Quantcast
Channel: Ivano Landi
Viewing all 598 articles
Browse latest View live

The Studio Section Four: Jeffrey Catherine Jones /5

$
0
0



L’elemento sensuale è molto importante nella mia opera. Senza, essa sembrerebbe vuota. È ciò che in parte mi risuona quando osservo i Maestri: Rodin, Degas, Whistler. Non empatizzo però altrettanto bene con un pittore come Delacroix. Mi sembra che affronti la sensualità con la mano pesante.

* * *


Nella seconda puntata dello speciale in due parti dedicato al National Lampoon avevo mostrato come, grazie alla lungimiranza del direttore artistico Michael Gross, sia Jeff Jones che Vaughn Bodé fossero approdati, pressoché in contemporanea, nella sezione Funny Pages dell’irriverente magazine. Per la precisione, Jeff Jones esordisce nel numero del gennaio 1972 con la prima tavola di Idyl, Vaughn Bodè nel successivo numero di Febbraio, con la prima tavola di un rinnovato Cheech Wizard.

Vaughn Bodé, da parte sua, non era nuovo a questo genere di iniziative. Fin dal 1969, le pagine della rivista “per soli uomini” Cavalier ospitavano con regolarità le tavole autoconclusive del suo Deadbone Erotica, a cui si erano aggiunte, dall'agosto 1971, le tre tavole mensili di Purple Pictography per un'altra rivista del settore, Swank. L’arrivo della collaborazione al National Lampoon costrinse però Bodé ad affidare i disegni di Purple Pictography all'amico e collega Berni Wrightson (lo abbiamo visto in questo post), almeno finché quest’ultimo non decise a sua volta che la cosa non faceva per lui e la serie si interruppe con il numero dell'aprile 1972. Toccò poi proprio a Jeff Jones colmare il vuoto su Swank, con Jones Touch, una serie nuova di zecca ma destinata comunque a vita ancor più breve di Purple Pictography: appena quattordici pagine per sette mesi di pubblicazioni.
Ma se nel caso di Vaughn Bodé può imputarsi a un semplice sovraccarico di lavoro, il distacco di Jeff Jones da Swank ha probabilmente una causa più profonda. Jones Touch appare, per certi aspetti, un doppione di Idyl, ma mentre questa seconda serie è pervasa da una sensualità languida e decadente, l’altra è chiaramente “sexually oriented”. Semplicemente perché, come sottolinea ironicamente lo stesso Jones in A Peel - storia di esordio di Jones Touch - è questo ciò che cercano i lettori nelle pagine di Swank. (Ricordo, a questo punto, che tutte le pagine a fumetti di The Studio possono essere ingrandite con un click e lette).




Curiosamente, i testi delle dodici installazioni che compongono Jones Touch (due, la prima e l’ultima, di due pagine, e dieci di una sola pagina) sono tali che basterebbe sostituire i disegni di Jones per avere una carrellata di storie tipicamente bodeiane. Jones era consapevole di stare producendo delle pagine di umorismo a la Bodé? E' stato forse questo a convincerlo a sospendere Jones Touch dopo soli sette mesi e quattordici tavole?
Ne ho già parlato in un post della serie su Bodé, Vita, opere e morte del Messia del fumetto, ma occorre ritornarci sopra. Al di là della loro fondamentale differenza di gusti e temperamento, che si riflette nelle differenze tra le rispettive opere, le condizioni esistenziali di Jeff Jones e Vaughn Bodé erano molto simili. Oltre a fare lo stesso lavoro, erano ambedue sposati e con un figlio (una figlia, nel caso di Jones), ma anche in fuga dalle rispettive relazioni coniugali che percepivano come limitanti. Condividevano inoltre una cruciale passione: indossare vesti femminili.

Jeff Jones e Vaughn Bodé: Illustrazione per
Junkwaffel  #4 (Apr. 1972, backcover)
Così, in quello stesso 1972, i due amici si trasferirono insieme in una grande casa di pietra situata sulle colline di Woodstock, nello stato di New York, finalmente liberi di dar sfogo alla loro creatività artistica e alla comune passione per il travestitismo, lontano dalle rispettive mogli.
Jeff Jones vi rimase per circa tre anni, fino al suo ritorno a New York City in un giorno del 1975. Bodé se ne era andato un po' prima, per trasferirsi a San Francisco, alla ricerca di un ambiente più consono all'esercizio delle sue manie trasgressive.
La vita solitaria deprimeva Jeff Jones. «C’eravamo io, i miei quadri, la mia sedia a dondolo, la foresta, i cervi e il vento negli alberi. Mi sentivo in esilio» commenterà alcuni dopo.

Ma torniamo adesso al 1972 e al fumetto Idyl, considerato da molti il capolavoro di Jeff Jones. Lo si potrebbe anche definire la principale anomalia di National Lampoon. Ancor più del Cheech Wizard bodeiano, che mascherava in parte gli slanci filosofici e mistici dietro una facciata di trasgressione e cattiveria del tutto in linea con lo stile del National Lampoon. Inoltre aveva un tipo di umorismo alla portata del lettore medio.

Idyl era invece tutt’altra storia, sebbene Jones esordisca proprio con un omaggio all'amico: gli strani esseri nasuti che appaiono alla guida di un carro nella prima tavola (qui a destra), apparsa su National Lampoon nel gennaio 1972, sono un chiaro omaggio di Jones alle lucertole di Bodé.
Tuttavia, trascorsa l'inevitabile fase di rodaggio, il mondo interiore di Jeff Jones si rivela in tutta la sua originalità. Il paragone più di sovente utilizzato, e in fin dei conti il più spontaneo, è con lo Zen. I testi di Idyl tendono infatti a sabotare i comuni processi logici, spiazzando a più riprese il lettore con qualcosa di veramente difficile da definire o categorizzare. Anche l’impostazione del disegno sembra del resto voler richiamare la stessa filosofia: macchie nere che affiorano come dal vuoto, rappresentato da un dominante sfondo bianco. La differenza con Bodé è che in Jones la spiritualità non diventa mai il soggetto esplicito della tavole, ma rimane sempre qualcosa di solo intuibile in sottofondo. E National Lampoon non era certo una rivista che favoriva l’impalpabile e il non detto.
Lo stesso Jeff Jones ha ricordato in un’intervista del 2001 come stavano le cose.
L’art director e un redattore venivano a trovarmi ogni mese con un’espressione perplessa, e ogni volta mi ricordavano che National Lampoon era una rivista umoristica. «Finché ridi tu…» finivano per concludere. E io andavo avanti a ridere mese dopo mese. Ma devo anche ammettere che amo disegnare le donne nude.

Si può quindi tranquillamente affermare che in quel periodo Idyl fosse, tra le cose per cui lui veniva pagato, ciò che di più vicino a quel che voleva veramente fare Jeff Jones avesse a disposizione. Poteva scriversi i testi come voleva, e disegnare quel che più ambiva disegnare: le donne nude. Queste ultime erano centrali anche in Jones Touch, d'accordo, ma c'era una differenza: su Swank Jeff Jones era obbligato a parlare di sesso. E lui non era Bodè.

Il 1972 lo si può in ogni caso considerare a pieno titolo l'anno in cui il personalissimo universo interiore dell'artista Jeff Jones esce per la prima volta veramente allo scoperto. Lo testimoniano, oltre a Idyl, le due sofisticate copertine da lui realizzate per i numeri 199 e 200 di Wonder Woman, pubblicati nei mesi di aprile e giugno. Il "tocco di Jones" vi è perfettamente riconoscibile.




* * *


L'illustrazione in alto sotto il titolo è: Jeff Jones, Spring in Gold (detail).




Alan Moore : Il Maiale di Mag e I Campi di Cremazione (La Voce del Fuoco /1)

$
0
0



I nostri miti sono pallidi e malati. Questo libro è un piattino di sangue che serve ad alimentarli.
Il "tempo del sogno" di ogni paese e di ogni città è un'essenza che precede la sua formazione fisica.
Alan Moore, La Voce del Fuoco


Due opere di narrativa mi hanno accompagnato nelle due settimane, da poco trascorse, delle festività natalizie. La prima delle due letture, La misteriosa fiamma della regina Loana di Umberto Eco mi ha lasciato in gran parte insoddisfatto e mi sento di consigliarla solo agli appassionati di cataloghi di modernariato. Mi sono comunque sentito in dovere di leggerla, a causa del titolo, che richiamava echi lontani della mia prima giovinezza. Forse un giorno dirò qualcosa a questo riguardo, ma per il momento sono più interessato a parlare della seconda delle due letture, dal mio punto di vista molto più riuscita e convincente: La Voce del Fuoco (Voice of the Fire) di Alan Moore.

Per gli appassionati del fumetto, Alan Moore non ha certo bisogno di presentazioni. Vincitore del Premio Hugo, dell'Eisner Award, del Bram Stoker Award, ecc., è considerato, per consenso pressoché unanime, il miglior scrittore di fumetti di tutti i tempi e la sua saga supereroistica Watchmen figura nella lista del Time delle migliori cento opere letterarie in lingua inglese pubblicate tra il 1923 e il 2005 (gli spartiacque considerati sono Ulissedi Joyce, pubblicato nel 1922, e l'anno di compilazione della lista).
Se poi si apre la pagina di Wikipedia relativa alla sua bibliografia non si può non rimanere impressionati dalle circa settecento opere in elenco, tra sceneggiature di fumetti e di film, opere di narrativa, saggi, articoli, incisioni discografiche, ecc. Sempre Wikipedia presenta l’autore in questi insoliti termini: Scrittore di fumetti, romanziere, autore di storie brevi, sceneggiatore cinematografico, musicista, cartoonist, mago. Si potrebbe aggiungere, volendo: teorico del Caos, data la fede del nostro nel Caos come primo motore degli eventi del mondo e della storia oltre che delle evoluzioni della psiche umana. Ed è attorno a questo principio che ruota un po’ tutta la sua opera, incluso La Voce del Fuoco, che è il suo primo romanzo, pubblicato nell’ormai lontano 1996.

Fantasy storico, riporta il colophon dell’edizione inglese. E, per quel che mi riguarda, mai definizione fu più azzeccata: io stesso l’avevo coniata pari pari nella mia mente mentre leggevo l’edizione italiana del libro, prima di fare ricerche sull’edizione in lingua originale. Il che significa che gli undici racconti di genere fantastico che compongono l’opera (a cui va aggiunto il dodicesimo e ultimo, di tipo diverso) sono impiantati su una solida base storica. Non è del resto la prima volta che Alan Moore fa sfoggio della sua profonda conoscenza della storia del suo Paese di origine, l’Inghilterra, e in particolare del Northamptonshire, area geografica situata a nord di Londra, nelle Midlands orientali, dove lui è nato e vissuto. A scoprire però che le storie del libro sono ambientate in questa particolare regione dell’Inghilterra ci arriviamo solo per gradi. Nei primi racconti ci vengono semplicemente offerti gli elementi di base del paesaggio, che sta poi a noi ricomporre mentalmente man mano che procediamo nella lettura.
Aggiungo, per chiudere questa introduzione, alcune brevi considerazioni tecniche. Chi mi segue sa che raramente mi occupo di segnalare o recensire qualcosa, e se accade è, in genere, perché l'opera in questione mi offre il pretesto per diffondermi su degli argomenti che mi stanno a cuore e che costituiscono il nucleo centrale del blog. Anche e soprattutto per questo ho ricavato, dalla lettura del libro, un numero di considerazioni abbastanza alto da costringermi a dividere l'articolo in più parti, ognuna delle quali prende in esame un numero variabile di racconti/capitoli. Voglio tuttavia rassicurare riguardo al numero di spoiler presenti nella recensione: saranno ridotti al minimo, grazie al fatto che mi concentrerò più sulla cornice in cui sono inseriti i racconti che sulla storia narrata al loro interno.


 * * *


Primo raccontoIl Maiale di Mag4000 a.C.
(Hob’s Hog 4000 BC)



Siamo nel neolitico, cinque secoli prima dell’inizio dell’età del bronzo (c. 3500-1200 a.C.), e il Mag del titolo (nella versione italiana) è uno sciamano. Alan Moore introduce, in questo racconto d'inizio, i primi elementi ambientali e architettonici del luogo che vedremo edificarsi, un po' alla volta, lungo l'intero percorso del libro. Per cominciare: un fiume, un ponte, un insediamento umano, una serie di mura concentriche su una collina utilizzate per custodirvi il bestiame. Vi tratteggia inoltre, a rapidi schizzi, il mondo culturale e magico in cui sono inserite questa e le storie a venire. Qui l'accento è messo in particolare su alcuni conflitti che poterono effettivamente segnare questa fase della preistoria umana: il conflitto tra nomadismo e vita stanziale, e tra l’antica religione ctonia e umida (acqua e terra) e l’emergente religione celeste e secca (aria e fuoco). Incombe infine, da subito, la minaccia, ricorrente in gran parte dei racconti del libro, dello Shagfoal, un'entità infernale conosciuta in altre regioni dell'Inghilterra con il nome di Gytrash, che appare ai crocicchi o lungo le strade solitarie nella forma di un grande cane nero dagli occhi infuocati come tizzoni ardenti.

Il Maiale di Mag è narrato interamente in prima persona, attraverso la mente e gli occhi di un giovane uomo, che dopo essere stato abbandonato dai membri della sua tribù nomade vaga fino a imbattersi nella capanna dello sciamano Mag e della sua strana figlia profumata di fiori, apparentemente destinata a raccogliere l'eredità sapienzale del padre, dopo la di lui morte.
Ci si può tuttavia ritrovare facilmente dissuasi dall’affrontare la lettura delle quarantasette pagine che compongono questa prima storia. Ecco, alla faccia della cosiddetta importanza dell’incipit efficace e persuasivo, l'inizio del racconto e del libro:
Lontano in dietro a colle, là verso sol-che-scende, cielo è ora come fuoco e io fa cammino lì, senza fiato in pancia, ed erba fredda e bagna piedi a me.*

E altri esempi, più corposi, li incontreremo nel seguito nel post. In ogni caso, se non ci si lascia scoraggiare, pian piano si entra nel meccanismo del testo e si riesce a seguire la storia senza eccessiva difficoltà.

Mag e gli altri uomini “con testa di rami”, cioè gli altri sciamani come lui, posseggono la conoscenza della “via di detti” (le vie dei canti). Come spiega la figlia di Mag al giovane (pag. 34):
Ragazza dice cosa che di-viene più strana e dura per me di coglie. Dice che c'è modo che uomo può coglie via anche se via è tanto lunga che va in torno a tutto il mondo e modo è questo. In tutti sedutamenti, uomini con testa di rami fa detto che è tanto strano e lungo, ma che dice tante cose. Questo detto dice di sedutamento dove c'è uomo con testa di rami e dice di colli e vie che è a-lato di sedutamento, così che gente che viene da altri posti può trovare tutto. Ora uomini con testa di rami prende tutti questi detti e mette loro in grande linea, che così loro fa un detto solo, ma tanto più grande e questo detto dice tutto su via che va da lato di acqua dove c'è vento caldo a posto dove è tanti alberi e c'è vento freddo.**

E questa "via di detti" aggiunge la ragazza, è una conoscenza più grande di quella trasmessa dai circoli di megaliti (pag. 38):
Via è fattura più strana e più grande di fatture di tempi in dietro di mondo, più grande di pietre che sta tutte in tondo e che gente fa in grande apertura tanto lontano, verso sol-che-sale.***

Ho poi trovato molto interessante un passo di pag. 41 (tutti i riferimenti numerici sono all’edizione italiana del libro) dove vengono descritti gli effetti di un rituale cruento. Il protagonista raggiunge, insieme alla figlia di Mag, il ponte sul fiume (uno dei luoghi cardine del libro) e lei lo invita a sdraiarsi a pancia in giù sul ponte e guardare in una fessura tra i tronchi:
Ora in tempo poco poco io non vede niente, che là c’è solo buio, ma ora vede di me di-viene più buono e io vede forma tutta fina e bianca che sta sdraia in buio e non muove. Io non coglie se è uomo o donna, ma io vede che quella è tutta osso e pelle secca e niente più. Quella ha in sopra vesti tutte con buco, ma non ca-peli su testa di osso come se quelli è tutti strappa. Buchi di occhi fa come per guarda su verso di noi e, in-basso di osso di testa, denti fa a me grande bocca buona.
Quella è donna, dice ragazza. Donna che è mette viva qua in dentro che così spirito di lei sta in dentro di ponte e fa ponte diviene buono e che non cade e che non ha mai fuoco.

Si tratta, in questo caso, di un rituale ancora praticato in Europa nel medioevo, quando i costruttori usavano murare viva la prima ragazza di passaggio nelle fondamenta del castello, per garantire la prosperità della struttura e dei suoi nobili abitanti.


