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Viaggio multimediale nelle emozioni /1: Rabbia

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Marco Lazzara, l'ottimo curatore del blog Arcani, sta portando avanti da alcune settimane un interessantissimo viaggio multimediale nelle emozioni, previsto in sei post nel seguente ordine: rabbia, tristezza, gioia, disgusto, ***, ***. Dopo una breve introduzione di carattere generale, Marco offre per ogni singola emozione un esempio di come è stata interpretata in quattro diversi ambiti della creatività umana, secondo un principio che la blogger Cristina de Il Manoscritto del Cavaliere ha definito "dei vasi comunicanti". Gli ambiti scelti da Marco sono quattro: pittura, letteratura, cinema e musica. Il blogger Miki Moz, nei suoi commenti, ha proposto di aggiungere una quinta voce: il fumetto. Io seguirò una via di mezzo: ossia manterrò le tre voci pittura, letteratura e musica, mentre alternerò, secondo convenienza, il cinema e il fumetto. In questo mio primo post (che si basa in parte sui commenti che ho a mia volta lasciato ai post di Marco) ha vinto il fumetto. Prevedo inoltre, per quel che mi riguarda, un ritmo di pubblicazione un po' più blando di quello seguito da Marco, ma comunque rispettoso dell'ordine di pubblicazione da lui indicato. Veniamo dunque, per cominciare, alla rabbia (il link è al relativo post del blog Arcani).


* * *

1. La rabbia nella pittura

1a. Ritratto di Innocenzo X di Diego Velázquez, 1605



1b. Studio del ritratto di Innocenzo X di Velázquez di Francis Bacon, 1953



Ci troviamo davanti, qui, a due modi molto diversi di raffigurare questa emozione primaria, ognuno rappresentativo della propria epoca. La stessa rabbia che il soggetto dell'impietoso ritratto di Velazquez sembra far fatica a dominare, nella finta rilassatezza della sua posa, è messa a nudo nell'opera di Bacon. Attraverso la deformazione/scomposizione del corpo fisico, il controverso artista irlandese libera la sottostante struttura psichica e la fa deflagrare in un'esteriorizzazione violenta che arriva a occupare tutto lo spazio della tela. Dal rosso al nero, perché com'è noto la rabbia, una volta che non è più controllata e prende il sopravvento, "acceca".


