Come qualcuno di voi forse sa, esiste tra i file del mio computer l'abbozzo di un romanzo autobiografico intitolato Come aria che si cambia. Si tratta in realtà di una specie di contenitore universale dal quale attingo molto di quel che scrivo, a cominciare dal mio attuale principale work in progress, L'Estate dei Fiori Artici, che ne è una derivazione diretta. Ne presentai l'incipit tempo fa, in un post dedicato, e per l'occasione mi divertii anche a giocare con gli pseudobiblia, creando in quattro e quattr'otto un'edizione immaginaria dell'opera edita dalla Ediacara Edizioni, la casa editrice che si occupa della non pubblicazione di tutte le mie opere immaginarie (anche se, ripeto, Come aria che si cambia almeno in forma di abbozzo esiste).
Quel che è successo stavolta con Insieme raccontiamo, ed ecco il perché della premessa, è che il nuovo incipit di Patricia Moll mi ha stimolato a partecipare proprio con un estratto di Come aria che si cambia. Ma non è solo per questo che nel titolo del post parlo di "special edition". E' anche perché stavolta, per ragioni affettive, non me la sono proprio sentita di accettare (tagliare a colpi di accetta) il testo fino a farlo rientrare nella lunghezza regolamentare, in questo caso 200/300 parole, e ho sforato di circa 60 parole. Sono stato anzi costretto ad aggiungere alcuni dettagli per rendere il testo comprensibile a sufficienza anche una volta estrapolato dal resto del racconto. So già che Patricia non mi scaccerà dall'iniziativa per questo, visto che molti partecipanti alle passate edizioni di Insieme raccontiamo hanno fatto altrettanto e di più. Vi lascio quindi alla lettura del mio finale, ricordandovi che trovate il bando di concorso e le prove degli altri partecipanti in questo post del blog Myrtilla's House.
L'incipit di Patricia
Odore di muschio. Di foglie in decomposizione.
Nel bosco, sotto a quel guazzabuglio di querce olmi e acacie, alte da sembrare volerlo solleticare e spesso da oscurarlo, il cielo era sparito.
Si chinò ad annusare lo stesso odore di allora quando....
Nel bosco, sotto a quel guazzabuglio di querce olmi e acacie, alte da sembrare volerlo solleticare e spesso da oscurarlo, il cielo era sparito.
Si chinò ad annusare lo stesso odore di allora quando....
Il mio seguito
Tutto era cominciato una mattina presto, con l’arrivo di corsa dei due cugini che, ansimando più per l’emozione che per lo sforzo, ci annunciarono di avere appena fatto una scoperta importantissima.
«Sentiamo. Che scoperta avreste fatto?» chiese loro Donatella, ostentando scetticismo.
«Dovete vederlo da soli» replicò Roberto.
«E tu» aggiunse Diego, indicando me, «tu vai a prendere il tuo retino da farfalle».
«Da girini» lo corressi. «È un retino da girini».
«Chiamalo come ti pare ma vai a prenderlo… noi ti aspettiamo alla Fontana».
Quando poi, armato di reticella, li raggiunsi alla fontana che si trovava al centro del paese, mi trovai di fronte uno spettacolo di affascinante ribrezzo.
Su di una pietra piatta a margine della vasca, appena distinguibile per via dei colori molto simili, sostava immobile un enorme rospo dal corpo rugoso. Lì per lì pensai che fosse semplicemente in riposo o addormentato, ma guardando meglio non potei non notare, sparse sulla pietra, le sue interiora, che fuoriuscivano dalla bocca semiaperta.
«Devono averlo colpito con un bastone» commentai desolato. «Non è che siete stati voi, vero?».
«Noi non siamo stati»
«Te lo giuriamo»
assicurarono i cugini.
Convenimmo tutti che fosse bene dargli una sepoltura onorevole, e nel posto che per noi era il più importante di tutti: lo spiazzo erboso circondato da un folto di alberi e rovi che chiamavamo semplicemente il Bosco.
Nessuno in quel momento faceva caso a noi (ma non che ce ne sarebbe importato granché, alla fine) e potei agire indisturbato. Senza fretta e con la massima cura, sollevai il corpo semischiacciato e inerte con il bordo circolare e metallico della mia reticella e lo feci scivolare pian piano al centro della sua tessitura di maglie.
Fu poi la volta della processione funebre. Io, con il feretro, in testa al corteo e i miei quattro amici dietro di me. In fila indiana, percorremmo in allegria, felici di iniziare la giornata con un bel gioco, tutto il sentiero in discesa che portava al Bosco e al luogo designato di sepoltura…
«Sentiamo. Che scoperta avreste fatto?» chiese loro Donatella, ostentando scetticismo.
«Dovete vederlo da soli» replicò Roberto.
«E tu» aggiunse Diego, indicando me, «tu vai a prendere il tuo retino da farfalle».
«Da girini» lo corressi. «È un retino da girini».
«Chiamalo come ti pare ma vai a prenderlo… noi ti aspettiamo alla Fontana».
Quando poi, armato di reticella, li raggiunsi alla fontana che si trovava al centro del paese, mi trovai di fronte uno spettacolo di affascinante ribrezzo.
Su di una pietra piatta a margine della vasca, appena distinguibile per via dei colori molto simili, sostava immobile un enorme rospo dal corpo rugoso. Lì per lì pensai che fosse semplicemente in riposo o addormentato, ma guardando meglio non potei non notare, sparse sulla pietra, le sue interiora, che fuoriuscivano dalla bocca semiaperta.
«Devono averlo colpito con un bastone» commentai desolato. «Non è che siete stati voi, vero?».
«Noi non siamo stati»
«Te lo giuriamo»
assicurarono i cugini.
Convenimmo tutti che fosse bene dargli una sepoltura onorevole, e nel posto che per noi era il più importante di tutti: lo spiazzo erboso circondato da un folto di alberi e rovi che chiamavamo semplicemente il Bosco.
Nessuno in quel momento faceva caso a noi (ma non che ce ne sarebbe importato granché, alla fine) e potei agire indisturbato. Senza fretta e con la massima cura, sollevai il corpo semischiacciato e inerte con il bordo circolare e metallico della mia reticella e lo feci scivolare pian piano al centro della sua tessitura di maglie.
Fu poi la volta della processione funebre. Io, con il feretro, in testa al corteo e i miei quattro amici dietro di me. In fila indiana, percorremmo in allegria, felici di iniziare la giornata con un bel gioco, tutto il sentiero in discesa che portava al Bosco e al luogo designato di sepoltura…
…lo stesso dove lui si trovava in quel momento. Erano trascorsi ventuno lunghi anni da quel giorno di inizio estate del 1967, ma tutto in quel luogo ombroso e profondo aveva lo stesso odore di allora.
* * *
L'immagine in alto sotto il titolo è: August Strindberg, Wonderland (1894, detail)