 * * *


Secondo raccontoI Campi di Cremazione 2500 a.C.
(The Cremation Fields 2500 BC)



Anche la seconda storia è raccontata in prima persona, attraverso la soggettività di una protagonista femminile, stavolta: una giovane donna spietata e avida di ricchezze materiali, priva di ogni fede nel trascendente. Incontrata nei pressi del fiume la figlia di un mago di nome Olun, in viaggio per ricongiungersi al padre ormai vicino alla morte, la uccide e si sostituisce a lei allo scopo di carpire al vecchio Olun il segreto delle ricchezze custodite sottoterra dal popolo degli gnomi.
Il vecchio Olun cade vittima dell'inganno e le trasmette il sapere che aveva riservato per la figlia, senza sospettare che le sue parole cadono nel vuoto di una mente letterale, che cerca invano, e a puro fine di interesse personale, di afferrarne il senso (pag. 86):

"I sentieri degli gnomi sono sotto la terra. Solo il mago o la maga conoscono le loro vie, perché le passano da una mano divinatrice all'altra, durante tutte le ere del mondo. Laggiù sono sepolti molti dei tesori della nostra arte, ma questi devi scoprirli tu quando sei pronta, quando ti riempie la conoscenza delle vie più semplici che stanno sopra la terra. Quel giorno tu puoi anche andare sotto la terra e camminare da sola nei viali delle candele, dove questi miei vecchi piedi tanto tempo fa percorrono i pendii dei vermi e le rocce gelide, ma ora scendono laggiù soltanto nei miei can-sogni. Prima di quel giorno tu devi percorrere tutti i sentieri di sopra e conoscere tutte le storie che hanno luogo sulla loro via."

Ricompare quindi sia il tema delle vie dei canti che quello dei cani emissari del mondo infero. Prosegue inoltre l'illustrazione del conflitto tra la via nomade e la via sedentaria, quest'ultima vissuta nel senso della perdita, di un deterioramento della condizione umana e del mondo intero, e come preludio alla fine di tutto (pag. 96):

Questa è l'ultima età del mondo, per che siamo ora al limite della via che ci allontana dalle cose della natura. Raduniamo gli animali, recintiamo le bestie nate per andare libere. Ci attacchiamo con le capanne, i nostri gusci di lumaca, alle paludi che è uso dei nostri prima-genitori attraversare e poi lasciare alle loro spalle. Cuociamo il sangue della terra e lo facciamo incrostare in forma di corone e di pugnali. Battiamo sentieri diritti in mezzo ai campi sinuosi e facciamo baratti con i pellenera. Tra poco tempo gli oceani si innalzano e ci sommergono. Tra poco tempo cadono le stelle.

Ma i rimandi tra il secondo racconto e il primo non finiscono neppure qui. Mag e Olun sono in un certo senso la stessa cosa, come spiega Garn, il figlio di Olun - che sembra preferire di gran lunga il suo lavoro di ramaio ai tesori del padre - alla ragazza (pag. 99):

"Se tutta la sua dottrina fosse anche mia, lavorare i metalli non sarebbe più la mia arte. Se tutti i suoi pensieri fossero i miei, allora lui sarebbe me e io sarei un indovino come lui e non avrei più i miei pensieri. Anzi, questi pensieri non sono né anche suoi, come non sono quelli di suo padre o del padre di suo padre. Sono pensieri antichi come le colline, questi suoi conoscimenti che forgiano ogni sua azione e parola. E' come se il vecchio e i vecchi venuti prima di lui fossero tutti una cosa sola, una sola visione, unica e immortale. Questa non è cosa della natura."

 * * *


* A-hind of hill, ways off to sun-set-down, is sky come like as fire, and walk I up in way of this, all hard of breath, where is grass colding on I’s feet and wetting they.

** Now say of she come queer, and hard for glean. Say she, there is a way that man may yet glean path if path he is that long as go all world a-bout, and way of it is this, she say. In all they many settings is they stick-head men make of a saying, queer and long, that say of many things. It say of setting where is stick-head man, and say of hills and ways where is he’s setting by, that people come from other wheres may find a way to he. Now all of many sayings by they many stick-head men is set they in a line, for make of one long saying more big yet, that say of way from warm-wind water’s edge to cold-wind where is many trees.

*** She is now say of stick-head men, and of they saying-path. Path is a making more queer and more big as making hind-whiles is in world, more big as stand-round-stones that people say is make there on big open, far in way of sun-rise-up.

Le citazioni in italiano sono tratte da: Alan Moore, La Voce del Fuoco. Edizioni BD, 2006. Traduzione di Leonardo Rizzi e Michele Foschini; editing a cura di Adriano barone e Andrea Carlo Ripamonti.

Le due immagini finali, di accompagnamento alle sezioni riguardanti i primi due capitoli del libro, sono tratte dall'edizione inglese dell'opera.

The Studio Section Four: Jeffrey Catherine Jones /6

$
0
0



Io provo a coinvolgere il mio pubblico nel processo creativo. So che se cerco di dirgli qualcosa non ascolterà. E del resto io davvero non ho niente da dire a nessuno. Il mio pubblico deve arrivare da solo alla verità.

* * *


La svolta fondamentale nella cronologia di Idyl arriva nella tavola ospitata sul numero di National Lampoon del febbraio 1974 (e riprodotta, ingrandibile, qui a sinistra), dove il personaggio Idyl trova infine una fisionomia definita e diventa il protagonista fisso della striscia.
Si tratta di una donna, come spiegherà anni dopo Jeff Jonesin un'intervista:
…nata già incinta, una donna realizzata, che rifiutava la logica maschile. Idyl non ha mai partorito e non lo avrebbe fatto neanche in futuro. Era inconsapevole del suo stato, così come era inconsapevole delle sue braccia. Era il suo stato naturale… una anti-caricatura della percezione ordinaria.

“Anti-caricatura” è una parola che sembra non esistere nella nostra lingua, almeno a giudicare dai dizionari che ho consultato. Non ho idea se lo sostituisca qualche sinonimo di cui non sono a conoscenza, ma qui conviene comunque precisarne il significato che è, come si può intuire, l’opposto di “caricatura”. Anche nel caso dell'anti-caricatura si prende a modello un volto, ma anziché esasperarne i tratti individuali si cerca viceversa di attenuarli così da avvicinarli il più possibile al volto medio. Jeff Jones tende allo stesso modo, con Idyl, a spersonalizzare la nostra percezione, privandola il più possibile del suo contenuto individuale, con risultati paradossali, vicini a quelli ottenuti da Lewis Carroll con le avventure della sua Alice nel paese delle meraviglie o al di là dello specchio, dove metteva in opera un processo analogo. O nelle storie Zen, alle quali, come avevo accennato nel post precedente, sono state più volte accostate le tavole di Idyl. La questione può infatti riassumersi con questa celebre storiella, tratta dal libro Road to Zen, che rende bene certo spirito di questo particolare ramo della filosofia buddhista:
Un adepto arriva in ritardo alla riunione del Maestro con la sua classe e trova la porta d’ingresso chiusa. Bussa e chiede di poter entrare. Il Maestro gli dice semplicemente che non è possibile. L’adepto però insiste e alla fine sbotta: “Ma perché non posso entrare?”. Il Maestro allora, senza scomporsi, risponde: “Perché la porta è chiusa”.

Lo si può definire un esempio di anticaricatura, con la percezione ridotta al suo dato più immediato e impersonale, come effettivamente avviene appunto in varie tavole di Idyl.

La tavola-manifesto sembra essere, sotto questo aspetto, quella apparsa sul numero di National Lampoon del luglio 1972 (e riprodotta qui a lato), dove Jeff Jones contrappone logica "mentale" maschile e logica "corporale" femminile. Nel 1972, Idyl è ancora in fase di rodaggio come striscia, e forse si deve proprio a questo se Jones propone il suo “messaggio” in termini così espliciti, lontani dal linguaggio sfumato della fase più matura.
Jones dice, in poche parole, che mentre l’uomo vaga in cerca del significato della vita, la donna rimane dov'è, perché tale significato lo possiede già in sé, a causa della sua natura. E' poi chiaro che i termini "uomo" e "donna" non vanno qui intesi in senso puramente biologico, bensì come rappresentanti di due differenti visioni del mondo, più volte designate, nella storia della cultura, come tipicamente “maschile” e tipicamente “femminile”. E si può ben dire che questo tema di fondo permanga tra le righe di tutta la produzione successiva di Idyl, fornendone una possibile chiave di lettura, sebbene non l'unica.
C'è poi da aggiungere, sempre in tema di maschile e femminile, che alla sparizione degli esseri nasuti ispirati alle lucertole di Bodé dalla scena di Idyl dopo poche tavole, fa seguito, dopo la svolta del febbraio 1974 di cui parlavo all’inizio, quella degli umani di sesso maschile. Rimangono, tuttavia, a fare da contraltare alla donna Idyl, i numerosi animali protagonisti della striscia, che Jeff Jones afferma siano tutti di sesso maschile.

Ma parlavo, poc’anzi, anche della progressiva "riduzione” dei testi di Idyl a una questione di sfumature. Questa caratteristica si riflette in un analogo, parallelo "svuotarsi" del disegno, dove il bianco di fondo della pagina acquista sempre più un ruolo da protagonista. Ed è interessante notare, a questo proposito, l'ambivalenza che assume il vuoto - o vacuum, come lo definisce lo stesso Jeff Jones in un paio di tavole - in Idyl. Da un lato è chiaramente l'impalcatura che sorregge l'universo bizzarro e impossibile in cui la protagonista mette in scena i suoi surreali monologhi e dialoghi, dall'altro è ciò che costantemente ne minaccia l'esistenza, così che si può ben dire che una delle intenzioni di Jones sia proprio quella di mettere in caricatura (si può dire, anche in questo caso, secondo una prospettiva buddhistica) la nostra stessa condizione di eterna precarietà in un universo nato e poggiato sul vuoto e che dal vuoto è destinato a essere riassorbito.
Bisogna inoltre tenere conto del fatto che ancora il vuoto è l'unico vero genitore di Idyl, nata già adulta e in stato interessante (sebbene a sua volta genitrice di un'assenza, perché destinata, come specificato dall'autore, a non partorire mai).

Lo stesso vuoto di fondo, o fondamentale, e che diviene tale anche in senso artistico, permette infine a Jeff Jones di sbizzarrirsi in fusioni di universi fumettistici a prima vista inconciliabili tra loro. Accade nella splendida tavola apparsa sul National Lampoon dell’agosto 1975, dove troviamo Idyl ospite nientemeno che dello stralunato paesaggio vegetale e minerale di Krazy Kat, la storica e surreale strip di George Herriman. (Per saperne di più, vi rimando a quest'altro mio post).
Potrà forse stupire, davanti a una tale ricchezza di spunti e di possibilità di indagine, di cui mi sono limitato a dire solo l'essenziale, scoprire che l'opera Idyl nel suo complesso si compone in realtà di un numero di pagine che si può definire irrisorio, meno di cinquanta in tutto, pubblicate in un arco di tempo di quattro anni. Eppure è bastato a farne un classico del fumetto, perfino agli occhi del pubblico di National Lampoon che aveva finito per premiarne in diretta la qualità, a dispetto dell'indubbia difficoltà di fruizione e a discapito di altri fumetti all'apparenza molto più in linea con lo spirito sarcastico e dissacratore degli articoli pubblicati nel resto del magazine. Solo Vaughn Bodé, con il suo Cheech Wizard, può dire di aver ottenuto altrettanto se non di più in termini di popolarità e conseguente merchandising.
Ovviamente l'elemento sensuale, se non proprio sessuale, ha contribuito al successo di Idyl, insieme alla grande bellezza dei disegni di Jeff Jones. Eppure il fatto che, tra tutti i fumetti pubblicati dal magazine nei suoi primi, e migliori, sei anni di vita, il successo abbia arriso proprio ai due più introspettivi e filosofici avrà pure significato qualcosa. I tempi erano evidentemente maturi per una svolta nel fumetto e Vaughn Bodé e Jeff Jones hanno fatto, forse più di chiunque altro in quagli anni, da geniali battistrada in quella precisa direzione.


* * *


L'illustrazione in alto sotto il titolo è: Jeff Jones, The Question (1994).



Insieme Raccontiamo 17: Omaggio a Malpertuis

$
0
0



Diciassettesimo appuntamento con la bella iniziativa mensile del blog Mirtylla's House e quindicesima mia partecipazione. Patricia Moll ci regala un nuovo, ottimo incipit di ambientazione marittima che sta a noi concludere o in forma breve (200/300 caratteri) o lunga (200/300 parole). A differenza però delle volte precedenti, Patricia ha proposto per l'occasione un secondo vincolo, o punto di riferimento se si preferisce, alla nostra fantasia: una foto, oltre al consueto incipit. Trovate entrambi, incipit e foto, qui sotto, ma anche nel post dedicato del blog Mirtylla's House, dove potrete anche divertirvi a leggere le prove di tutti gli altri partecipanti.




Ma veniamo adesso al titolo del mio post: Omaggio a Malpertuis. Lo si deve a una felice coincidenza temporale, che ha fatto sì che incipit e foto si incrociassero nella mia mente con il capolavoro di Jean Ray, che ho terminato di leggere giusto ieri, nella ristampa proposta da Mondadori nel nuovo numero della collana Urania Horror, dopo un quarto di secolo di assenza dall'italico suolo. Chi ha letto Malpertuis, potrà divertirsi a rintracciare i vari nessi che mi sono divertito a stabilire. Tutti gli altri potranno comunque godersi il mio raccontino, oltre che, magari, affrettarsi a correre in edicola.




Aggiungo adesso che un paio di ore fa, cioè pressoché in contemporanea all'uscita di questo mio post, l'amico blogger di The Obsidian Mirror ha a sua volta pubblicato una splendida recensione a Malpertuis, di cui consiglio caldamente la lettura a questo link. Non avevamo fissato nulla in anticipo e la nostra è stata una sincronia del tutto involontaria (anche se non mi sento di escludere di principio che qualche forza arcana ci abbia messo del suo).


* * *


La foto scelta da Patricia





L'incipit di Patricia


Era l’alba. Gli piaceva scendere in spiaggia a quell’ora. In giro non c’era ancora nessuno perché i vacanzieri erano andati a dormire da poco.

Il silenzio interrotto solo dalla voce del mare lo rasserenava.

Girovagando, aveva oltrepassato il promontorio. In una piccola baia seminascosta l’aveva trovata....


Il mio finale (300 parole)


Aveva sempre creduto che il soggetto del quadro appeso a una delle pareti del soggiorno fosse di fantasia. Non aveva idea che suo nonno si fosse ispirato a una barca reale. Certo, adesso che era trascorso almeno mezzo secolo dal giorno in cui lui l’aveva messa su tela, non rimaneva che una vecchia carcassa divorata dalla salsedine. Ma a un tratto ricordò  anche una vecchia storia che circolava nella sua famiglia, una storia a cui non aveva più pensato dai giorni dell’infanzia. Si diceva che il nonno avesse dipinto una seconda figura sulla barca, oltre a se stesso nei panni del conducente, ma che dopo un ripensamento l’avesse ricoperta con più strati di colore così da cancellarla dalla tela. La prima volta che aveva sentito la storia, ne era stato incuriosito come lo sarebbe stato qualunque bambino e aveva chiesto che aspetto avesse avuto il personaggio. Nessuno in casa sembrava però ricordarlo. Chi diceva che fosse una donna, chi un uomo. Solo zia Eulalie sosteneva che avesse le ali, come un angelo o un demone. Ma tutti in famiglia consideravano zia Eulalie un po’ svanita e non davano molta importanza a quel che diceva.

Esaurito il flusso dei ricordi, si rimise in cammino, lasciandosi alle spalle la barca. Al suo arrivo, la casa era immersa nel silenzio e nell’oscurità e si chiese dove fossero andati tutti così di mattina presto. Ebbe una prima risposta quando entrò nel soggiorno e a stento riconobbe, carbonizzati sul pavimento, i corpi dei suoi genitori. Della vecchia zia Eulalie, unica altra abitante superstite della casa, non vide invece traccia. Non prima di guardare il quadro del nonno alla parete, dove riconobbe, stavolta con facilità, la donna, in piedi solenne e terribile al centro della barca, avvolta come in un mantello in ali color rosso sangue.