* * *


2. La rabbia nella letteratura

Cime Tempestose di Emily Brontë, 1847


Senza dubbio tra i più insoliti romanzi realisti dell'800, questo libro è in realtà un vero campionario di emozioni, ciascuna portata fin quasi alla soglia della caricatura. Il che significa che potrebbe andar bene per tutti o quasi i post compresi in questo viaggio multimediale. Ho tuttavia pensato subito al personaggio di Heathcliff, vero protagonista del romanzo, come a un degno rappresentante letterario della rabbia. Scuro di carnagione come uno zingaro, Heathcliff è un trovatello dalle origini misteriose che Earnshaw padre porta un giorno a Cime Tempestose, la vecchia e maestosa magione di famiglia. Gli Earnshaw hanno una figlia, Catherine, che con il tempo si innamora di Heathcliff, e un figlio, Hindley, che viceversa finisce per odiarlo profondamente e non si fa scrupolo, alla morte dei genitori, di relegarlo al ruolo di servo. Maturano così nell'ex trovatello un profondo astio e risentimento interiori. Quando poi l'amata Catherine sposa il figlio maschio dei Linton, famiglia di nobili proprietari terrieri, soli vicini degli Earnshaw, che abitano la dimora di Thrushcross Grange, nella valle sottostante, a Heathcliff non resta che abbandonare Cime Tempestose. Vi fa ritorno anni dopo, ricco e nell'apparenza trasformato in gentiluomo, ma in realtà in cuor suo ancora carico di odio e desideroso di compiere la sua vendetta...
Questo l'inizio della vicenda, sebbene il romanzo cominci in realtà dall'incontro tra un Heathcliff ormai divenuto proprietario sia di Cime Tempestose che di Thrushcoss Grange e il signor Lockwood, narratore in prima persona della storia raccontata nel libro. Lockwood è intenzionato a prendere in affitto Thrushcross Grange e si trova così a dover fare i conti, fin dalle prime battute del romanzo, con il caratteraccio di Heathcliff, che non manca di riflettersi, oltre che nell'abbondanza di punti esclamativi della pagina, sulla stessa natura di Cime Tempestose e degli altri suoi abitanti:
- Il signor Heathcliff? - chiesi.
Un cenno del capo fu la sua risposta.
- Io sono il signor Lockwood, il nuovo inquilino. Ho voluto prendermi il piacere di venirla a visitare, non appena mi è stato possibile, per esprimerle la speranza di non averle cagionato alcuna noia con la mia ostinazione nel sollecitare il diritto di occupare Thrushcross Grange. Avevo sentito ieri di certe sue idee...
- Thrushcross Grange è mia, signore, - egli interruppe, - e non avrei permesso a nessuno di importunarmi se mi fosse stato possibile... S'accomodi!
Il «s'accomodi" fu proferito a denti stretti, e significava chiaramente "vada al diavolo!»; anche il cancello al quale si appoggiava non ebbe alcun movimento in accordo con l'invito; ed io penso che proprio tale circostanza mi spinse ad accettarlo: un uomo il quale si dimostrava ancor più orso di me decisamente mi interessava.
Quand'egli vide il pettorale del mio cavallo premere leggermente contro la barriera, allungò una mano per togliere il catenaccio; dopodiché mi precedette silenzioso su per il vialone selciato; quando entrammo nel cortile gridò:
- Joseph! Prendi il cavallo del signor Lockwood: e porta del vino.
«E' certo tutto qui, il servidorame del luogo», pensai udendo un tale ordine. «Nessuna meraviglia quindi che l'erba spunti tra le pietre e che vi siano solo le bestie per regolar le siepi!».
Joseph era un uomo anziano; no, vecchio; vecchissimo, fors'anche, sebbene in gamba.
- Che Iddio ci aiuti! - bofonchiò con aria seccatissima sbarazzandomi del cavallo: e mi guardava intanto con espressione così acida da farmi compassionevolmente pensare ch'egli avesse proprio bisogno dell'aiuto di Dio per digerire il suo pranzo, e che la sua pia esclamazione non si riferisse per nulla al mio arrivo inatteso.


* * *


3. La rabbia nella musica

21st Century Schizoid Man - King Crimson, 1969




Siamo agli albori dell'era del Progressive Rock e questo è il solo pezzo "arrabbiato" di un album, In the Court of the Crimson King, che si compone altrimenti di brani sognanti e diversamente tristi, dal sapore spesso arcaico, che strizzano l'occhio da un lato alla musica sinfonica e dall'altro alla melodia tradizionale inglese.

Aggiungo, inoltre, che i due dipinti della storica copertina di In the Court of the Crimson King (fronte e interno) rimangono le uniche opere esistenti di Barry Godber (1946-1970), scomparso per un attacco di cuore l'anno successivo alla loro pubblicazione, e sono conservati attualmente dal chitarrista e membro fondatore del gruppo Robert Fripp.*





21st Century Schizoid Man - Testo

Cat's foot iron claw
Neuro-surgeons scream for more
At paranoia's poison door.
Twenty first century schizoid man.
Blood rack barbed wire
Polititians' funeral pyre
Innocents raped with napalm fire
Twenty first century schizoid man
Twenty first century
Twenty first century
Twenty first century
Twenty first century schizoid man
Death seed blind man's greed
Poets' starving children bleed
Nothing he's got he really needs
Twenty first century schizoid man.
Twenty first century
Twenty first century schizoid man
Twenty first century schizoid man
Welcome to the twenty first century


* * *


4. La rabbia nel fumetto

Tarzan  di Burne Hogarth, 1937-45, 1947-50



Ma la rabbia non è solo cieca o orientata verso la vendetta, anche se sarebbe forse più esatto parlare di impeto o furore, per descrivere la tensione che pervade, come un fiume in piena, le sfolgoranti pagine del Tarzan di Burne Hogarth (1911-1996), da lui realizzate per gli inserti domenicali a colori dei quotidiani statunitensi. Il personaggio, nelle sue mani, conserva ben poco della patina di civiltà di cui pure lo aveva rivestito il suo creatore, Edgar Rice Burroughs, nel suo lungo ciclo narrativo. Definito "il Michelangelo del fumetto", per la sua cura maniacale nella rappresentazione anatomica dei corpi umani e animali, Hogarth è famoso anche per i suoi manuali di anatomia per artisti, utilizzati nelle accademie e scuole d'arte di mezzo mondo.


