del tonno da casa, ma…» si interruppe, perché non osava proseguire e completare la domanda: Cosa avete intenzione di fare di me adesso?
L’ufficiale, quasi gli avesse intercettato il pensiero, gli dette subito la risposta che cercava.
«Con la sua deposizione, che farò più o meno finta di non aver sentito, considero chiuse le indagini. Da questo momento può lasciare questa stanza e, per quel che riguarda me, anche l’ospedale. Qualcuno deve proteggerla dall’alto perché il suo caso non ha trovato nessuna risonanza nazionale… si consideri fortunato anche in questo».
Detto ciò gli rivolse un rapido cenno di saluto e fece per voltarsi e allontanarsi dalla stanza.
«Il suo giornale…» disse Massimo d’impulso.
«Lo tenga pure. E ci mediti sopra… spero le sarà utile per il futuro».