* * *


L'immagine in alto sotto il titolo è un dettaglio della copertina alternativa creata da Franco Brambilla per Urania Horror n. 12.
Dal sito http://www.fantasymagazine.it

Solove et Coagula - Pagina 161

$
0
0



Parte II - Capitolo 3 /4


Se le cose stavano davvero come diceva lei, rifletté Massimo, allora un altro tassello andava a collocarsi al suo posto. Almeno all’apparenza. Non era stato un sogno o un'allucinazione: aveva davvero avuto tra le mani in ospedale il libro scritto dal padre di Paula e nel momento in cui avevano deciso per il cambio di infermiera, dovevano aver pensato bene di fare altrettanto con il libro. Eppure qualcosa ancora non lo convinceva. Possibile che un medico e un’infermiera, Mrs. Wilkins in questo caso, si fossero messi d'accordo per fargli credere che si era sognato tutto o, peggio ancora, che era stato preda di un vero e proprio delirio allucinatorio? Non andava contro la loro deontologia professionale mentirgli in modo così spudorato? O forse, più semplicemente, anche nel loro caso valeva il detto che il fine giustifica il mezzo?
Per un momento credé che Paula, che teneva gli occhi chiusi e la testa reclina, a un soffio dalla sua spalla, si fosse addormentata, cullata dal rollio uniforme dell’hovercraft che avanzava sulle acque del canale come un treno sul suo binario. Poi si accorse che dalle sue belle labbra carnose usciva una nenia, a voce bassa: una canzoncina infantile forse, della quale però, per quanto si sforzasse, non riusciva a cogliere una sola parola. In ogni caso si mantenne in silenzio finché lei non ebbe finito e riaperto gli occhi, poi le chiese cosa avesse appena cantato.
«Una canzone della terra di mio padre» rispose lei, con una malcelata punta di tristezza.
Solo allora Massimo si rese conto della possibilità di qualcosa a cui avrebbe sicuramente già pensato se l'apparente totale sicurezza di sé dimostrata fino a quel momento dalla ragazza non lo avesse messo fuori strada. E non poté neanche evitare di mettere in discussione, dentro di sé, i suoi propositi, seppur blandi, di seduzione. Poteva continuare a immaginare, si chiese, di provarci con una ragazza che, come era normale che fosse, portava ancora il lutto per la recente morte del padre? E poteva persino essere quello il vero motivo che la spingeva a vestirsi sempre e solo di nero.
Cercò tuttavia di far finta di nulla e chiese soltanto la conferma che lei avesse appena cantato in finlandese.
Paula assentì. «E' una canzone che parla dell’origine del gatto» aggiunse.
«C’entra anche qui il colore verde?» le chiese ancora Massimo, fingendo lo scherzo ma in cuor suo sinceramente preoccupato.
La ragazza rise. «No. Niente colore verde. Però… ascolta, proverò a tradurtela alla meno peggio in Inglese:
Io so dell’origine del gatto – dell’incubazione di Barbagrigia.
Il gatto è nato dal focolare – mettendo insieme il naso di una ragazza,
la testa di una lepre, una treccia di capelli di Hiisi come coda,
le zanne di una vipera nelle zampe, il veleno di un serpente nella coda, le more di rovo di Pohjola.
Il resto del suo corpo, è della razza del lupo».

Massimo provò un acuto senso di vertigine e per un momento temette sul serio di stare per svenire. Come faceva la sua compagna di viaggio, che conosceva da pochi giorni, a sapere che il suo nome di battaglia da bambino era stato proprio Barbagrigia? All’età di sei anni lo aveva scoperto in un libro, dove non era però il nome di un gatto ma di un caprone, che era il capo degli animali della fattoria. Era un nome che, per questo motivo, gli dava un senso di sicurezza, sebbene non avesse detto a nessuno dei suoi amici dove lo aveva trovato né chi era il suo possessore originario.
Ma a quel punto Paula lo sorprese anche in un modo diverso. Dimostrandogli un'inedita premura, lo accarezzò sulla testa proprio come avrebbe fatto con un gatto.
«Siamo quasi arrivati a Calais» aggiunse. «Prepariamoci a scendere».

Alan Moore: Da I Campi di Cremazione a La Testa di Diocleziano (La Voce del Fuoco /2)

$
0
0



Tenebre nascoste dietro tendine di tulle. Follia. Violenza. Anche solo a un esame superficiale, sono queste le tinte predominanti della tela di Northampton.

Alan Moore, La Voce del Fuoco, pag. 313

* * *


Secondo racconto: I Campi di Cremazione 2500 a.C.
(The Cremation Fields 2500 BC) [seguito]


Come si evince dal titolo, il secondo racconto arricchisce la geografia del libro dei campi di cremazione. Vi svolge un ruolo di rilievo anche il fiume che abbiamo incontrato in precedenza, ma su questo tacerò perché significherebbe rivelare una parte troppo importante di trama. Devo tuttavia citare almeno un altro elemento della storia, che ritornerà più volte nel seguito del libro: una collana di perline di rame di colore blu, che la ragazza protagonista ruba dal collo della figlia di Olun dopo averla uccisa per prendere il suo posto.
Ma più di tutto mi interessa parlare qui del particolare rapporto di simpatia che lega il corpo di Olun alla geografia dell'insediamento. Il corpo del mago è ricoperto dalla testa ai piedi di tatuaggi, che lui chiama "disegni del corvo". La ragazza si interroga a lungo su di essi, finché non riesce finalmente a intuirne la vera natura, dopo un suo colloquio con Tunny il tatuatore (pp. 121-122):
La buia creatura dei miei pensieri avanza ancora nel suo lento strisciare. Le dita del vecchio Tunny conoscono la sottovia, ma questa conoscenza non è nella sua testa. Il vecchio Tunny è il tatuatore. Lui fa le segnature di Olun con le sue dita annerite e quelle, un anno dopo l'altro, ripercorrono quel groviglio di vie dissennate, quei disegni del corvo che non sembrano corvi, ma ora tutto si fa chiaro. Quelle non sono figure di corvi.
Sono quello che i corvi vedono.
Un fiume visto dall'alto diventa una linea, un tortuoso filo blu. I campi sono una coperta di macule con i bordi di rovi, le capanne divengono piccole come anelli per le dita e le foreste avvizziscono e si mutano in grasse lumache verdi con i lati crespi, tutte venate dai sentieri. Ecco come il vecchio conosce le vie e i sentieri più piccoli. Ecco per quale ragione Olun sente che il villatico è parte troppo grande di lui: è inciso tutto sopra la sua pelle. Le colline e gli stagni. Le sottovie. Le grotte e le cave dei tesori. Ecco come vuole parlare con me, quando lui è nella tomba.

Bene. Nel leggere questo splendido brano il mio pensiero è subito corso a una pagina di uno dei miei libri preferiti, Le vie dei canti di Bruce Chatwin. A maggior ragione per il fatto che Alan Moore chiama in causa nel suo libro sia il Tempo del Sogno che le vie dei canti. Il che rende possibile che il suo sia un omaggio intenzionale al grande cantore del nomadismo prematuramente scomparso. Ecco, per un confronto, il brano di Chatwin di cui parlo, i cui protagonisti sono una mercante d'arte aborigena, un pittore aborigeno suo cliente e una coppia di turisti americani:
Il quadro era grande pressapoco un metro e mezzo e aveva uno sfondo 'puntinista' in varie sfumature d'ocra. Al centro c'era un grande cerchio azzurro intorno a cui erano sparsi tanti altri cerchi più piccoli. Ogni cerchio era bordato di scarlatto; un groviglio di linee sinuose di un rosa fenicottero, vagamente simile a un intestino li collegava tutti.
Miss Lacey passò al secondo un paio di occhiali e domandò: "Che cos'hai dipinto, Stan?"
"Formica del miele" mormorò Stan con voce roca.
"La formica del miele" disse lei rivolgendosi agli americani "è uno dei totem di Popanji. Questo è un Sogno formica del miele".
"Mi sembra bellissimo" disse l'americana con aria pensosa.
[...]
"Ma nel quadro io non ne vedo, di formiche" disse l'uomo [della coppia americana]. "Vuol dire che è... è un formicaio? I tubi rosa sono i cunicoli?"
"No". Mrs Lacey sembrava un po' scoraggiata. "La tela raffigura il viaggio dell'Antenato Formica del miele".
"Come una cartina?" disse lui con un largo sorriso. "Ah, ecco, mi pareva proprio che somigliasse a una cartina".
"Esattamente" disse Mrs Lacey. *

Ma c'è un secondo possibile riferimento a Chatwin nei primi capitoli del libro di Moore. Per Chatwin il nomadismo è la condizione naturale dell'uomo e la stanzialità qualcosa di paragonabile, in termini religiosi, alla perdita dell'Eden. Come ho mostrato nel precedente post della serie, lo stesso confronto e analoghe conclusioni sono esposte ne La Voce del Fuoco.


* * *


Terzo racconto:  Le Terre degli Annegati Dal 43 d.C.
(In the Drownings Post AD 43)


Dopo due lunghi racconti, un racconto breve: una storia di taglio onirico di appena una dozzina di pagine ma comunque densa, come tutte le altre del libro, di collegamenti alle storie precedenti e successive.
Protagonista, stavolta, è un uomo che ha abbandonato la sua famiglia e il villatico, il grande abitato rotondo costruito su uno dei colli che sorgono nei pressi dei Campi di Cremazione, per raggiungere le Terre degli Annegati, a più di mezza giornata di cammino, e costruirsi una nuova vita, con una nuova famiglia. E' così che rievoca, con il pensiero, il momento della sua partenza:
Accanto alla porta grande, tra le vecchie pietre erbose della fucina di fabbro Garn, vidi che il mago del nostro villatico fissava il suolo tutto assorto, piegando le gialle corna di cervo legate alla sua fronte china. Disposti a cerchio intorno ai suoi piedi, c'erano molti disegni che egli aveva tracciato in terra con il suo ramo di vischio. Borbottava tra sé e sé e con le dita macchiate torceva i nodi della sua barba, più angustiato di quanto lo avessi mai visto. Poi alzò lo sguardo all'improvviso e mi vide passare. Forse per parlarmi, ma poi cambiò idea. Mi sono chiesto spesso cosa volesse dirmi.(Pag. 126)

Per cacciare prede con la sua cerbottana, l'uomo si è inventato un'armatura di giunchi che, unita ai trampoli, lo fa somigliare a un enorme uccello di palude. Storicamente parlando, siamo ai tempi dell'imperatore Claudio (Tiberio Claudio Druso), che dette inizio, nel 43 d.C., alla conquista romana della Britannia. Non sorprende quindi che una guarnigione di soldati romani a cavallo si trovi a passare proprio nei paraggi delle Terre degli Annegati, come non sorprende che fugga terrorizzata alla vista dell'uomo-uccello.

Ma era anche successo, una volta, che il cacciatore vestito da uccello sentisse nostalgia della sua prima famiglia e del villatico sulla cima del colle. Vi fece così ritorno. Ma al suo arrivo trovò tutto come abbandonato in fretta e furia (Pag. 132):
I fuochi della cena bruciavano bassi e in qualche punto lontano, in mezzo alle capanne, mi sembrò di sentir abbaiare un cane, anche se ora ricordo che l'odore di cane aleggiava ovunque. Forse fu quell'odore a farmi pensare di aver sentito i latrati.
Subito dietro la grande porta aperta, le pietre reliquie della fucina di fabbro Garn attirarono la mia attenzione. La terra al centro, dove il muschio diventa di un verde più vivo, era ora segnata da un'orrida bruciatura nera.
[...]
Dopo qualche tempo, mi sedetti al centro delle pietre in forma-d'uomo disposte davanti alla nostra porta. Ne raccolsi una e la guardai. Era grande al massimo quanto il mio pollice e si slargava tanto in alto quanto in basso, mentre la strettoia al centro poteva ricordare un collo. Sulla protuberanza più piccola erano incise le linee di una faccia. La mia volontà era stata quella di farla sorridere ma, quando girai il ciottolo cercando la luce della sera, scoprii di essere stato maldestro con il punteruolo, per cui sembrava ora che quell’uomo urlasse qualcosa in eterno, parole che non sarebbero mai arrivate alle mie orecchie.
Quando toccai la pietra, nella mia fantasia mi parve che quella recasse ancora il calore della mano di mio figlio, e la portai al naso per sentirne l’odore. Allora, la ragione mi abbandonò. Infilai il ciottolo in bocca e cominciai a piangere.

Il cacciatore ha infine compreso quel che aveva da dirgli il mago al momento in cui aveva lasciato il villatico. Ma non è neanche questo il principale "colpo di scena" del racconto, bensì un altro che mi guardo bene dallo svelare qui.


* * *


Quarto racconto:  La Testa di Diocleziano  Dal 290 d.C.
(The Head of Diocletian Post AD 290)


Nel quarto racconto, narrato come tutti gli altri del libro - ormai lo si sarà capito - in prima persona, protagonista è un ispettore del tesoro inviato da Roma su richiesta del tesoriere Quinto Claudio. Lo stesso Quinto Claudio lo invia poi da Londinium fino alla regione che sappiamo, per verificare una storia di presunta falsificazione di moneta imperiale.
Sono gli anni della diarchia voluta da Diocleziano, che nel 285 nominò suo vice Massimiano, per poi elevarlo alla carica di Augusto nell'anno successivo. O siamo forse già nella fase successiva del suo regno, nell'epoca della tetrarchia, in carica dal 293 al 305, quando ai due Augusti, Diocleziano e Massimiano, si aggiunsero due Cesari: Costanzo Clorio, nominato da Massimiano, e Galerio, nominato da Diocleziano.
Diocleziano aveva soggette a sé le province orientali e l'Egitto; Galerio le province balcaniche. Massimiano governava l'Italia, l'Hispania e le province dell'Africa settentrionale escluso l'Egitto; Costanzo Clorio la Gallia e la Britannia.
Comunque sia, nella Britannia del racconto capita già di imbattersi in insediamenti cristiani, sviluppatisi all'interno di una comunità essenzialmente pagana e ancora guardati con diffidenza, dai pagani indigeni come dai romani.
Con analoga diffidenza, del resto, i pagani indigeni guardano alla presenza tra loro degli invasori romani, sebbene almeno un abitante del villaggio in cui ha preso dimora accetti di buon grado di parlare con l'ispettore del tesoro. Questi si trova così messo al corrente di una diceria, tale da distrarlo per il momento dal suo compito e spingerlo a vegliare di notte all'aperto nei pressi di un antico insediamento, nonostante un forte mal di denti lo affligga dall'inizio della sua trasferta.
…non lontano da qui, continuando a salire dopo i campi di cremazione, si incontra un colle dove c’è un villaggio antico, divorato dalle erbacce cresciute per centinaia d’anni sui suoi dossi e i suoi fossati. Un insediamento, così lo ha chiamato. La storia narra che, una notte, decine e decine di persone furono divorate da un branco di cani giganti che non lasciarono neanche un capello o una goccia di sangue a testimoniare la loro esistenza. […] Alcune notti in cima alla collina si riescono a scorgere gli occhi infuocati di mostruosi segugi e il loro sguardo è talmente intenso e terribile che rischiara il cielo. Ora li sto cercando, ma non trovo nulla.(Pag. 137)

Sta per rinunciare e tornarsene alla taverna e al suo letto, quando si accorge di qualcosa:
Sono luci. Lassù, dietro i campi dove bruciano i loro morti e li riducono in cenere ed ombra. Luci sulla collina, ma a sprigionarle non è un branco di cani, a meno che non camminino su due zampe.
Li ho trovati.
(Pag. 138)

Ma poi pensa che sia meglio non fidarsi dei propri occhi, né conveniente correre il rischio di sfidare il fato, e decide di andarsene e tornare l’indomani, per una verifica alla luce del sole.
Ritorna così alla sua stanza, al cui interno trova ogni giorno nuove tracce della ragazza che la occupava prima di lui. Tra di esse, una vecchia collana rugginosa con una fila di perline blu.
Si corica infine, e comincia a riflettere sulla malattia che ha colpito lui e gli altri ispettori inviati con lui da Roma. Il forte mal di denti ne è uno dei sintomi (Pag.143):
Forse noi siamo a tal punto appendice di Roma, che ci ammaliamo quando lei cade ammalata. Forse ci lega un vincolo bizzarra una simpatia tra carne e terra.

La storia prosegue poi con l'apparizione di una ragazza, che l'uomo scambia per la ex inquilina della stanza. Le sue fattezze, però,
…sono più piccole, più tese di quanto non ricordassi, e ora mi sembra tutt’altra persona. Non la riconoscerei neanche, se non portasse quella collana di perle blu, con quel filo di rame lucente.

Comunque sia, acconsente a seguire l'apparizione, che lo guida fino al centro della labirintica capanna di Olun, dove un circolo di persone siede intorno a un fuoco basso. Sono tutti protagonisti dei racconti precedenti. Oltre a uno spaventoso uomo-uccello, vi sono, tra gli altri, un bambino dalla gola squarciata e una vecchia megera senza un piede, collegati a due dei leit-motiv del libro: la gamba mutilata o comunque paralizzata e il collo che viene o strozzato o tagliato, in parte o completamente. La stessa testa di Diocleziano, riprodotta su una delle due facce della moneta, fa parte di questo secondo leit-motiv.
Dall'esterno della capanna proviene intanto un'assordante latrato di cani che si fa sempre più vicino. Finché...
Strappo al mio incubus il respiro che mi ha rubato e mi sveglio nel grigio mattino della mia stanza.
Ho qualcosa in bocca.
Sono colto da un terrore improvviso e sputo quell'affare, temendo si tratti del sassolino che ho visto in sogno, quella forma d'uomo con gli occhi scarabocchiati e le fauci spalancate, ma no. E' un dente.
(Pag. 144)

Come abbiamo visto, l'ispettore del tesoro interpreta, per analogia, la propria malattia come un segno della decadenza di Roma stessa. La prova tangibile di questa decadenza la incontra poi il mattino successivo, quando sale sul colle dove ha visto brillare i fuochi notturni, nel tentativo di risolvere il loro mistero. Quello che scopre equivale per lui a
…un incubus che strappa il respiro. È un orrore senza fondo.(Pag. 149)

* * *


* Bruce Chatwin, Le vie dei canti. Adelphi, 1988; pp. 41-42. Traduzione di Silvia Gariglio.

Dove non diversamente indicato, le citazioni sono tratte da: Alan Moore, La Voce del Fuoco. Edizioni BD, 2006. Traduzione di Leonardo Rizzi e Michele Foschini; editing a cura di Adriano barone e Andrea Carlo Ripamonti.