* * *


* «Peter [Sinfield] ha portato questo dipinto e il gruppo lo adorava. Recentemente ho recuperato la versione originale nella sede di EG perché è stato esposto alla luce, e avrebbe potuto subire danni, così l'ho preso. La faccia esterna è quella dell'uomo schizoide, e quella l'interna è del Re Cremisi. Se si nasconde il suo sorriso, gli occhi rivelano una tristezza incredibile. Cosa potremmo aggiungere? Esso riflette la musica.» (Robert Fripp, intervista a Rock & Folk) (Fonte: Wikipedia).


Solve et Coagula - Pagina 165

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Capitolo 3 /8


Arrivati a Beauvoir, nel tardo pomeriggio, prenotarono prima una stanza per la notte in un hotel di rue Tiphaine Raguenel, poi si misero in cerca di un posto dove cenare.
Paula, che era stata assorta nei suoi pensieri per gran parte della giornata, si decise finalmente a pronunciare una frase più lunga di tre parole. «Ho fatto mente locale» spiegò. «Le cose sono un po’ cambiate dall’ultima volta che sono stata da queste parti, ma credo di aver capito come dobbiamo muoverci domani».
Ma stavolta Massimo non seppe trattenersi dal sospirare. «Siamo a meno di dieci minuti di strada dal Monte. Non capisco cosa ci sia da preoccuparsi ancora per il tragitto. Domani mattina ci alziamo, chiamiamo un taxi e ci facciamo portare ai piedi dell’isola».
«E dopo?» domandò Paula.
Massimo si ricordò allora delle parole di Paula di poche ore prima, riguardo la sua intenzione di non accedere al Monte. «E dopo potresti fare un’eccezione, per una volta. D’accordo che non ami stare al chiuso durante il giorno, ma…».
Paula scosse la testa decisa. «Niente eccezioni. Se vuoi visitare il Monte potrai farlo, ma da solo, dopo che…».
Si interruppe all’improvviso.
«Dopo che…?» domandò Massimo.
La ragazza rimase in silenzio e fu Massimo a completare la frase per lei.
«Dopo che ci siamo separati, vuoi dire? È davvero tutto deciso, ormai?».
«Forse. Una cosa alla volta» fu tutto quello che lei ebbe da rispondere.
«Già, come sempre» protestò ancora lui, «...una cosa alla volta. Solo che piacerebbe poter decidere qualcosa anche a me, ogni tanto».
«E perché mai? Non conosci un bel nulla di questi posti».
Massimo sospirò di nuovo. «Non mi riferivo solo ai nostri tragitti, ovviamente. Ma ok, lasciamo perdere… Tanto, a questo punto, non mi rimane che ballare fino in fondo».
Paula gli cinse allora la vita con un braccio e gli si strinse contro il fianco, nella prima dimostrazione di affetto che gli riservava quel giorno. «Vedi che alla fine ci troviamo sempre d’accordo?» commentò soddisfatta.

Scelsero un ristorante piuttosto chic, La Vierge Noire, un po' nascosto ma in realtà a due passi dal municipio della piccola cittadina. Dopo che il personale di sala, a staffetta, li ebbe fatti accomodare a un tavolo da due con vista sulla strada, ed ebbero visionato il menu, ordinarono, per iniziare, un piatto di ostriche su letto d’alghe, mitili fritti, birra e una bottiglia di Calvados. Dopodiché Paula si alzò per andare in bagno.
Nell’attesa del suo ritorno, e di poter andare in bagno a sua volta, Massimo cominciò a guardarsi intorno nella sala. Ad attrarlo, quasi subito, fu la vista di qualcosa affisso a una delle pareti che lui credé di riconoscere. Aveva tutta l’aria di essere una tabella delle maree, non troppo diversa da quella che aveva notato nel pub in cui lui e il suo amico Maurizio si erano fermati a mangiare una volta arrivati a Dunwich, oltre un mese prima. In un’altra vita, si trovò a pensare. Come aveva fatto allora, si alzò da sedere e guardò da vicino la nuova tabella che, ovviamente, riguardava la baia di Mont Saint Michel.
Lo colpì stavolta un dettaglio che, dopo averci riflettuto un po’ su, pensò potesse addirittura spiegare almeno in parte il bizzarro comportamento tenuto fino a quel momento da Paula: una grande marea era attesa di lì a meno di due giorni, in coincidenza con l’equinozio di autunno, e lei doveva certo aver pensato di approfittare dello spettacolo offerto dalla natura in quella particolare occasione. Ma se era davvero così, allora, perché non dirglielo? Probabilmente perché voleva che per lui fosse una sorpresa, si rispose, del tutto deciso, in via eccezionale, a pensare in positivo. La possibilità, inoltre, che Paula avesse anche sbagliato i suoi calcoli, facendoli giungere con un giorno di anticipo a ridosso della baia, gli rendeva un po’ più comprensibili sia il malumore sia l’apparente cambio di programma da parte di lei per l’indomani. Erano di nuovo tutte congetture, ma per la prima volta dall’inizio di quel loro viaggio insieme, Massimo ebbe la sensazione di non brancolare più completamente nel buio.