L'immagine in alto sotto il titolo è: Samantha Keely Smith, Gathering (2010). https://samanthakeelysmith.com/

Le due immagini che accompagnano le sezioni riguardanti i capitoli del libro, sono di José Villarrubia e sono tratte dall'edizione inglese dell'opera.

5 mie cartoline dall'Estate dei Fiori Artici

$
0
0



Questo mese di febbraio si preannuncia all’insegna dei meme per il mio blog, visto che ho deciso di aderire, per il momento, a ben due di quelli in circolazione. Quello che presento per primo, sebbene sia in realtà secondo per apparizione cronologica, l'ho trovato in questo post del blog Appunti a Margine di Chiara Solerio, che si è a sua volta ispirata al post 5 cartoline dai miei personaggi del blog Lettore Creativo di Silvia Algerino. Si tratta di immaginare di ricevere delle cartoline dai protagonisti di un nostro scritto. L'intento originario sarebbe in realtà quello di essere aggiornati sulla situazione al presente dei nostri personaggi, dopo il finale del libro, ma poiché anch'io, come Chiara, sono in corso d'opera, seguirò la sua stessa soluzione di far parlare i miei personaggi (ma in realtà uno solo: il vostro umile cronista) dal passato, da alcuni dei luoghi citati nel mio romanzo L’Estate dei Fiori Artici. Il principale protagonista della storia sono infatti io, e sarò quindi io a compilare le cinque cartoline previste. In quanto al loro destinatario, facciamo che le prime tre siano indirizzate a uno qualsiasi dei miei amici di allora, mentre le seconde due le invierò direttamente al mio amico Daniele, protagonista con me della prima parte del romanzo. In fondo qui si gioca e ci si diverte - in modo, si spera, intelligente - nel frattempo che, perché no?, ci si fa anche un po' di pubblicità.
Fra parentesi, qualcuno di voi forse ricorderà che un anno e mezzo fa avevo anche pubblicato un resoconto dello stato di avanzamento della mia revisione - in questo post dedicato alla domanda scomoda per eccellenza, A che punto sono? - che mostrava come avessi ormai consegnato allo stato definitivo il 60% del totale. Del rimanente 40% in questo anno e mezzo ho completato... non so, dovrei rifare i conti, e forse li rifarò presto, ma torniamo per il momento al presente post. Quelle che ho scelto sono tutte immagini di vere cartoline, messe in vendita nel circuito del collezionismo, che ho reperito su e-bay. Le prime tre sono collegate alla prima delle quattro parti in cui si divide L’Estate dei Fiori Artici, relativa a un mio viaggio da Firenze a Parigi compiuto interamente in autostop, in soli due giorni e tre tappe - Firenze-Genova, Genova-Modane, Modane-Parigi - nell’estate del 1979. Io all'epoca avevo diciotto anni, quasi diciannove, avevo appena terminato il liceo artistico e dividevo un appartamento con mia madre e mio fratello. Questo era il mio primo viaggio all'estero, condiviso con un amico che ho appunto ribattezzato, per ragioni di privacy, Daniele.


* * *


La prima cartolina l'ho scritta e spedita da Genova il 27 luglio 1979.

E noi che avevamo paura di non riuscire a trovare un passaggio prima di chissà quante ore! Invece è a malapena ora di pranzo e siamo già a Genova. E senza avere ancora tirato fuori di tasca un soldo! Certo, la scorta di scatolette di tonno e frutta finirà entro stasera o domani, ma finché possiamo continuiamo con la nostra filosofia del risparmio a ogni costo. E speriamo anche di continuare a essere fortunati con l'autostop.

La seconda cartolina l'ho spedita invece dal suolo francese, da Modane, il 28 luglio 1979.

Incredibile! Un solo giorno di viaggio ci è bastato per attraversare il confine. Sembra proprio che qualcuno lassù abbia deciso di darci una mano. E' stato bellissimo anche dormire nel sacco a pelo sotto il cielo stellato, con le Alpi sullo sfondo. Adesso riprendiamo a fare autostop. E se la fortuna ci assisterà oggi come ieri, stasera saremo già a Calais, pronti a imbarcarci su un traghetto per l'Inghilterra.

La terza cartolina l'ho inviata, sempre il 28 luglio, dalla capitale. Vi è raffigurata Place St Michel, con la celebre fontana dell'arcangelo.

Per ora tutto bene, o quasi. Alla fine ho fatto qualcosa che con il senno di poi avrei dovuto evitare, visto che ha scombussolato i nostri piani e ci ha costretti a trattenerci a Parigi più del previsto, ma ormai non posso più farci niente. Il caso ha comunque voluto che la notte che pensavamo di dover trascorrere all'aperto, in qualche piazza o parco, la passeremo al chiuso e almeno di questo possiamo esser contenti. Contiamo di rimetterci in viaggio domani mattina presto.

La quarta cartolina, del 4 agosto 1979, ha a che fare con la seconda parte del romanzo e proviene da Follonica.

Caro Daniele, so che non potrai leggere questa cartolina fino al tuo ritorno dall'Irlanda, e forse a quell'ora sarò già rientrato anch'io, ma non importa. Sono sceso dal treno pochi minuti fa e sto per avviarmi verso un campeggio a pochi passi dalla spiaggia dove trascorrevo un tempo le mie estati. Ho infatti deciso che un po' di tranquillità, dopo l'esperienza della notte parigina, è quel che mi ci vuole, sebbene io non riesca a incolpare Parigi di niente. Spero anzi di tornarci presto, perché l'ho trovata una città meravigliosa. Non so chi di noi due tornerà a casa per primo ma io credo che mi tratterrò a Follonica fin quasi a fine agosto.

Infine, la quinta e ultima cartolina l'ho inviata, in data 19 agosto 1979, dal cuore assolato e selvaggio della Maremma Toscana. I fatti a cui accenno costituiscono la terza e quarta parte del mio romanzo.

Caro Daniele, ti scrivo di nuovo anche se immagino tu sia ancora in Irlanda. Ancora una volta è successo qualcosa che ha modificato i miei piani e in modo ben più radicale della notte di Parigi. Stavolta non mi sono quasi mosso, d'accordo, eppure mi sono trovato coinvolto in una serie di vicende che al confronto fanno impallidire quelle che abbiamo vissuto insieme in quell'occasione. Ne avrò di cose da raccontarti al mio, o tuo, ritorno!

E questo è tutto. Sono molto contento di aver aderito al meme di Silvia, sebbene in una versione modificata dalla particolare natura del mio scritto, poiché ho potuto così anticipare, per la prima volta, qualcosa de L'Estate dei Fiori Artici. Spero che vi siate divertiti a leggere questo post come io mi sono divertito a compilarlo.


* * *


L'immagine in alto sotto il titolo è: Vladimir Kush, Atlas of Wonder.

Solve et Coagula - Pagina 162

$
0
0




Parte II - Capitolo 3 /5


Le due settimane che seguirono sembrarono poi a Massimo un’alternanza continua di purgatorio e paradiso. Il purgatorio, altro non era che una versione estesa di tutto il menu di scomodità, attese e dormiveglia che aveva già sperimentato, in sintesi, nella sua prima, scioccante notte di viaggio con Paula Susi. La giovane donna, infatti, anziché condurlo direttamente fino a Mont Saint-Michel, che lui aveva capito dovesse essere la prima tappa del loro viaggio, costrinse Massimo a un vero e proprio tour de force da un angolo all’altro della Normandia. Una scelta resa ancor più incomprensibile ai suoi occhi dal fatto che Paula sembrava in realtà conoscere a menadito sia la storia sia le principali attrazioni di tutti i luoghi che visitavano.
Ma Paula sembrava anche soffrire di strane idiosincrasie, oltre che, forse, di claustrofobia. Si oppose subito con forza alla proposta di Massimo di noleggiare un auto, sostenendo che preferiva da sempre utilizzare i mezzi pubblici, poi si rifiutò di entrare in quasi ognuno di quegli stessi gioielli dell’architettura religiosa, di età normanna o successiva, di cui gli decantava, dall’esterno, le infinite meraviglie. La scusa che avanzava, e che lui trovava ben difficile da accettare, era quella di essere venuta in Normandia per una cura di sole e aria. Andò così a finire che in quei casi, in verità neanche troppo frequenti, in cui Massimo si sentiva invogliato a visitare anche l’interno di un determinato edificio, lei preferisse quasi sempre aspettarlo all’esterno. Gli assicurava comunque che avrebbe fatto un’eccezione con Mont Saint-Michel, tra i cui bastioni desiderava trascorrervi almeno una notte. L’ultima di quella parte del loro viaggio, specificò.
“Parte di viaggio” può solo significare una cosa, concluse tra sé e sé Massimo: che dopo la Normandia si sarebbero spostati altrove. Ma dove?
«Ti ho già detto, mi pare, che lo saprai quando sarà il momento» era stata la brusca risposta, dopo che lui si era risolto a chiederglielo di nuovo, nel corso di uno dei loro spostamenti in pullman.
Al che lui aveva replicato a sua volta spazientito. «Nel caso te ne sia scordata, ti ricordo che io devo essere di ritorno in Italia prima della fine di settembre».
Paula aveva allora ribattuto di nuovo, sebbene con più dolcezza. «Forse sei tu a esserti scordato che non sei il solo tra noi due ad avere degli obblighi. Dimentichi forse che io lavoro in un ospedale? Se tu devi essere di ritorno in Italia entro la fine del mese, io per la stessa data devo essere in Inghilterra».
Il ragionamento non faceva una grinza, ma non bastava a dissuadere Massimo dai suoi sospetti. Quando poi, a una settimana di distanza dal loro sbarco a Calais, si spinse anche a chiederle perché dovessero vagabondare nel nord della Francia, mentre a quell'ora avrebbero potuto già trovarsi molto più a sud, lei gli fece finalmente intendere che dovevano essere a Mont Saint-Michel per una data precisa, né prima né dopo. Tacendone però ancora una volta il motivo.
Era tutto questo che confluiva a formare il "lato purgatorio" della faccenda. Mentre il "lato paradiso"... il lato paradiso era esattamente ciò che tratteneva Massimo dal fare di testa sua, mollare la sua affascinante, ma troppo complicata compagna di viaggio, e tornarsene da solo e in tempi rapidi in Italia. Era infatti successo che poco dopo il loro arrivo alla stazione degli autobus di Rouen da Calais, i due fossero saliti su un taxi e avessero raggiunto un hotel situato al di là della Senna, nella parte vecchia della cittadina. Una volta poi davanti al banco della reception, Massimo si sentì cogliere da un capogiro, nell'udire la richiesta di Paula di una camera matrimoniale per loro due. Per fortuna l’hotel ne aveva ancora una disposizione e lui vide così concretizzarsi, senza alcun preavviso, un’aspettativa che in quei due frenetici giorni di viaggio aveva fatto di tutto per cancellare, o almeno tenere a bada nella propria mente. Un altro istante e, davanti a quella promessa di gioie ineffabili, tutte le difficoltà del viaggio, già vissute o ancora di là da venire, gli apparvero come qualcosa in fin dei conti sopportabile.



Nei primi giorni di malato sole...

$
0
0



Viene Febbraio, e il mondo è a capo chino, ma nei convitti e in piazza
lascia i dolori e vesti da Arlecchino, il carnevale impazza,
il carnevale impazza...

L'inverno è lungo ancora, ma nel cuore appare la speranza
nei primi giorni di malato sole la primavera danza,
la primavera danza.


Francesco Guccini, Canzone dei dodici mesi


Questo febbraio si sta mostrando, per il momento, uno dei più insoliti dal punto di vista della mia attività di blogging. Dall'esterno potrebbe sembrare un periodo di stanca: già a metà mese e tre soli post pubblicati, compreso questo. Ma in realtà per me è stato vero l'opposto, tant'è che ho finito per partecipare a uno solo dei due meme a cui mi ero prefisso di aderire: a quello ormai famoso, creato da Silvia Algerino, sulle cartoline spedite dai nostri personaggi. L'altro era, per chi fosse incuriosito, il Linky Party 2017: Words from Books, organizzato da Marina Zanotta.
Proprio la partecipazione al meme di Silvia, in cui per la prima volta ho svelato alcune parti del mio romanzo in corso d'opera L'Estate dei Fiori Artici, mi ha poi invogliato a creare una nuova Pagina Statica nel blog e tenuto impegnato per lo stesso tempo che mi avrebbe richiesto realizzare un nuovo post. Il resto lo ha fatto la Moz-intervista, alle cui domande ho risposto in pochissimo tempo ma che si è rivelata molto impegnativa nella fase successiva, di lettura e risposta ai commenti di tutti quelli che, numerosi, sono intervenuti a commentare sul Moz O'Clock. Un grazie a tutti loro, a cominciare da Miki Moz che, da quel blogger sopraffino che è, ha risposto a sua volta a ogni commento.



Ma permettetemi di tornare adesso alla mia nuova pagina statica: Trilogia di Shaula. Per dire che funziona sia da introduzione a quella che io chiamo, per semplificare, la mia opera magna - così magna che mi sta richiedendo tutto il tempo che non ho per completarla - sia da contenitore dei link ai miei vari articoli che la riguardano. Il lato inedito è costituito essenzialmente da due elementi: una copertina provvisoria e un primo tentativo di quarta di copertina, entrambi relativi a L'Estate dei Fiori Artici. La copertina la realizzai addirittura nel 2011, pochi mesi dopo l'inizio della prima stesura, e difatti non porta neppure il titolo definitivo del romanzo, ma semplicemente quello di Shaula.



Detto questo, credo che, salvo nuove sorprese, dai prossimi giorni ricominceranno ad apparire sul blog gli articoli regolari. Nel frattempo vi invito tutti a leggere, e magari anche commentare, sia la Moz-intervista che la nuova Pagina Statica, ai seguenti link:


* * *


L'immagine in alto sotto il titolo è: Rowland Hilder (1905-1993): A February Day.

Tutto inizia da Z, o da C

$
0
0



Per me tutto è iniziato da C. Da Christina Ricci. Non avevo minimamente indagato in anticipo sulla natura della prima, e per ora unica, stagione di Z: The Beginning of Everything, e se ho deciso di vedere i dieci episodi che la compongono è stato solo per la presenza dell'attrice tra i protagonisti. E neanche sapevo, prima di iniziare la visione, che il ruolo di Christina è quello principale della serie.
La misteriosa lettera Z del titolo, e questo lo si scopre fin dalle scene iniziali dell'episodio pilota, sta infatti per Zelda, che è il nome della figura femminile, interpretata da Christina Ricci, al centro della vicenda. Le stesse scene lasciano poi intendere che ci aspetta la storia di una giovane donna dai comportamenti anticonvenzionali, e che, a giudicare dall'acconciatura dei suoi capelli e dal costume da bagno che indossa, i tempi chiamati in causa sono gli anni '20 del Novecento, o i loro immediati dintorni. Non so ancora se si tratti di una storia vera o dell'adattamento di un'opera letteraria, ma ecco che una citazione, che affiora su schermo a un minuto e mezzo dall'inizio, mi fa propendere per la seconda ipotesi. E' a firma Francis Scott Fitzgerald, e recita: I love her and it is the beginning of everything.




Naturalmente tutta la mia confusione o non sarebbe esistita o si sarebbe risolta in un istante se io avessi saputo, dello scrittore americano, qualcosa di più dei nomi dei suoi titoli più famosi, Il grande Gatsby o Tenera è la notte. Oppure se avessi visto il film di Woody Allen, Midnight in Paris. O, ancora, se avessi letto il libro di Pietro Citati - un autore di cui ho in effetti affrontato varie opere - La morte della farfalla. Ma niente di tutto questo è mai accaduto e io mi sono trovato ad affrontare la visione di Z: The Beginning of Everything senza sapere che narra la storia d'amore, intensissima e fuori dagli schemi, di una coppia allo stesso tempo solida e fragilissima, unita dalla comune passione per l'arte e per la vita vissuta sopra le righe, oltre che dal riconoscersi e interfacciarsi dei loro tragici destini. Quello di Francis Scott Fitzgerald si compirà all'età di quarantaquattro anni, nel 1940, quando morirà colpito da un attacco di cuore, minato nel fisico dagli eccessi alcolici del passato e da estenuanti sessioni di scrittura, e nella psiche dalle disillusioni della vita. Quello di Zelda Sayre Fitzgerald si compie invece nel 1948, all'età di quarantasette anni, nel corso dell'incendio dell'ultima della serie di case di cura in cui si era trovata sballottata, a causa di una diagnosi di schizofrenia, nei suoi ultimi vent'anni di vita. Icona femminista, perché pioniera dell'emancipazione femminile e combattente per i diritti delle donne, la stessa Zelda Sayre, oltre ad aver coltivato a lungo il sogno di diventare una grande ballerina, era stata scrittrice fino all'ultimo, sebbene sempre adombrata dalla figura gigantesca del marito e talvolta da lui sminuita nei suoi sforzi. Tra le altre cose, nel finale della sua vita, si dedicò alla revisione del quinto e ultimo romanzo di Scott Fitzgerald, Gli ultimi fuochi (The Last Tycoon), rimasto incompiuto.