Insieme Raccontiamo 20: Occhi gialli

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E sono venti! Venti mesi in compagnia di Insieme raccontiamo, appuntamento che ho visto nascere e crescere sul blog Mirtylla's House. Ormai lo sapete: da inizio anno, Patricia Moll usa accompagnare il suo incipit con un'immagine, che stavolta ho trovato anche adatta da utilizzare come immagine di apertura del mio post.




Per il resto, in attesa del riepilogo del primo maggio, vi rimando al consueto post di lancio dell'iniziativa, dove troverete anche le prove di tutti gli altri partecipanti.


* * *

L'incipit di Patricia


Porca miseria! Era in ritardo e si era pure persa. Non essere capace a leggere le cartine era grave e non avere il gps era pure peggio.
Da quello che ricordava non doveva attraversare un bosco ma una città. Menomale che ne stava uscendo e forse così avrebbe incontrato qualcuno a cui chiedere informazioni. E magari far benzina… accidenti! Il serbatoio era quasi vuoto. Ma non aveva fatto il pieno prima di partire? Forse l’auto aveva qualche problema o sbagliando strada l’aveva allungata....
“E come mai è così buio ?” si chiese.
Lasciata l’oscurità creata da quegli enormi castagni così alti da non lasciarle intravedere il cielo, aveva sperato nel sole e invece…. “Ci mancava ancora il temporale!”
Tuoni e fulmini a raffica e là, nel prato alla sua sinistra… la casa… quella che aveva sognato la notte precedente e quella prima ancora. Da settimane la sognava ormai.
Vecchia, in pietra, con una torretta su un lato… costruita su un terreno incolto a fianco di un fosso pieno di acqua… sotto un cielo nero che illividiva a causa dei lampi violenti come esplosioni nucleari.
E quella finestra a piano terra illuminata...
L’auto inchiodò improvvisamente come se avesse premuto di colpo il freno ma lei non lo aveva nemmeno sfiorato.


Il mio finale (300 parole)


Riprese in mano la cartina e cercò di capire in quale punto avesse deviato dal percorso stabilito. Un trivio… Strano, si disse, che sulla strada non lo avesse notato. Il problema era adesso capire quale e perché delle due vie laterali avesse imboccato. E per saperlo non poteva far altro che suonare alla porta della vecchia casa.

Raggiunse l'ingresso tutta bagnata e infreddolita e cominciò a scuotere il pendente del campanaccio appeso a sinistra della porta. Con sua sorpresa le aprì un bambino che dimostrava non più di dieci anni.
Gli chiese se vi fosse qualcuno in casa. «I tuoi genitori, voglio dire».
Lui dapprima si limitò a guardarla, solo dilatando oltremisura i grandi occhi dall’iride giallastra. Poi si fece da parte, e lei entrò.
Nel focolare ardeva un bel fuoco che riscaldava e illuminava la stanza. Avrebbe voluto mettere i suoi abiti ad asciugare, ma per quello doveva chiedere il permesso ai padroni di casa.
«Dove sono i tuoi genitori?» chiese di nuovo.
Ma il bambino rimase muto una seconda volta.
«Adesso ho capito. Devi essere sordomuto. Vuol dire che mi arrangerò da sola». E si avviò verso la porta di congiunzione con il resto dell’edificio.
La aprì e fece per muovere un primo passo, ma fu subito investita da una folata gelida di aria e polvere che la fece arrestare di colpo. Un debole chiarore, di cui non riusciva a identificare la fonte precisa, si rifletteva negli occhi di quelli che le sembravano due enormi rapaci notturni. Doveva esser finita in una specie di voliera. Ma perché l’avevano realizzata in quella parte interna della casa? Assurdo!
Nello stesso momento una voce infantile alle sue spalle parlò:
«Babbo, mamma» fu tutto quello che lei sentì, prima che delle piccole mani la spingessero nella stanza semibuia e richiudessero la porta alle sue spalle.

Da Lord of Light ad Argo - Quando Jack Kirby e Barry Geller provarono a cambiare il mondo /1 di 2

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Quando mio padre mi fece vendere tutti i fumetti perché "non distruggessi la mia mente", non osai dirgli che la mia mente, grazie a Jack Kirby, se ne era già andata. L'influenza di Jack crebbe in me per i successivi quattordici anni, ispirandomi la scelta di studiare fisica, la visione di altri mondi, altre culture, altre dimensioni, e le possibilità future delle nuove tecnologie.
(Barry Geller)

* * *


Nota: Il presente articolo in due parti si inserisce all’interno del progetto di collaborazione tra blogger nato con il nome Pax Fantascientifica e poi divenuto Cosmolinea B- Log. Il che fa sì che compaia in simultanea anche in questo post del blog Nocturnia di Nick Parisi.
Buona lettura!




* * *


Quelli di voi che sono nati prima, o durante, gli anni '60, ricorderanno probabilmente la crisi degli ostaggi dell’ambasciata americana a Teheran, per averla vissuta in diretta attraverso i telegiornali e la stampa. Chi è nato dopo potrà invece averne sentito parlare per la prima volta solo grazie a un film del 2012, intitolato Argo, con la regia di Ben Affleck, che ne è anche l'interprete principale. Questo post si occupa, in modo diretto, della vicenda degli ostaggi, e, in modo indiretto, del succitato film, poiché tratta di una serie di circostanze particolari rievocate, sebbene alla lontana, anche dalla pellicola di Affleck.

Tutto, com'è noto, ebbe inizio la mattina del 4 novembre 1979, quando un folto gruppo di studenti universitari iraniani, fedeli alla rivoluzione khomeinista dell'anno precedente, dette l'assalto all'ambasciata statunitense di Teheran. Si trattò del non facilmente prevedibile sbocco di un braccio di ferro che andava avanti da mesi, da quando cioè gli Stati Uniti avevano concesso asilo al deposto Shah Reza Pahlavi (1919-1980), salito al potere un quarto di secolo prima grazie a un colpo di stato, in gran parte organizzato dagli stessi americani, che aveva rovesciato il governo del presidente eletto Mohammad Mossadeq (1882-1967). Il risultato dell'assalto fu la cattura di cinquantadue cittadini statunitensi, tenuti poi segregati nei locali occupati della sede diplomatica, come merce di scambio per la riconsegna dello Shah da parte del governo americano. Questo per 444 giorni, la durata di una crisi internazionale che, oltre a portare il mondo sull'orlo di una nuova grande guerra, minò nel profondo la fiducia del popolo americano e azzerò ogni speranza del presidente Jimmy Carter di essere rieletto per un secondo mandato alla guida del suo Paese.




Non tutti i cittadini americani presenti nell'ambasciata al momento dell'assalto furono però presi prigionieri. In cinque - i diplomatici Mark Lijek e Joseph Stafford, le rispettive loro mogli, Cora e Kathleen, e Robert Anders, un alto rappresentante addetto ai visti - si trovavano nell'unico edificio della struttura con accesso diretto alla strada e riuscirono a sfuggire alla cattura, mescolarsi alla folla e rifugiarsi nell'appartamento di Anders. Continuarono poi, per alcune ore, grazie a una radio collegata al network dell'ambasciata, a seguire il succedersi degli eventi, grazie soprattutto al racconto in diretta del cronista Codename Palm Tree - alias di Henry Lee Schatz, un diplomatico addetto in realtà alla raccolta e all'analisi di dati sull'agricoltura iraniana - che vedeva tutto dal suo ufficio al sesto piano di un palazzo antistante la sede diplomatica. Ma già alle tre del pomeriggio ogni comunicazione in lingua inglese era cessata, compreso quella di Codename Palm Tree.