Realtà e finzione a confronto. Dall'alto in basso e da sinistra a destra:
Zelda Sayre Fitzgerald, Francis Scott Fitzgerald, David Hoflin, Christina Ricci


Z: The Beginning of Everything, è una serie televisiva diffusa su Amazon Prime Video dal febbraio 2017, dopo l'episodio pilota trasmesso nel 2015.  E' basata sul romanzo biografico Z: A Novel of Zelda Fitzgerald di Therese Anne Fowler (che nei titoli di coda figura anche come produttrice della serie) e pare che Christina Ricci, che oltre che quello di attrice protagonista riveste a sua volta un ruolo di produttore esecutivo, abbia fortemente voluto la sua realizzazione. E questo basta probabilmente a spiegare perché proprio lei nel ruolo di Zelda e non altre attrici forse più indicate a rivestirlo.
I dieci episodi della prima stagione, tutti di durata inferiore a mezz'ora, coprono circa due anni della vita dei due protagonisti, dal momento del loro incontro nel 1918 fino alla soglia del loro primo viaggio in Europa nel 1920.
Durante le ultime fasi della prima guerra mondiale, il sottotenente Francis Scott Fitzgerald è di passaggio a Montgomery, nell'Alabama, in attesa di raggiungere Long Island e imbarcarsi per l'Europa (cosa che poi non avverrà, perché la guerra finirà prima). In occasione di un ballo al Country Club di Montgomery incontra la bella del paese, Zelda. I due si piacciono subito, ma la ragazza, che bada anche al sodo, accetterà di sposare lo scrittore solo nel 1920, a New York, dopo che sarà riuscito a farsi pubblicare il suo primo romanzo, Di qua dal Paradiso (This Side of Paradise). Nel frattempo, fra questi due eventi, assistiamo al tentativo di Francis Scott Fitzgerald di piazzare, senza successo, all'editore Scribner il romanzo The Romantic Egotist, prima versione di This Side of Paradise, alla conseguente depressione affogata nell'alcol, e infine alla riscrittura, durante tre mesi di isolamento a St. Paul, nel Minnesota, paese di origine dello scrittore, e alla successiva accettazione dell'opera da parte dello stesso editore.


La lettera di rifiuto per The Romantic Egotist,
prima versione di This Side of Paradise.


Dopo il matrimonio, Scott e Zelda trascorrono la loro luna di miele al Biltmore Hotel di New York, da dove sono però presto espulsi per ubriachezza molesta. Alla ricerca di un po' di quiete, ambita soprattutto da Fitzgerald per la stesura del suo secondo romanzo, trascorrono l'estate in una casa Westport nel Connecticut. Ma il richiamo di New York è troppo forte e a ottobre vi ritornano. Affittano un appartamento e danno di nuovo scandalo. La serie si conclude con un nuovo soggiorno a Montgomery, dove Zelda si confronta con il suo passato, ma solo per scoprire che se la vita che si era lasciata alle spalle appena un anno prima è rimasta più o meno la stessa, lei è ormai, al contrario, irrimediabilmente cambiata.
Fin qui, a grandi linee, la prima stagione. Ma mi sono nel frattempo un poco documentato sulla vita dei due, e l'impressione che ne ho tratto è che, da eventuali future altre stagioni, potrebbe uscire fuori qualcosa di molto succoso. Non ci resta che sperare. E stavolta potrei anche far cominciare tutto da Z.




The Studio Section Four - Jeffrey Catherine Jones /7

$
0
0



Abbiamo visto, nei due post precedenti, come gli anni tra il 1972 e il 1975 - anni coincidenti per Jeff Jones con il suo esilio, dapprima convinto poi sofferto, nella campagna di Woodstock - siano stati accompagnati per tutta la loro lunghezza dall'esperienza di Idyl - ovvero, per dirla con le parole dell'artista, "dall’anarchia di un mondo di intuizioni libere dall’intelletto". Mentre un'altra serie, non troppo lontana per concezione, Jones Touch, aveva avuto vita molto più breve. Dobbiamo adesso considerare, anche per questi tre anni trascorsi lontano da New York City, l'altra faccia dell'artista: quella legata, fin dagli esordi, ai mondi della fantascienza, del fantasy e dell'horror.
Jones continuava, come prima, a creare copertine per paperback di fantascienza o fantasy, così come realizzava illustrazioni di copertina o interne, e fumetti, per riviste e fanzine dedicate al fantastico. Nel 1972, una collaborazione lampo con la Skywald Publications - casa editrice di New York con una spiccata predilezione per l'horror - gli consentì, per esempio, di scrivere e disegnare un paio di brevi storie autoconclusive in bianco e nero, nello stile di quelle pubblicate dai magazine della Warren Publishing, con cui aveva collaborato fino all'anno prima.
La Skywald Publications, fondata dai due veterani dell'editoria a fumetti Sol Brodsky e Israel Waldman, aveva esordito nel dicembre 1970 con il primo numero di Nightmare, per poi concludere la sua breve esistenza nel marzo 1975, con il numero 24 di Psycho, di pari passo con il ridimensionarsi del boom dei fumetti horror che negli USA aveva caratterizzato la prima metà degli anni '70. Brodsky e Waldman riuscirono comunque, al di là della brevità dell'esperienza, a coinvolgere nel loro progetto editoriale un discreto numero di talenti, tra i quali la futura star del fumetto americano John Byrne, che esordì da professionista su Nightmare numero 20 dell'agosto 1974.




Oltre a due belle copertine (quelle riprodotte qui sopra), Jeff Jones scrisse e disegnò per la Skywald due storie a fumetti, rispettivamente di cinque e sei pagine, pubblicate sui numeri 6 e 9 di Psycho del maggio e novembre 1972: Sleep e All the Ways and Means to Die. Questa seconda storia, adattamento di un racconto di Larry Niven apparso su un numero di Galaxy del 1968, avrebbe dovuto apparire in origine nel primo numero, mai realizzato, di una nuova rivista dal titolo Science Fiction Odissey. Entrambe le storie presentano un impianto decisamente classico, sia nei testi che nei disegni, ma dal punto di vista figurativo rappresentano comunque un indiscutibile salto di qualità rispetto al precedente periodo Warren. Inoltre, trattandosi in ambedue i casi di oscure meditazioni sul tema della morte, svolgono in retrospettiva un ruolo da trait-d'union con un'opera, di ben altro spessore, che sarebbe arrivata di lì a poco: l'albo one-shot intitolato Spam!

Nel 1973, la Last Gasp, una casa editrice di fumetti underground, concede a Vaughn Bodé e Jeff Jones di sbizzarrirsi a piacere per lo spazio di un albo ciascuno. Che il risultato sia stato di due opere, Schizophrenia/Bodé e Spam!, lontane dai canoni dell'underground classico, credo che non se ne sia mai lamentato nessuno, a cominciare dai responsabili della casa editrice, poiché si tratta, in entrambi i casi, di due pietre miliari all'interno delle rispettive bibliografie dei due artisti. Di Schizophrenia/Bodé ho già detto a suo tempo in Bodé on the Moon, settimo post della serie Vita, opere e morte del messia del fumetto. Resta da parlare di Spam!, albo di trentadue pagine in bianco e nero, con package a quattro colori (qui sotto), che raccoglie nove storie e tre illustrazioni a opera di Jeff Jones.




Avrete forse notato che il retro di copertina offre una versione a inchiostro del dipinto di cui presento un dettaglio nell'immagine di apertura del post: The Kiss, chiaramente ispirato al famoso quadro omonimo di Gustav Klimt. Ma l'immagine presenta anche un dettaglio curioso, come dimostra il sottostante ingrandimento della sua parte superiore: lo sfondo è stampato a rovescio rispetto alla figura che vi fluttua sopra fluttua, come evidenziano la sigla di Jones e la navetta interstellare, entrambi capovolti.




Ma a parte questa probabile distrazione, il retro di copertina rende senza dubbio meglio l'idea del contenuto di Spasm! di quanto non faccia la copertina "ufficiale". A parte un paio di storie che richiamano da vicino i mondi di Idyl e Jones Touch, per il resto è ancora la morte a fare da leit-motiv dell'albo, pur nella varietà dei generi narrativi e dello stile di realizzazione. Ecco di seguito due delle storie di punta di Spasm!: il fanta-horror Saved e la celebre Spirit of '76, storia che ha occupato fin da subito un posto d'onore tra i classici del brivido a fumetti.







* * *


L'illustrazione in alto sotto il titolo è: Jeffrey Catherine Jones, The Kiss (n/d, detail).



The Studio Terzo intermezzo: Luana la figlia della foresta vergine

$
0
0



Una giovane donna assolda una guida per ritrovare il padre scomparso anni prima con il suo aereo in Africa. Mentre la spedizione di ricerca si muove nella giungla, una ragazza selvaggia li osserva e li studia di nascosto...

Domanda: Cosa c'entra con The Studio una tarzanata italica al femminile degli anni '60, primo dei due soli film diretti da Roberto Infascelli, autore di cinema di genere morto prematuramente, all'età di trentotto anni, in un incidente d'auto?

Risposta: Molto poco, lo ammetto, eppure abbastanza da poter entrare a far parte, se non della serie principale, almeno di uno degli intermezzi di The Studio. Vediamo come e perché.


Luana la figlia della foresta vergine, men che mediocre produzione italo-tedesca, debutta nelle sale italiane nel marzo del 1968. Com'è facile immaginare, il film punta molto sulle forme della giovane attrice Mei Chen Lou (futura Mei Chen Chalais), sebbene non mostri nessuna effettiva scena di nudo, a differenza di quel che aveva fatto per esempio il suo antesignano tedesco Liane, das Mädchen aus dem Urwald (Liana, la figlia della foresta) una dozzina di anni prima (1956).
La più bella selvaggia apparsa sugli schermi, recinta la locandina italiana del film. Sarà così? Non sarà così? Non è nelle intenzioni di questo post cercare di scoprirlo, così come non è nelle sue intenzioni cercare di decidere a quale livello (s)qualitativo si collochi la pellicola. Quel che interessa qui è altro, ossia lo strabiliante percorso di marketing compiuto da questo filmetto una volta lasciate le sponde europee.




E' il 1972 quando la Capital Films Corporation di Sol Fried acquista i diritti di distribuzione negli Stati Uniti di Luana la figlia della foresta vergine, dimostrando di avere le idee molto chiare fin dall'inizio. Fried e soci puntano infatti subito sui nomi giusti: sullo scrittore di fantascienza Alan Dean Foster per la novelization del film e sull'illustratore Frank Frazetta e il fumettista Russ Manning per la parte artistico-promozionale.
Frazetta e Manning sono, all'epoca, le due punte di diamante della tradizione figurativa nata intorno all'universo narrativo di Edgar Rice Burroughs: il primo è l'autore del momento delle copertine dei paperback che ristampano i cicli narrativi di Burroughs, mentre l'altro gode di un'altissima considerazione tra i tarzanofili a causa del suo eccellente lavoro sulle strisce sindacate di Tarzan.
Se Fried e soci avevano, come si presume, aspettative alte, non credo siano andate deluse, visto le eccellenti prove fornite anche in questa occasione dai due artisti.

Frank Frazetta crea due splendidi dipinti per le locandine di Luana, sebbene reinventando ampiamente la figura della giovane protagonista.





A Manning viene invece richiesto di realizzare una versione a tratto del primo dei due dipinti di Frank Frazetta, cinque finte strips sindacate, e una affiche che pubblicizza l'uscita del film in tutte le sale il 7 novembre 1973.
Il tutto viene impiegato per comporre una brochure promozionale di quattro pagine.



E Foster? Alan Dean Foster si trova con un problema da risolvere: sceneggiatura e film esistono solo in lingua italiana, e nel caso del film i sottotitoli in inglese non sono ancora pronti. Non c'è però tempo di aspettare e lo scrittore decide di basarsi solo sulle immagini, reinventandosi da zero i dialoghi.
La novelization uscirà nel giugno del 1974, per i tipi della Ballantine Books, con in copertina l'ormai noto dipinto di Frazetta.



Ma non è ancora finita. Alla fine del 1973 l'editore Jim Warren chiede a Neal Adams di ricavare un nuovo disegno a tratto dal solito dipinto di Frazetta.
Ecco una parte della loro conversazione:
"Mi chiedi di ricavare un disegno a tratto da un dipinto di Frazetta. Perché non chiedi direttamente a Frazetta di farlo?".
"Perché Frazetta non vuole farlo".
"Bene, lo farò ma solo se è d'accordo anche Frazetta. Non voglio farlo e ricevere poi una telefonata da Frank".
"Non preoccuparti. Va benissimo. Lui ha dato il permesso. Non c'è nessun problema".

Il disegno di Neal Adams uscirà sul retro di copertina del numero 30 di Vampirella, come réclame della storia Luana, prevista per il numero 31.



Si saranno forse notati i colori psichedelici dell'immagine, che hanno una loro spiegazione. Superata la fase acuta della crisi, la Warren Publishing aveva puntato soprattutto sulla scuola spagnola del fumetto per risalire la china. Ma una vola recuperata la buona reputazione degli inizi, aveva anche ricominciato ad attrarre i grandi nomi del fumetto americano. Torreggiava su tutti un giovane artista ricco di talento e con uno spiccato gusto per l'orrido e il grottesco, proveniente dalle fila dell'underground: Richard Corben. Tra le caratteristiche preminenti della sua arte: i colori spinti all'eccesso. E sua, di Corben, è appunto la particolare colorazione del disegno a china di Neal Adams.

Quando poi esce l'annunciato numero di Vampirella con all'interno il fumetto Luana, sulla copertina dell'albo fa la sua comparsa per l'ennesima volta lo stesso dipinto di Frazetta.



In quanto al racconto a fumetti, si tratta di un adattamento di tredici pagine della storia del film con i testi di Doug Moench e i disegni di Esteban Maroto, uno dei famosi "spagnoli" assoldati dalla Warren.
Ecco la pagina di apertura:



Non so se il colossale battage pubblicitario del film abbia percorso anche altre vie, ma per quel che riguarda l'argomento del post penso di aver messo in fila tutto il possibile e immaginabile. Mi manca solo, prima di concludere, di accennare all'esile legame che lega questa vicenda alla saga di The Studio.
Parlavo poco sopra del richiamo che aveva ripreso a esercitare la rinata Warren Pubblishing, anche su quegli artisti che avevano disertato le sue fila in coincidenza con il momentaneo abbandono di Jim Warren e l'inizio della crisi. Jeff Jones, che riprese a realizzare storie per Vampirella dal numero 32, era uno di loro. E anche lui, come Neal Adams, dovette subito confrontarsi con l'astro del momento: Richard Corben. Lo vedremo meglio nel prossimo post, l'ottavo della Section Four.


* * *


L'immagine in alto sotto il post è: Frank Frazetta, Luana (c. 1972, detail).

Trilogia delle Madri /11: La Prima Madre nella visione di Rudolf Steiner

$
0
0




Morte è quanto vediamo da svegli;
quanto vediamo dormendo, sogno.

Eraclito, Dell'Origine [fr. 90]


1413 e.v. Secondo l'insegnamento di Rudolf Steiner questa particolare data segna l'inizio della quinta era post-atlantidea, la nostra. Ma è anche l'inizio di un cambio di paradigma che si svolge all'insegna di un capovolgimento di prospettiva: il mondo interiore della coscienza, che fino ad allora aveva costituito la realtà primaria, ed era stato il principale campo di indagine, diviene una realtà secondaria; il mondo fisico esteriore, considerato fino ad allora una realtà secondaria, diventa la realtà primaria e il nuovo principale oggetto di studio. È una constatazione fondamentale, questa, per capire la particolare interpretazione che Rudolf Steiner dà della natura delle Madri.

Riprendiamo intanto in considerazione l’identificazione che Steiner fa tra le Madri e le tre dee Rhea, Demetra, Persefone, e tra queste e le fasi Saturnia, solare e lunare dell'evoluzione terrestre intesa nel suo senso più ampio.
[Se] solleviamo lo sguardo verso Saturno, Sole, Luna, vi troviamo le Madri che i misteri greci hanno espresso in una forma diversa: Prosperpina [Persefone], Demetra, Rhea.

Così scrive Steiner nella quarta conferenza del ciclo La scienza dello spirito e il Faust di Goethe, dedicata esplicitamente al tema delle Madri.




Sembrerebbe, dal passo citato, che la corrispondenza sia: Persefone-Saturno, Demetra-Sole, Rhea-Luna. Steiner, tuttavia, se nella sua conferenza mantiene sempre invariata la successione Saturno-Sole-Luna, non fa altrettanto con i nomi delle tre dee, che elenca secondo un ordine variabile. E questo confonde le cose.
A me sembra in ogni caso che l’identificazione più plausibile sia questa: Rhea-Saturno, Demetra-Sole e Persefone-Luna. Per una pura questione di genealogia divina: Rhea, una titanide, appartiene alla prima generazione di dei; Demetra, figlia di Crono e Rhea (e quindi sorella di Zeus), appartiene alla generazione successiva di dei; terza e ultima viene Persefone, figlia di Demetra.
Ma qualunque sia l'interpretazione corretta, è sempre utile ricordare che Steiner non sta parlando di corpi planetari, ma delle forze che vi sono connesse e che, lungi dall’avere esaurito la loro azione, continuano ad influire anche sul corso della quarta, attuale fase di evoluzione terrestre. Queste forze sono le Madri.