Ma facciamo adesso un salto spazio-temporale e spostiamoci al di là dell'Europa e dell'Atlantico, e alla mattina del giorno successivo, il  5 novembre. Dopo che il Consiglio rivoluzionario iraniano aveva subito respinto ogni possibilità di trattativa, agli americani non restava che percorrere la strada dell'operazione clandestina, ossia passare la patata bollente alla CIA. In particolare, la guida delle operazioni venne affidata al trentottenne Tony Mendez, da quattordici anni agente del dipartimento di scienza e tecnologia della famosa, e famigerata, agenzia di intelligence. Ma è soprattutto la sua passata esperienza sul campo, come specialista in esfiltrazioni attraverso cambi di identità, a farlo ritenere l'uomo giusto a risolvere il caso.




Mendez, ancora all'oscuro dell'esistenza dei cinque fuggitivi, concentrò dapprima i suoi sforzi sulla ricerca di un modo di liberare i cinquantadue prigionieri in ambasciata. Ma si trattava di un compito tutt'altro che facile, dopo che la rete d'intelligence stabilita dalla CIA in Iran ai tempi dello Shah era andata quasi completamente distrutta e con gli unici tre agenti rimasti sul campo tutti e tre prigionieri nella sede diplomatica. La soluzione che propose, fingere di restituire il corpo dello Shah usando un body double cadavere venne bocciata dai vertici della Casa Bianca e tutto sembrava ormai giunto a un punto morto. Finché un giorno gli fu consegnato un dispaccio segreto del Dipartimento di Stato che lo avvisava di sei cittadini statunitensi scampati alla cattura e nascosti da qualche parte a Teheran. Erano loro a correre i rischi più seri nell'immediato, dal momento che la sede diplomatica aveva pur sempre puntati addosso gli occhi del mondo intero, e fu deciso che il loro caso dovesse avere la precedenza. Mendez, stavolta, non ebbe dubbi sul suo piano d'azione: prima avrebbe procurato ai sei delle false identità, poi si sarebbe recato in Iran, li avrebbe accompagnati all'aeroporto e fatti imbarcare su un volo di linea.

A Teheran, nel frattempo, i cinque si erano divisi in due gruppi e avevano trovato rifugio nelle residenze diplomatiche dell’ambasciatore canadese Ken Taylor, e di John Sheardown, un altro membro della stessa ambasciata amico di Anders. Da Sheardown trovò inoltre rifugio Henry Lee Schatz, vale a dire Codename Palm Tree, tenutosi nascosto fino ad allora nella residenza di un diplomatico svedese. I sei fuggitivi formavano così, per la prima volta, un unico gruppo.
Ma la loro situazione era tutt'altro che comoda. Più volte i Guardiani della rivoluzione erano arrivati a un passo dallo scoprire i loro nascondigli, mentre il paziente lavoro di ricostruzione dei documenti fatti a striscioline dagli americani al momento dell'assalto all'ambasciata, portato avanti da dei tessitori di tappeti iraniani, avrebbe potuto condurre da un momento all'altro alla scoperta che mancavano sei persone all'appello*. Inoltre, a peggiorare le cose, ci si mettevano anche gli organi di stampa americani, che cominciavano a far filtrare voci sul loro conto. Il 10 gennaio 1980, un cablogramma dettato da Mark Lijek e Robert Anders, con una richiesta di soccorso immediato, fu recapitato a Washington attraverso l'ambasciata canadese.




Tony Mendez aveva nel frattempo deciso di fornire a sei proprio delle identità canadesi. Gli mancava solo una storia plausibile da fornire alle autorità iraniane riguardo alla loro presenza a Teheran. Giornalisti, membri di associazioni umanitarie e prospettori petroliferi nordamericani erano una presenza costante da quelle parti, ma erano anche tutti strettamente monitorati. Il Dipartimento di Stato gli propose allora di trasformare i sei in insegnanti in cerca di impiego, ma c'era il dettaglio, non da poco, che tutte le scuole in lingua inglese della capitale iraniana erano state chiuse. Mendez respinse inoltre l'idea del governo canadese, di trasformarli in agronomi: da quelle parti, fece notare, il suolo si ricopre di neve a gennaio. Un'altra settimana si era così conclusa con un nulla di fatto.