Forse ricorderete, dalla mia esposizione generale dell'insegnamento steineriano in tre parti, quanta influenza abbiano avuto gli impulsi, o forze, lunari sul particolare corso della quarta, attuale, fase evolutiva cosmica: la fase detta "terrestre". Il particolare rapporto pianeta-satellite fa in effetti sì che l'insieme Terra-Luna formi come un’unità, dove gli impulsi lunari invadono tutto lo spazio esistente tra la Luna e la Terra e l'interno della Terra stessa. E' come se, in un certo senso, la Terra ospitasse nella sua interiorità la Luna, che rimane in ogni caso un agglomerato di forze estranee che necessitano, per così dire, di essere maneggiate con cura. Le sole persone in grado di farlo con cognizione di causa sono gli iniziati alla scienza spirituale, ripartita tra i vari oracoli, con i misteri che vi sono connessi. Le stesse forze sono altrimenti subite passivamente dal resto dell'umanità.

E' a causa di questa perturbazione lunare che si forma, all'interno del globo terrestre, qualcosa che Steiner definisce "essere elettrico" o anche “impulso lunare rimasto indietro” o “ritardato” - una definizione che indica chiaramente delle forze, o impulsi, che non stanno al passo dell’ordinario percorso evolutivo diventando, al contrario, un ostacolo al suo processo.
I greci della IV età post-atlantidea, continua Steiner, erano ancora in grado di riconoscere l’affinità di questo particolare "essere elettrico", una delle Madri, con le forze della riproduzione, della crescita, della prosperità. Mantenevano però tutto celato dietro il velo del segreto misterico. E altrettanto facevano con quel che aveva a che fare con le altre due Madri. Mentre la decadenza della civiltà caratteristica delle successive età post-atlantidee è legata a doppio nodo alla desacralizzazione e messa allo scoperto, sotto gli occhi di tutti, di tali forze. Durante il nostro quinto periodo post-atlantideo è successo con l'elettricità; nel sesto e settimo periodo post-atlantideo, proseguendo la fase di decadenza della civiltà, succederà con le altre due forze o Madri.




La misura in cui tali forze lunari, la terza (o forse prima) Madre, siano collegate al male, lo si evince meglio dalla conferenza successiva del ciclo, la quinta, dove Steiner afferma che ogni periodo evolutivo ha un suo particolare compito da assolvere. Quello del quinto periodo post-atlantideo, iniziato nel 1413 e destinato a terminare nel 3573, è di confrontarsi con “il problema del male”.
Il male si accosterà all’uomo del quinto periodo post-atlantideo in tutte le diverse forme possibili e in modo tale che egli dovrà risolvere scientificamente la natura, l’essenza di esso e venire a capo, nel suo amare e odiare, di tutto ciò che proviene dal male, dovrà lottare, combattere contro le controforze che il male opporrà agli impulsi del suo volere.

Come vi sarete forse accorti, qui entra in gioco un punto fondamentale della questione, che si ricollega con quanto ho scritto all'inizio del post: se le Madri sono di per sé concepibili, in una data misura, come forze negative e contro-iniziatiche, la pienezza della loro azione funesta si manifesta solo una volta che, sottratte al loro alveo naturale, che è quello sotterraneo del sacro e del segreto, sono "traslate" nel mondo di superficie della conoscenza profana e utilitaristica.




La Luna (le forze o impulsi lunari) è quindi la prima, e per ora unica Madre, a essersi resa tangibile, in forma di elettricità, sulla Terra. Le altre due rimangono, per il momento, in attesa nelle loro profondità sotterranee, accessibili solo a coloro che sono in grado di penetrare, nella misura in cui è loro possibile, oltre il velo del segreto che ancora le tiene separate dal resto dell'umanità.


* * *


Le immagini di accompagnamento al post sono dei fermo immagine del film Suspiria di Dario Argento (1977).

Il frammento di Eraclito è nella traduzione di Angelo Tonelli. Da: Eraclito, Dell'Origine. Feltrinelli, 1993.

Trilogia delle Madri /12: Sulla via di Eleusi

$
0
0



Inno omerico a Demetra


314-319:

Dapprima, egli incitò Iride dalle ali d'oro a chiamare Demetra dalle belle chiome
che ha molto amabile aspetto. Così disse,
ed ella a Zeus dalle nere nubi, figlio di Crono, obbediva;
e corse con passi veloci attraverso lo spazio.
Venne alla rocca della odorosa Eleusi,
e trovò nel tempio Demetra dallo scuro peplo; [...] (R.F.)

Innanzi tutto incitò Iride dalle ali d'oro a convocare Demetra dalla bella chioma,
dal molto desiderabile sembiante. Così disse,
e essa obbediva a Zeus dalle nuvole nere, figlio di Kronos,
e corse dall'uno all'altro luogo con piedi veloci
e giunse alla rocca di Eleusi profumata,
e trovò nel tempio Demetra dal peplo scuro [...] (A.T.)

347-351:

«O Ade dalla chioma color porpora, che regni sui morti,
Zeus, il padre, mi ordina di condurre fuori dall'Erebo, fra gli dei,
l'augusta Persefone, affinché la madre
rivedendola coi suoi occhi ponga fine al rancore
e all'ira inesorabile contro gl'immortali; [...]» (R.F.)

"O Hades, dalla chioma scura, sovrano degli estinti,

Zeus padre mi ha comandato di portare fuori dall'Erebo tra gli dei
Persefone gloriosa affinché la madre
vedendola con i suoi occhi cessi dal rancore
e dalla furia tremenda nei confronti degli immortali, [...]" (A.T.)


* * *


Ci sono post che in corso d'opera prendono una piega molto diversa da quella preventivata. E' il caso di questo dodicesimo segmento della Trilogia delle Madri, che doveva anche essere il primo di una nuova sezione della serie intesa a collegare, attraverso il mito greco, le tesi di Rudolf Steiner ai film della trilogia argentiana, in particolare a La terza madre. In un certo senso le cose stanno ancora così, solo che il discorso prenderà avvio da più lontano del previsto.
Comincerò intanto col dire che se i due estratti dall'Inno omerico a Demetra sopra riportati compaiono in due diverse traduzioni, c'è naturalmente un motivo. Così come ha una sua ragione di essere l'aggiunta dei corsivi, che è opera mia. Ma su questo torneremo più tardi, al termine della storia, che come dicevo inizia da lontano e precisamente dalla lettura del mio primo libro dedicato per intero ai Misteri Eleusini: The Road to Eleusis. Col tempo se ne sono aggiunti molti altri di libri sull'argomento al mio curriculum di lettore, ma questo breve saggio di etnomicologia, che lessi alla fine degli anni '70, in lingua inglese, nelle sale della biblioteca nazionale di Firenze, mi è sempre apparso come una delle migliori conferme del detto che il primo amore non si scorda mai.

Scoprii il libro grazie all'interesse per i funghi magici messicani, e più in generale per gli stati intensificati di coscienza, che mi aveva suscitato la lettura dei libri di Carlos Castaneda. Perché di questo tratta in essenza The Road to Eleusis, nato da un'idea di Robert Gordon Wasson e scritto a sei mani con i contributi di Albert Hofmann e Carl A.P. Ruck. La mia scelta di rileggerlo adesso, a distanza di così tanti anni, è stata quindi forse più dettata da ragioni affettive che dalla speranza di una sua effettiva utilità per la compilazione di questo post e dei successivi della serie. A maggior ragione se si considera che non ho mai condiviso, neanche allora, l'ingenua convinzione di Wasson e soci che il mistero di Eleusi fosse stato finalmente risolto.
A questo mistero ci siamo dedicati in tre e crediamo di aver trovato la soluzione, a distanza di quasi duemila anni dall'ultima esecuzione del rituale e di circa quattromila dalla prima.
...scrive Wasson nella prefazione del libro. Per poi aggiungere, nel Capitolo Uno, in riferimento all'obbligo del Silentium a cui dovevano sottostare gli iniziati:
Non sarei sorpreso se alcuni studiosi del mondo classico ci ritenessero colpevoli di sacrilegio, per aver sollevato il velo del segreto.

Eppur qualcosa in me, per la seconda volta, si è mosso grazie a questo piccolo ma prezioso libro, arrivato in Italia solo nel 1996 grazie alle edizioni Urra. Tanto da produrre, a causa soprattutto di un incidente di percorso che descriverò tra breve, quella deviazione d'intenti di cui dicevo. Ma di nuovo, procediamo per gradi.
Tanto per cominciare, chi è Robert Gordon Wasson (1898-1986) in poche parole? E' il fondatore, con la moglie Valentina Pavlovna (1901-1958), e il più noto esponente, dell'etnomicologia, una branca dell'etnologia che studia gli effetti psicotropi del “fungo superiore” nei contesti del rito e della religione.
La prima scoperta di rilievo di Wasson e Pavlovna fu la differenza di attitudine verso i funghi che caratterizza le varie culture diffuse nel globo. E si trattò inizialmente di una scoperta compiuta grazie alle diverse nazionalità dei due scienziati. I russi si rivelarono infatti un popolo essenzialmente micofilo, e per questo disponevano di un ricchississimo vocabolario relativo al mondo dei funghi; gli anglosassoni erano viceversa un popolo di tradizione micofoba e il loro vocabolario si riduceva a tre soli termini, di cui i primi due caratterizzati da una valenza negativa: toadstool, mushroom, fungus. Wasson si chiede, in apertura del Capitolo Uno, quale di questi tre termini si presti meglio a servire da sinonimo di “fungo superiore”:
Nella lingua inglese manca un termine che designi il fungo superiore. "Toadstool"* è un epiteto, una definizione peggiorativa che abbraccia tutte le specie fungine di cui i cercatori di funghi, a torto o a ragione, diffidano.** "Mushroom"è ambiguo, poiché il suo utilizzo in riferimento ai funghi varia da persona a persona. In questo breve saggio utilizzeremo "mushroom" per tutti i funghi superiori. Ora che il mondo è finalmente giunto a conoscere le colture fungine nelle loro miriadi di forme, colorazioni, odori e consistenze, forse questo nuovo utilizzo del termine risponderà a un’esigenza diffusa e diverrà di impiego comune.***


Claviceps purpurea - Dal sito http://otago.ourheritage.ac.nz


Ma la vera svolta arrivò per Wasson e Pavlovna alla metà degli anni '50, con la loro sperimentazione diretta dei rituali col fungo messicani, a cui furono introdotti dalla curandera Maria Sabina. Furono forse i primi occidentali a essere iniziati ai riti e non è esagerato dire che si trattò di un evento epocale, fosse solo per le ampie e disparate conseguenze che ne derivarono, a cui però non posso qui accennare se non per dire che la somma delle sue esperienze sul campo convinse infine Wasson dell'esistenza di un minimo comune denominatore tra i "Misteri Messicani" e i Misteri Eleusini: il fungo. Si tratterebbe, nel caso di Eleusi, della specie Claviceps purpurea, parassita delle graminacee conosciuta con il nome comune di ergot.
Secondo Wasson, la cultura della Grecia classica era micofoba, e lo era proprio in virtù del tabù religioso che vedeva nel fungo qualcosa di pertinente al divino ed estraneo alla sfera umana.

Tocca poi allo studioso svizzero Albert Hofmann (1906-2008), noto soprattutto per aver sintetizzato e aver sperimentato per primo su di sé l'LSD, avallare la tesi di Wasson. E lo fa nel Capitolo Due (A Challenging Question and My Answer), dove analizza la Claviceps purpurea sia dal punto di vista biochimico che da quello della sua storia attraverso i secoli. Il tipo più importante di ergot, spiega, è un'escrescenza marroncino-purpurea che cresce sulle spighe di segale ed è conosciuta con il nome di "segale cornuta". Considerato a lungo un temibile veleno, fu causa di epidemie che ebbero fine solo nel XVII secolo, con la scoperta che la loro origine era il pane contaminato da questo particolare tipo di fungo. Dopo di allora l'ergotè stato utilizzato nell'ostetricia - dapprima per accelerare il parto, poi per controllare le emorragie post-partum - mentre i suoi alcaloidi, una volta isolati e sintetizzati, sono diventati ingredienti di farmaci destinati alla cura di diversi tipi di patologie.
L'invio a Hofmann dei campioni di funghi sacri messicani raccolti da Wasson, con il conseguente isolamento e sintesi dei loro principali alcaloidi - la psilocina e la psilocibina - fu all'origine dell'amicizia e futura collaborazione tra i due ricercatori. All'unione delle loro forze si deve, tra le altre, la scoperta che gli alcaloidi presenti nell'ergot e nei funghi sacri messicani sono in parte gli stessi.
Hofmann chiude infine il capitolo con la sua personale risposta alla domanda dell'amico Wasson:
La risposta è sì, i vecchi abitanti dell'antica Grecia possono essere arrivati a ottenere un allucinogeno dall'ergot. Possono averlo ricavato dall'ergot dell'orzo o del grano [la segale non cresceva nell'antica Grecia]. Un modo più semplice sarebbe stato usare l'ergot che cresce sulla diffusa erba selvatica chiamata paspalo. Questo, s'intende, se accettiamo l'assunto che gli erboristi dell'antica Grecia fossero altrettanto intelligenti e ricchi di risorse degli erboristi del Messico antecedente la conquista.

Accanto al paspalo (Paspalum distichum), Hofmann propone in realtà un altro possibile candidato, l'erba selvatica Lolium temulentum (nome comune: Loglio ubriacante o zizzania). La scelta di queste due erbe, diffuse anche nel Mediterraneo, è da lui motivata con il fatto che su di esse crescono tipi di ergot composti esclusivamente, o quasi esclusivamente, di alcaloidi allucinogeni, il che le rende di più semplice e immediato utilizzo.


Joseph Gandy, The Temple of Demeter (1818)


E' quindi il turno, nel Capitolo Tre (Solving the Eleusinian Mystery), di un grecista, Carl A.P. Ruck (n. 1935), che al termine di una approfondita disanima sulla storia e la forma dei Misteri Eleusini alla luce delle fonti classiche, si unisce a Hofmann nell'avallare la tesi di Wasson:
Fino a ieri conoscevamo dei misteri eleusini solo quel poco raccontato dagli iniziati, ma la magia delle loro parole ha ammaliato l'umanità per generazioni. Ora, grazie al dottor Hofmann e a Gordon Wasson, quelli di noi che hanno sperimentato gli allucinogeni superiori, possono unirsi alla compagnia degli antichi iniziati in un duraturo legame di amicizia, un'amicizia nata dall'esperienza condivisa di una realtà molto più profonda di quella che abbiamo finora conosciuto.

Il Capitolo Quattro è invece compilato da tutti e tre gli autori insieme, e oltre a offrire una comparazione tra il rituale messicano e quello eleusino, evidenziandone le affinità e le differenze, serve anche a tirare le somme di quanto esposto nei precedenti capitoli.
Molto significativo, ai fini di quel che più interessa qui, è questo estratto dal paragrafo conclusivo:
...le imperatrici di Bisanzio, se in stato di gravidanza, vivevano in camere rivestite di porpora in modo che i loro figli potessero nascere nella porpora. Era questa porpora il colore della Claviceps purpurea e abbiamo qui una rievocazione postuma della tunica color porpora di Demetra e di Ade dai capelli color porpora?

E' stato infatti a questo punto, leggendo di "Ade dai capelli color porpora", che un campanellino d'allarme è squillato in me e mi ha fatto precipitare a cercare, tra i miei libri, l'originale greco dell'Inno. Dove ho trovato una conferma ai miei peggiori sospetti.
"Demetra dalla tunica color porpora" e "Ade dai capelli color porpora" nell'originale sono scritti rispettivamente così:

Δημήτερα хυανόπεπλον

Ἅιδη хυανοχαῖτα

Vale a dire che sia in riferimento al peplo di Demetra che ai capelli di Ade ricorre il termine "kýanos", che Angelo Tonelli rende con "scuro", come mostrano i due estratti dalla sua traduzione che ho pubblicato all'inizio del post. Gli altri due estratti li ho invece ripresi da Alla scoperta dei Misteri Eleusini, traduzione italiana della prima edizione di The Road to Eleusis.
Ma cos'è esattamente "kýanos"? Lo scrittore e studioso di miti Roberto Calasso lo spiega così:
Kýanosè lo smalto blu che si trova già descritto per oggetti micenei. Blu scura è la chioma di Poseidone. O il peplo luttuoso di Demetra e di Teti. Platone spiega che per produrre il kyanoûn occorre mescolare al bianco e al nero il lamprόn, il «lucente». Anche i piedi di un tavolo possono essere blu o una prua o le nuvole. E anche le sopracciglia di Zeus.****

Che conclusioni trarre da tutto ciò? Le cose stanno davvero come sembrano? Che cioè R. Gordon Wasson e soci hanno forzato la traduzione dell'Inno omerico a Demetra ai fini di meglio convalidare la loro tesi che ci sia la Claviceps purpurea alla base del segreto dei Misteri Eleusini? Vorrei credere a una spiegazione diversa, ma devo comunque aggiungere, e concludo, che la traduzione inglese dell'Inno a cura della Loeb Classical Library riporta, al verso 347, Dark-haired Hades. Anche in questo caso, niente chioma color porpora.


* * *


* "Sgabello del rospo" nella traduzione italiana del libro.