Ma Mendez ebbe infine un'intuizione, che capì subito essere quella giusta. I film di fantascienza, rifletté, erano spesso girati in località esotiche che dovevano evocare il paesaggio di un altro pianeta, cosa di meglio quindi che trasformare i sei uomini in una squadra di pre-produzione approdata in Iran alla ricerca di una location adatta a girarvi un film hollywoodiano ad alto budget. Un investimento più che allettante per il nuovo governo iraniano, affamato di dollari.
Mendez si dedicò così a particolareggiare il suo piano, che poi propose ai suoi superiori, ottenendo, sebbene a denti stretti, il loro sì e quello della Casa Bianca. Tutto è pronto, a quel punto, per l'entrata in scena di Kevin Costa Harkins, produttore cinematografico irlandese di belle speranze.




Nel primo weekend di gennaio 1980, Tony Mendez AKA Kevin Costa Harkins vola a Los Angeles con 10.000 $ in tasca per incontrarvi il truccatore cinematografico John Chambers (1922-2001), noto per aver vinto un oscar nel 1969 per i make-up de Il pianeta delle scimmie. Chambers, che era stato allertato dalla CIA fin dalla settimana seguente l'assalto all'ambasciata e aveva già collaborato in passato con Mendez, aiuta l'amico a mettere in piedi, in soli quattro giorni, una finta casa di produzione, la Studio Six Productions. Ci sono, con loro, altri due specialisti di make-up, Tom BurmanRobert Sidell, che veste anche i panni di direttore dello Studio, e la moglie di lui, Andrea. Preparano inoltre sei finte identità e sei finti curriculum per le sei persone che avrebbero formato la finta troupe cinematografica. In quanto al film, a quello provvederà lo stesso Chambers.

Dobbiamo fare adesso un salto di alcuni mesi, indietro fino al giorno in cui John Chambers ricevette una telefonata da Barry Ira Geller. Geller, uomo di scienza oltre che scrittore e produttore per il cinema e la televisione, aveva acquistato i diritti cinematografici del romanzo di fantascienza di Roger Zelazny (1937-1995), Lord of Light, aveva scritto la sceneggiatura del film che ne avrebbe tratto e raccolto i fondi necessari alla sua produzione. Si era poi messo alla ricerca di qualcuno che disegnasse come Jack Kirby (1917-1994), il celebre autore di fumetti idolo della sua infanzia e adolescenza, per realizzare i disegni di scena. Ma nessuno dei disegnatori che gli si proponevano appariva abbastanza bravo ai suoi occhi da reggere il confronto. Allora, si disse alla fine, perché non provare a interpellare direttamente Jack Kirby?


* * *


*I documenti in questo modo recuperati furono in seguito pubblicati dal governo iraniano in una serie di libri raccolta sotto il titolo Documents From the US Espionage Den.

L'immagine in alto sotto il titolo è: Jack Kirby, Brahma's Pavillons of Joy (1978; chine: Mike Royer, colori: Mark Englert).

Le altre immagini sono frames del film Argo (Ben Affleck, 2012).

Da Lord of Light ad Argo - Quando Jack Kirby e Barry Geller provarono a cambiare il mondo /2 di 2

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Per me, in quel periodo, Jack Kirby era un genio, ma anche parte di un team di geni come lui che avevo messo insieme – e a cui guardavo per rendere ogni cosa possibile. Ma tutto era cominciato da Jack, come in passato era successo per molte altre cose – e come succede ancora oggi.
(Barry Ira Geller)

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Nota: Il presente articolo in due parti si inserisce all’interno del progetto di collaborazione tra blogger nato con il nome Pax Fantascientifica e poi divenuto Cosmolinea B- Log. Il che fa sì che compaia in simultanea anche in questo post del blog Nocturnia di Nick Parisi.
Buona lettura!




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Se finora, per chi lo ha visto, avere in mente le scene di Argo poteva essere un utile ausilio alla lettura del mio articolo, conviene invece adesso dimenticarsi completamente del film di Ben Affleck, la cui ricostruzione dei fatti è, da questo punto in poi, molto lontana dal vero. Ripartendo da dove eravamo rimasti, Barry Geller contattò Jack Kirby e i due si incontrarono una prima volta nell'estate del 1977. La loro intesa fu immediata, e appagante per entrambi: mentre infatti il giovane ricercatore scientifico e cineasta realizzava il suo sogno di lavorare gomito a gomito con l’idolo della sua infanzia e adolescenza, l'ormai sessantenne Maestro del fumetto vedeva nel progetto Lord of Light il coronamento di un lungo processo creativo iniziato oltre dieci anni prima sulle pagine di Fantastic Four #48, quando aveva creato, in coppia con Stan Lee, il personaggio di Galactus. L’idea di fondo, che sarà sviluppata in seguito più compiutamente dallo stesso Kirby in serie come New Gods (DC Comics, 1971) e Eternals (Marvel Comics Group, 1976), era quella di personaggi che, grazie al possesso di poteri quasi illimitati e all'utilizzo di tecnologie altamente evolute, assurgono al ruolo di divinità agli occhi delle popolazioni planetarie con cui entrano in contatto e finiscono per andare a comporre i loro pantheon di dèi.