** Detto per inciso - precisa Wasson in una nota - "toadstool" era in origine il nome specifico della Amanita muscaria, il fungo divino, dalla bellezza degna della sua divinità.
A causa del tabù, la parola “toadstool” perse tale specificità e cominciò a designare tutte le popolazioni di funghi che i micofobi evitano.

N.B. Potrete trovare notizie più specifiche sull'Amanita muscaria e il suo importante ruolo in ambito religioso nei post della serie Orizzonti del reale pubblicati sul blog The Obsidian Mirror.

*** Sulla stessa falsariga, l'edizione italiana sceglie di adottare il termine "fungo".

**** Roberto Calasso, Il cacciatore celeste. Adelphi, 2016; pag. 97.

Le traduzioni dell'Inno omerico a Demetra sono di Roberto Fedeli (R.F.) e Angelo Tonelli (A.T.) e sono tratte rispettivamente da:
R. Gordon Wasson, Albert Hofmann , Carl A.P. Ruck, Alla scoperta dei Misteri Eleusini. Urra, 1996.
Eleusis e Orfismo. Feltrinelli, 2015. A cura di Angelo Tonelli.

Tutte le altre traduzioni sono a mia cura.

L'immagine in alto sotto il titolo è: Evelyn de morgan, Demeter Mourning for Persephone (1906, detail).

Solve et Coagula - Pagina 163

$
0
0



Capitolo 3 /6


La possibilità, paventata da Massimo, che il lutto per la morte del padre avrebbe trattenuto Paula dal godere dei piaceri del sesso, si dimostrò infondata fin dalla prima notte che trascorsero insieme nell’albergo di Rouen. In realtà non gli fu neanche troppo difficile riconoscere, a posteriori, cosa davvero vi fosse dietro l’elaborazione di quella sua “teoria del lutto”: una scappatoia per non soffrire troppo nell’eventualità che Paula gli si fosse rifiutata. Non dipende da me, avrebbe sempre potuto dirsi, ma dalla recente scomparsa del padre ed è una scelta, la sua, che io sono perfettamente in grado di comprendere e rispettare. Sapeva in ogni caso di potersi considerare fortunato, per non essere stato costretto a verificare sulla sua pelle quanto a lungo avrebbe potuto perpetuare una simile illusione prima che questa si infrangesse contro la nuda realtà dei fatti.
Paula si dimostrò quindi più che disponibile a soddisfarlo e a essere soddisfatta da lui, e in modi tali che Massimo affrontò abbastanza a cuor leggero anche quell’unico limite che lei gli pose fin dalla prima notte insieme: niente penetrazione. «È perché siamo senza protezioni?» le aveva chiesto Massimo, speranzoso di rimediare l’indomani. Ma lei aveva negato con decisione che fosse quello il motivo. «Allora hai paura che io possa trasmetterti una malattia?». Ma Paula aveva negato di nuovo. «È che a me piace così. Sta a te decidere se accontentarti o no. Nel primo caso continueremo a dividere un unico letto, altrimenti dalla prossima notte dormiremo in letti separati».
Solo una volta, alla terza notte insieme, Massimo tentò di violare l’accordo e spingersi al di là di quel contatto di superficie tra i loro genitali che lei non soltanto accettava di buon grado ma ricercava il più spesso e protraeva il più a lungo possibile. Quella notte si era assurdamente convinto che lei avesse la guardia abbassata al punto che non avrebbe potuto accorgersi in tempo delle sue intenzioni… dopodiché, ne era sicuro, lo avrebbe lasciato fare. Ma non accadde proprio niente del genere e lui, oltre a vedersi bloccare sul nascere la sua improvvida iniziativa, si ritrovò anche a essere redarguito con un certo vigore.
Si sentiva in ogni caso disposto ad andare avanti così a lungo, forse perfino per il resto della sua vita se fosse stato possibile. Successe così che in una sera di quel settembre, a pochi giorni ormai dall’equinozio, mentre sedeva imbacuccato accanto a Paula a osservare il mare dalla sommità di un dolce rilievo erboso, volasse con il pensiero al di sopra dello smalto blu cupo della Manica, fino alla non distante Cornovaglia e alla grotta tra gli scogli che si diceva ancora abitata da Mago Merlino. Era sempre prigioniero del dolce incantesimo della bella e astuta Viviana? O se ne era liberato?, si chiese. Poi non sempre più trattenersi. «Sei forse tu la mia Viviana?» domandò a Paula. E lei, che aveva subito afferrato l’insinuazione, rispose con una risata. «Ti ho forse chiesto di insegnarmi le tue arti magiche?» gli domandò a sua volta. No, pensò Massimo, finora era lui che aveva imparato da lei. Che si fosse trattato di archeologia o di storia, folklore o sesso, finora lei era stata l’insegnante e lui l’allievo. E tuttavia, o forse a maggior ragione, non riusciva a scacciare lontano da sé qualcosa del genere di un oscuro presentimento.


The Studio Section Four - Jeffrey Catherine Jones /8

$
0
0



Ho concluso il Terzo Intermezzo di The Studio, dedicato alla bizzarra e affascinante vicenda di Luana la figlia della foresta vergine, con la felice notizia di una collaborazione tra Jeff Jones e Richard Corben. Succede infatti, nell’aprile 1974, che Jones ritorni sulle pagine di Vampirella con due nuove storie, in un momento in cui la rinata Warren Publishing ha deciso di sperimentare con il colore (e viene anche spontaneo chiedersi quanto l'avere Richard Corben tra i cavalli di razza della propria scuderia possa avere influito su questa scelta). Nel numero 31 di Vampirella gli allucinati colori della tavolozza di Corben si erano riversati sulla pubblicità di Luana; nel numero 32 su due storie scritte e disegnate da Jeff Jones: Harry e Dead Run.

Delle due storie, la prima ha l'aria di un tentativo di fondere, nelle sue sei pagine, le atmosfere rarefatte di Idyl con l'horror classico warreniano; la seconda, di appena due pagine, è un fantasy-horror che poco aggiunge al già detto e al già visto e anzi si direbbe qualcosa di rimasto fuori dal precedente Spasm!
C'è poi da dire che non proprio tutti i fan hanno gradito la scelta di far convivere insieme, sulla stessa pagina, il più evanescente (Jones) e il più muscolare (Corben) dei comic artist in circolazione. Ne risulta tuttavia qualcosa dotato di un suo indubbio fascino, come mi sembra dimostri bene la pagina riprodotta a sinistra, la seconda della storia Harry.

Nello stesso 1974 accade inoltre qualcos'altro, negli uffici Warren, di collegato alla figura di Jeff Jones, sebbene molto indirettamente. La sua ex moglie Louise entra nello staff della casa editrice come assistente editoriale delle collane Creepy, Eerie e Vampirella. Ne uscirà da caporedattrice delle stesse collane cinque anni dopo, nel 1979, quando sceglie di unirsi al Marvel Comics Group di Stan Lee. All'inizio lavora ancora come redattrice, occupandosi a lungo (dal numero 137 al numero 182) della testata Uncanny X-Men, poi come sceneggiatrice a tempo pieno. Per tutto il suo periodo da redattrice continua a usare il suo vecchio nome Louise Jones, sebbene ormai sposata, dal 1980, al collega Walt Simonson. Solo dal 1983, sulle pagine della sua creatura Power Pack, inizia a firmarsi Louise Simonson, il nome con cui diverrà presto una celebrità tra i fan dell'universo Marvel.


Jeffrey e Louise negli anni '60


Louise era stata, negli anni del loro matrimonio, la modella del giovane Jeff Jones, ma altri artisti dopo di lui non mancheranno di omaggiare la sua bellezza.

Nella seguente piccola galleria la vediamo immortalata, nell'ordine:

- da Bernie Wrightson, sulla copertina del numero di House of Secrets (1972) che ospita la prima storia in assoluto di Swamp Thing (1)
- da Paul Smith, che in Uncanny X-Men # 168 (1983) si ispira a lei per la figura di Madelyne Pryor (2)
- da Bill Sienkiewicz, che in New Mutants #21(1984) la ritrae tra gli invitati di un pigiama party (3)




Ma torniamo adesso, dopo avere un po' divagato, al vero protagonista di questa serie di post. Anche il successivo Vampirella, il numero 33 del maggio 1974, annovera tra i suoi artisti Jeff Jones, in coppia stavolta con Bernie Wrightson e di nuovo a colori. Ci si mette però di mezzo un erroraccio di stampa che fa sì che proprio i colori finiscano per rovinare le due tavole di The Believer.




Da allora dovranno trascorrere quasi quaranta anni prima che la Dynamite Entertainment, nel 2012, riproponga la storia così come avrebbero dovuto essere.




Il duo Jones e Wrightson rinnova la collaborazione nell'albo successivo di Vampirella, il numero 34 del giugno 1974, con una storia disegnata dal primo su testi del secondo. Con Cold Cuts, questo il titolo, Jones torna al suo più classico bianco e nero, in una storia invernale che anticipa temi e atmosfere della successiva ma più famosa Clarice di Bruce Jones e Bernie Wrightson. Inoltre, nel frontespizio dello stesso albo, Jeff Jones offre anche un suo commento grafico a una delle più note poesie di William Blake, The Tiger.




Dopo questa rapida successione di tre albi, Jeff Jones comincia a ridurre sensibilmente la sua produzione a fumetti, proprio come abbiamo visto fare, nello stesso periodo, agli altri tre protagonisti coinvolti nell'epopea di The Studio (il cui vero inizio è ormai alle porte): Barry Smith, Mike Kaluta, Berni Wrightson. Ma anche la sua produzione di illustrazioni per riviste e paperback rallenta, in coincidenza del sempre maggior spazio occupato dalla pittura nella sua attività artistica.

Nel 1975 non appare quasi nulla di nuovo di suo. La Warren ristampa, sul numero 3 di Comix International, le due storie a colori del numero 32 di Vampirella, mentre il primo numero di Charlton's Bullseye propone un vecchio inedito risalente agli anni '60. Anche la serie 'cult' Idyl conclude il suo ciclo vitale, sul numero di agosto di National Lampoon.
Risalta così in modo particolare, in questo vuoto crescente, il primo lavoro di Jeff Jones per la Marvel: un'illustrazione in bianco e nero stampata nel frontespizio del quinto numero di Savage Sword of Conan dell'aprile 1975, che l'italiana Editoriale Corno poi colorerà e utilizzerà come copertina di Conan e Kazar numero 37 (04/08/1976).



* * *

L'immagine in alto sotto il titolo è un dipinto di Jeffrey Catherine Jones (detail, n.d.)



Insieme Raccontiamo 19: La casa gialla

$
0
0



Appuntamento numero diciannove con la bella iniziativa mensile del blog Mirtylla's House e mia sedicesima partecipazione. Secondo la nuova prassi, inaugurata quest'anno, Patricia Moll accompagna il suo incipit con un'immagine, di un occhio in questo caso, da prendere in considerazione per lo sviluppo della trama.




Vi rimando come sempre al post di lancio di Insieme Raccontiamo 19 per i dettagli sulle regole del gioco e per le prove di tutti gli altri partecipanti. Io, come di consueto, ho puntato al finale lungo di 300 parole.


* * *

L'incipit di Patricia


Il loro era stato un incontro casuale. Una di quelle occasioni che si verificano una volta sola nella vita. Il destino aveva fatto tutto da solo. Si erano incrociati e quegli occhi la avevano ammaliata. Era come se la avessero invitata a pensare. Quasi a rimestare nel suo passato. E ora...


Il mio finale (300 parole, citazione esclusa)


* * *È sempre notte, o altrimenti non avremmo bisogno della luce.– Thelonious Monk * * *


Dopo un’ora e mezza circa di viaggio, unico passeggero, scende dalla corriera e mette piede in quello che gli sembra un paese fantasma. Pioviggina soltanto, ma le nubi grigie occupano ogni angolo di cielo e niente può contrastare di più con ciò che di quel posto lui trattiene nella sua memoria.

Ma si incammina comunque. Lungo la strada principale, nella direzione opposta da cui è venuto.

Il bar al termine della salita è il suo unico vero punto di riferimento. Ma poiché la curva della strada glielo nasconde alla vista, gli si fa prima avanti la casa dalla facciata gialla. E’ un terratetto che fa angolo con la strada principale e segna l’inizio di una via laterale formata di poche altre abitazioni.

E' anche la vera meta del suo viaggio.

Il giallo della facciata, scurito dagli anni, gli ricorda lo zafferano da cucina. Ma lui ne conserva nella memoria un’impressione molto più vivace, di una cascata d'oro liquido che si confonde con la luce del sole e bagna la strada fino ai suoi piedi.

All'improvviso...

La porta della casa si apre e una donna dai capelli troppo chiari si affaccia sul mondo grigio. Lui si rende conto di come la comparsa di un estraneo in un posto come quello al di fuori del periodo estivo debba essere qualcosa di abbastanza insolito da attrarre l’attenzione. Ma lei, che guarda proprio verso il bar, non sembra accorgersi di lui.

O forse sì.

* * *

E ora...

Tutto sembra ripetersi quasi come un tempo. La donna per un attimo ha creduto di vedere qualcuno di sconosciuto, ma guardando meglio vede che non c’è nessuno. Le viene però da pensare a una coppia di occhi bruni. E al sole, a tanto sole. Quasi come rimestare nel passato, pensa ancora, stringendosi le braccia intorno al petto.




* * *


L'immagine in alto sotto il titolo è: Vincent Van Gogh, La casa gialla (1888).

The Studio Section Four - Jeffrey Catherine Jones /9

$
0
0



Accanto ad alcune, poche, illustrazioni per le riviste e i paperback di fantasy e fantascienza, il 1976 vede l'apparizione di un'unica storia a fumetti firmata Jeff Jones: The final Star of Morning, da lui disegnata su testi di Bill DuBay. Pubblicata sul numero 50 di Vampirella, la storia mostra la sexy vampira e il suo compagno Adam Van Helsing intenti nella  ricerca, in Egitto, dell'amica scomparsa Pantha. I due portano con sé un amuleto, in grado anche di restituire la memoria alla donna-pantera, che apprende così di discendere dal faraone extraterrestre Khafra (Chefren), il cui pianeta di origine orbita intorno a una stella lontana. L'ombra della piramide di Khafra e la Sfinge indicano, al sorgere del sole, esattamente quella particolare stella, l'ultima a sparire nella luce del mattino...

Era dai tempi dei disegni per le storie di Flash Gordon che Jeff Jones non metteva le sue matite e le sue chine nuovamente al servizio di un serial avventuroso. Il risultato? Inferiore alla media della sua produzione più matura, e a tratti perfino irriconoscibile nel segno, ma pur sempre al di sopra degli standard abituali della rivista. Non è del resto difficile immaginare che tutto sia nato da un compromesso, tra la volontà dell'editore Warren di proporre qualcosa di speciale per il cinquantesimo numero di Vampirella e il bisogno dell'artista di raggranellare qualche soldo dopo il suo ritorno a New York City.

Eppure, a dispetto di questo, il 1976 fu un anno fondamentale per Jeff Jones. Non solo perché è l'anno dell'unione delle forze con Barry Smith, Mike Kaluta e Bernie Wrightson e dell'effettivo inizio dell'esperienza di The Studio, ma anche perché la sua fama ha ormai scavalcato l'oceano e in Europa, soprattutto in Francia, è diventato un autore di culto. Una conquista sancita dalla pubblicazione da parte dell'editore Futuropolis di un albo formato gigante, con 34 tavole in bianco nero che spaziano da Idyl a Jones touch, dalle due copertine di Wonder Woman a Spirit of '76. Lo stesso editore lo invita poi a Parigi per la presentazione del libro...
Così andai a Parigi… e me ne pentii; fu un momento orribile. Mi piaceva la città da vedere, ma mi ammalai – forse il cibo, non so – e non sapevo una parola della lingua. Vado nel pallone quando penso che le persone non mi stiano ad ascoltare. A Parigi ovviamente nessuno poteva stare ad ascoltarmi perché non capivano una parola di quello che dicevo. Camminavo per la città, sedevo nei parchi e nei piccoli cafè, e mi piaceva a livello visivo, ma poi tornavo in un piccolo, gradevole appartamento della Rive Gauche e scrivevo sul mio diario quando odiavo essere là. Un giorno mi sentivo meglio del solito e stavo sviluppando dei miei pensieri sull’evoluzione dell’intelligenza. Quando feci una pausa e andai al negozio di alimentari con il mio piccolo dizionario tutto quello che riuscii a dire fu: “Datemi del formaggio”. Tornai nel mio appartamento e smisi di scrivere il mio saggio sull’intelligenza. Dovevo stare a Parigi per quattro settimane, ma venni via una settimana prima. Mi aspettava The Studio – lo avevamo appena preso – e non volevo stare seduto nella stanzetta sulla Rive Gauche a mangiare formaggio e a pensare ai brutti momenti che stavo passando. Naturalmente, adesso che la sofferenza è passata, se mi guardo indietro penso: “Cavoli, quelli sì che erano bei tempi”.



Ritorna negli States, ma pochi mesi dopo è di nuovo richiamato in Europa, in Italia stavolta.
Più tardi, quello stesso anno, fui invitato a Lucca, al dodicesimo convegno annuale del fumetto e dell’animazione. Vi passai un momento meraviglioso. Lucca è un posto stupefacente, costruito nei secoli bui e circondato da un muro alto trenta piedi. La sede del convegno era una casa d’opera rinascimentale. La cerimonia era tradotta in cinque lingue per delegati di diciotto paesi. Tenni una conferenza e l’ultima sera, alla premiazione, vinsi lo Yellow Kid come miglior autore del 1976 per Idyl. Ascoltavo con delle cuffie sintonizzate sull’inglese e c’erano due secondi di ritardo nella traduzione. Vidi le persone guardarmi prima di sentire il mio nome nelle cuffie. Poi lo sentii e mi alzai in piedi e potei vedermi alto otto piedi nello schermo a circuito chiuso. Camminavo verso il palco, guardando lo schermo, e all’improvviso mi vidi strattonato indietro dalle cuffie che erano ancora collegate alla mia sedia. Ma riuscii a non cadere.

Si potrebbe anche dire, in conclusione, che la ruota della vita abbia fatto sì che Jeff Jones si sia trovato a ricalcare, a poca distanza di tempo, le orme dell'amico prematuramente scomparso, Vaughn Bodè, che due anni prima aveva ricevuto lo stesso premio a Lucca Comics e nel 1975 aveva trascorso del tempo a Parigi dove aveva eseguito, al museo del Louvre, un suo Cartoon Concert. Era stato inoltre a sua volta protagonista di un albo gigante edito da Futuropolis, uscito però postumo con il titolo emblematico di Salut!.


* * *


Particolare di copertina del catalogo della
Comic Art Convention di New York del 1978


Nota: questo post in formato ridotto conclude sia la quarta sezione che la prima fase di The Studio, costituita nell'insieme da 32 post, così ripartiti:

Section One (Barry Windsor-Smith): 5 post
Section Two (Michael William Kaluta): 4 post
Section Three (Bernie Wrightson): 10 post
Section Four (Jeff Jones): 9 post
Primo intermezzo (Man-Thing): 1 post
Secondo intermezzo (L'alba di National Lampoon): 2 post
Terzo intermezzo (Luana, la figlia della foresta vergine): 1 post

Un elenco più dettagliato, completo dei relativi link agli articoli, è reperibile sulla pagina statica Tutti i post divisi per serie.

Il prossimo post segnerà invece l'inizio della Fase Due della serie. Ripercorrerò, al suo interno, gli stessi anni trattati fin qui, ma solo per rintracciare quel che di essenziale, dal punto di vista della successiva esperienza di The Studio (che costituirà il materiale della Fase Tre), è rimasto ancora fuori. Ci sarà qualche inevitabile ripetizione, ma continuerò a fare del mio meglio per non annoiare nessuno.


* * *


Le due citazioni sono tratte dal volume The Studio. Dragon's Dream, 1979.



Solve et Coagula - Pagina 164

$
0
0



Capitolo 3 /7


Era l’antivigilia dell’equinozio ma era come esser tornati di colpo in piena estate. Massimo, impreparato all’evento, lo accolse tuttavia con gioia e si sentì bene per tutto il mattino di inizio di quella che sarebbe stata ricordata come una delle maggiori ondate di caldo anomalo che abbiano colpito la Francia a memoria d’uomo. Paula sembrava invece più irrequieta del solito. In fin dei conti è pur sempre di origini finlandesi, la giustificò lui tra sé e sé, mentre sedevano insieme nel primo pomeriggio, di fronte alla chiesa di Notre-Dame de la Paix, a Pontorson.
«Che significa quello strano disegno?» le chiese a un tratto, dopo un silenzio tra loro più lungo del solito.
«Significa che tutti noi abbiamo una doppia natura, una visibile e una nascosta» gli rispose Paula, senza neanche guardare nella direzione indicata. Sapeva perfettamente che si era appena riferito alla coppia uomo e uccello scolpita sul timpano dell’ingresso meridionale.
Massimo non trovò del tutto convincente la spiegazione, ma decise di prenderla comunque per buona, in mancanze di alternative.
Fu Paula a parlare di nuovo. «Sembra che il nostro viaggio debba concludersi sotto la protezione del dio Lúg» puntualizzò con lieve ma percettibile ironia, «a giudicare dall'afa».
E sebbene non potesse dire di sapere chi fosse quel tale Lúg, non era certo quella la parola che più aveva colpito Massimo nella frase appena pronunciata dalla sua compagna di viaggio.
«Quanti giorni mancano alla conclusione della tua vacanza?» domandò invece, non osando neanche dar voce al vero interrogativo che lo tormentava, a proposito dei giorni che li separavano dal possibile, per non dire probabile, dividersi delle loro strade.
«Ci rimane solo, domani, di puntare dritto a nord e raggiungere Mont Saint-Michel» rispose lei asciutta.
«E una volta arrivati a Mont Saint-Michel, quanti giorni vi rimarremo?» insisté Massimo.
«Neanche uno, in un certo senso» fu l'inattesa risposta.
«Che vuoi dire?».
«Quello che voglio dire è che non metteremo piede sull’isola. Ci accontenteremo di guardarla da fuori».
Al che Massimo non riuscì a trattenersi dallo scoppiare in un’amara risata.
«E adesso, che c’è da ridere?».
«Scusa ma non ho potuto evitare di pensare all’analogia con la nostra situazione» le spiegò lui. «Vietato superare la soglia d’ingresso. O, almeno, quella dell’ingresso principale».
«Davvero divertente» commentò di rimando la ragazza, con una voce che lasciava però intendere tutt’altro.
Per questo Massimo si affrettò subito a correre ai ripari. «Non era mia intenzione offenderti. Mi spiace» chiarì.
«Non mi hai offesa» replicò lei. E stavolta il tono della sua voce era coerente con il senso delle sue parole. «Inoltre» aggiunse, «capisco perfettamente la tua esigenza di crearti la tua personale collezione di trofei sessuali. Piazzarti dopo tuo padre segnerebbe il fallimento della tua vita. Ai tuoi occhi, naturalmente. E la tua sensazione è di essere ancora molte posizioni indietro».
Ma non era ancora finita. «A volte – solo di passaggio, naturalmente» continuò la ragazza, «rifletti perfino sulla possibilità di farti monaco, o qualcosa del genere, per evitarti la fatica. Comunque, se ti può consolare, io penso che già così puoi annoverarmi senza problemi tra i trofei della tua vita sessuale. Altre venti-venticinque esperienze più o meno simili a questa e potrai dire di avercela fatta».
Massimo, che aveva ascoltato tutto in silenzio senza interromperla, era allibito e faceva fatica a credere alle sue orecchie. Non si era mai sentito messo a nudo in un modo così diretto e spietato prima di allora e non riusciva a capacitarsi di come Paula vi fosse riuscita, dopo solo poche settimane di frequentazione. Aveva forse parlato di notte nel sonno? O davvero la sua compagna di viaggio era stata abile al punto da ricavare tutto da quei pochi accenni che lui le aveva fatto, a proposito di suo padre e della sua prematura scomparsa?
Lei gli lasciò comunque tutto il tempo, nei minuti successivi, di valutare ogni possibile controreplica. Inutilmente, perché scoprì presto di non averne nessuna di abbastanza incisiva a disposizione, così a caldo. Ma non gliene importava neanche molto, in fondo, certo com’era che in futuro avrebbe lo stesso conservato il ricordo di quei loro giorni insieme tra le memorie più preziose della sua vita. E forse avrebbe anche trovato il modo di esporle, come un vero trofeo.

Trilogia delle Madri /13: Verso il Mar Nero

$
0
0



Si riunirono gli Asi in Idavall e vi innalzarono templi e altari, costruirono fornaci, fabbricarono gioielli, si fecero pinze e forgiarono utensili.

Felici nel loro giardino, giocavano a scacchi e non vi era penuria d’oro in alcun luogo, finché da Jotunheimr non giunsero in tre, madri oltremisura possenti.

(Voluspá 7-8)


Il film La terza madre, ultimo della trilogia argentiana, si apre su degli scavi in corso nei pressi del cimitero di Viterbo, che causano, di lì a poco, il disseppellimento accidentale di una bara. A questa bara, che porta incisi sul coperchio il nome Oscar De La Vallée e l'anno 1815, è legata un’urna sigillata con una serie di crocifissi. E' il prete della parrocchia locale, Monsignor Brusca, a prenderla per primo in custodia ed esaminarne il contenuto. Profondamente turbato da quel che vi rinviene all'interno, il religioso richiude l'urna, ne sigilla il coperchio con della cera e la invia al Museo d'arte antica di Roma, insieme a una lettera indirizzata a Michael Pierce, direttore conservativo del museo ed esperto di storia della magia. Prima di lui mette però le mani sull'urna la sua vice, Giselle Mares, che decide incautamente di aprirla. C'è con lei, ad assisterla, la tirocinante Sarah Mandy, dottoranda in restauro e archeologia.
Nel raschiare via la cera, Giselle si ferisce con una lama (e una goccia del suo sangue cade sul coperchio dell'urna, dove viene subito assorbita), ma l’operazione va comunque a buon fine e, insieme alle due donne, anche lo spettatore viene finalmente a conoscenza del contenuto dell'urna: un pugnale di fattura medievale, tre statuette di terracotta raffiguranti dei demoni e una tunica color rosso porpora con ricamate in oro alcune lettere di un alfabeto antico.


Giselle chiede allora a Sarah di andare a prendere, in una diversa sala del museo, dei dizionari di aramaico e miceneo, poi, una volta sola, legge a voce alta le lettere incise alla base delle statuette demoniache, senza sapere che così facendo sta decretando la propria fine, per mano di Mater Lacrimarum e dei suoi accoliti: una malevola scimmietta e i tre demoni da lei evocati inconsapevolmente. E' sotto i loro colpi che Gisele perisce come prima vittima designata del film, mentre Sarah riesce a scamparla, grazie a una presenza incorporea che la nasconde ai suoi nemici e guida magicamente i suoi passi attraverso il museo fino alla salvezza.
Una volta al sicuro, Sarah allerta la polizia, e sul posto arriva il commissario Enzo Marchi con la sua squadra, che la mette subito sotto torchio. Ma sopraggiunge presto anche Michael Pierce, nel cui appartamento Sarah, che ha con lui una relazione, troverà rifugio per la notte.
E l'urna? Mater Lacrimarum l'ha trasportata con sé nel sottosuolo di Roma, nelle cui profondità cavernose va in scena un rito: la Madre, in piedi su una sorta di palco, circondata come una rockstar da una folla adorante di adepti, indossa la tunica color porpora che le era un tempo appartenuta e si riprende il suo antico potere.


Ma perché l'urna si trova a Viterbo? Come vi è arrivata?
Lo scopriamo quando Michael arriva sul posto, per incontrarvi Monsignor Brusca, e ha la brutta sorpresa di scoprire che l'anziano religioso è stato nel frattempo colpito da un ictus ed è entrato in coma. Trova tuttavia ad accoglierlo un giovane prete, Padre Milesi, che pur scettico sulla loro fondatezza, lo mette al corrente degli appunti lasciati da Monsignor Brusca.
L’urna, racconta Padre Milesi, era stata rinvenuta ad Aosta, nel 1815, da parte di alcuni operai durante i lavori di restauro della curia diocesana. Dopo uno strano episodio, in base al quale la tunica avrebbe cominciato a brillare e alcuni lupi sarebbero usciti dalla foresta per dissotterrare e sbranare i cadaveri di più recente sepoltura, il vescovo locale decise di inviare l'urna in Vaticano. Il cavaliere Oscar De La Vallée si offrì di condurvela./span>
Ma ovunque l’urna passasse nel suo tragitto, portava con sé morte e distruzione, finché fu lo stesso De La Vallée a morire, sei giorni dopo il suo arrivo a Viterbo. Urna e cavaliere, così fu deciso, vennero sepolti insieme, in un luogo segreto al di fuori della cinta del cimitero.


Una sorpresa ancora peggiore attende Michael al suo ritorno a casa: suo figlio Paul è stato in sua assenza rapito e i rapitori hanno tracciato con il sangue, sulla testata del letto del bambino, una scritta che lo invita ad attenersi alla regola del Silentium iniziatico e non investigare oltre.
Ma anziché ubbidire all'intimidazione, Michael decide invece di mettersi nuovamente in viaggio, verso Monteleone stavolta, in cerca dell'aiuto di un rinomato prete esorcista, uno degli pochi ancora riconosciuti dalla Chiesa, di nome Padre Johannes. Ma scopre di essere anche braccato da una coppia di streghe, nel frattempo che le strade di Roma si riempiono di moltitudini di loro, giunte da ogni parte del mondo a ingrossare le fila dei seguaci di Mater Lacrimarum. Allo stesso modo, la capitale è sempre più teatro del dilagare di una serie di atti di follia e di violenza, iniziata con il risveglio dei poteri della Terza Madre. Di lì a poco, Sarah, che è a caccia di indizi tra le pagine dei libri di una biblioteca, riceve da parte del terrorizzato Michael un'allarmata e incoerente telefonata, che la convince a interrompere le sue ricerche e recarsi a sua volta a Monteleone. Arrivata però alla Stazione Termini, deve prima sfuggire a un tentativo di cattura da parte del commissario Marchi e dei suoi uomini e poi difendersi dall'aggressione di una strega. Vi riesce solo grazie all’aiuto della stessa presenza incorporea che l’aveva salvata al museo.

Arrivata finalmente a Monteleone, Sarah scopre che di Michael non vi è mai giunto, ma riesce comunque a ottenere lei stessa un colloquio con Padre Johannes. Ha inoltre modo, mentre fa anticamera, di parlare con una sensitiva di nome Marta Colussi, che le rivela una serie di sorprendenti dettagli sulla sua vita di cui era sempre stata all'oscuro. Grazie a lei, Sarah scopre che la presenza incorporea che la soccorre nei momenti di pericolo altri non è che sua madre Elisa Mandy, una strega bianca che aveva trovato la morte a Friburgo per mano di Helena Markos o Mater Suspirorium, dopo averla a lungo combattuta. Neanche Mater Suspirorium era tuttavia uscita indenne dal combattimento, e così si spiegherebbe l'aspetto di vecchia avvizzita della Madre protagonista del primo film della Trilogia, Suspiria, opposto a quello delle sue due sorelle, ancora giovani e belle.

La bellissima Mater Lacrimarum nella sua prima fugace
apparizione nel film Inferno (1980)


Ma se da un lato il racconto di Marta Colussi spiega, dall'altro getta un certo scompiglio nella narrazione della Trilogia, poiché contrasta con un altro discorso chiave, quello che l'esperto in materia di turno, il Professor Milius, propina in Suspiria alla studentessa di danza Susy Benner, colei che riuscirà infine a uccidere Mater Suspirorium. Alla domanda di Susy, su cosa fanno le streghe, il Professor Milius risponde:
"Il male! Nient'altro al di fuori di quello! Conoscono e praticano segreti occulti che danno loro il potere di agire sulla realtà, sulle persone... Ma solo, ripeto, solo in senso maligno. Capisci, cara?".

E poco dopo nello stesso colloquio, in risposta a un'altra domanda di Susy a proposito di Helena Markos, aggiunge:
"Di lei si racconta che forse la Regina Nera, una strega dotata di prodigiosi poteri malvagi, una vera padrona della magia. E' vissuta a lungo in questa città, e vi è morta. Lo sapeva?".

Il Professor Milius sembra quindi disporre di solo metà della storia. Non fa infatti parola né di magia bianca né di Elisa Mandy come avversaria di Helena Marcos e possibile causa della sua fine presunta. La cosa si spiega, ovviamente, con il semplice fatto che in origine, ai tempi di Suspiria, non era ancora prevista nessuna Elisa Mandy, ma dal punto di vista puramente narrativo, al professore - scartata la possibilità che sia un complice e ubbidisca al precetto del Silentium - potrebbero davvero mancare i tasselli fondamentali del puzzle. Il che darebbe anche una ragione del suo essere ancora in vita.


Molto più dettagliato è il quadro delineato da Padre Johannes. Oltre a essere ben informato sulla sorte delle Madri, al punto da riferire a Sarah che l'unica delle tre ancora in vita è la Madre delle Lacrime, è a conoscenza anche della loro origine:
Più di mille anni fa la stregoneria ha avuto inizio sulle rive del Mar nero a opera di tre sorelle. Per anni hanno vagato per il mondo portando morte e distruzione ovunque andassero. Scorrendo i libri di storia dell’arte scoverai tante loro immagini. Alla fine ognuna di loro scelse una sede. Mater Suspirorium, la madre dei sospiri si stabilì a Friburgo; la madre delle tenebre, mater Tenebrarum andò a New York; Mater Lacrimarum venne a Roma.

E qui, all'incirca a metà film, posso finalmente interrompere questa lunga, e probabilmente per molti noiosa, esposizione della trama de La Terza Madre. Tutti gli elementi necessari sono stati per il momento raccolti. Quello che mi propongo di fare adesso, con i prossimi post, è di esplorare i meandri più nascosti del Mito, alla ricerca della possibile origine e di almeno parte della storia del viaggio, fino a noi, della tunica rosso porpora che Padre Johannes rivela a Sarah essere "un grande e potente talismano".


* * *


Tutte le immagini, dove non diversamente indicato, sono frames del film La Terza Madre (Dario Argento, 2007).

Viewing all 598 articles
Browse latest View live