L'arrivo in Italia di Galactus, nel numero 44 de I Fantastici quattro dell'Editoriale Corno, che nel novembre 1972
ristampa la storia di Fantastic Four #48 del marzo 1966.


Il romanzo di Roger Zelazny, Lord of Light, la cui prima edizione è del 19671, trattava all’incirca di tutto questo, come mostra anche la sintesi della trama del romanzo che ho prelevato dalle pagine di Wikipedia Italia:
Secoli dopo la morte della Terra, in un pianeta remoto e sconosciuto, alcuni terrestri possiedono la conoscenza di una tecnologia altamente sviluppata, grazie alla quale si sono dotati di poteri semidivini e della reincarnazione, dandosi quindi il nome di diverse divinità del pantheon indù. Siddharta (Mahasamatman - grandissima anima - o, come preferisce essere chiamato, Sam), dopo cinquant'anni di esilio, durante il quale era stato privato del corpo e costretto a vagare sotto forma di onda stazionaria nella nube magnetica che circonda il pianeta, viene fatto reincarnare da Yama, il dio della morte, prima suo nemico ma alla fine suo fedele alleato. Egli lo ha richiamato per salvare l'umanità di quel pianeta, dominata dai semidei, i colonizzatori, arrivati secoli e secoli prima. Ha così inizio la battaglia contro il pantheon dei dominatori.

Tutto bene, quindi? Niente affatto, come vedremo. Ma andiamo per gradi. Tanto per cominciare le ambizioni di Geller, e poi dello stesso Kirby, erano ben lontane dal limitarsi alla semplice realizzazione di un film. Geller aveva anche in mente di creare, nello stato del Colorado, un parco a tema chiamato Science Fiction Land - una vera e propria Disneyland della fantascienza che avrebbe riprodotto nella realtà i futuristici progetti che lui e Kirby avevano concepito per il film. Per intenderci, in Science Fiction Land avrebbero dovuto trovare posto, tra le altre cose: un treno a levitazione magnetica comandato a voce; una stanza di controllo planetario operata da una squadra di robot; una cupola riscaldata alta il doppio dell’Empire State Building; un viale affiancato da colossali statue di dei, in cui ogni edificio avrebbe ospitato un ristorante di una differente parte del globo. In più, per finire, vi si sarebbero compiuti studi avanzati sui poteri mentali e le capacità psichiche degli esseri umani. Tutto questo doveva servire, a dire di Geller, ad attrarre ulteriori finanziamenti per la realizzazione del film, ma è evidente come la sua stessa concezione situasse il progetto ben al di là di questo scopo pratico immediato.
Quando mi rivolsi allo scienziato esperto di ologrammi Donald Broadbent – racconta Geller – mi aspettavo che inventasse cose come un sistema di proiezione olografica per il film e ologrammi alti trenta metri per il parco tematico – perché no?, voglio dire. E anche Don non si scompose minimamente. Né nessun altro che fosse dotato di immaginazione ai più alti livelli vedeva come un problema trasferire i disegni di Jack nella realtà – per tutti noi era il naturale punto di partenza di ogni cosa.

Per la cronaca, queste persone "dotate di immaginazione ai più alti livelli" erano - oltre ai già citati John Chambers e Donald Broadbent (1926-1993) – il celebre scrittore Ray Bradbury (1920-2012), il pioniere dei videogiochi Gary Gigax (1938-2008) e gli architetti visionari Paolo Soleri (1919-2013) e Buckminster Fuller (1895-1983), tutti coinvolti da Geller nel suo progetto.


Jack Kirby, Science Fiction Land (1978; chine: Mike Royer, colori: Mark Englert)

Fu così – racconta ancora Geller – che scoprii il vero Jack Kirby. Il set di disegni che concepii insieme a lui lo trasportò fuori dal mondo dei fumetti, che aveva già cambiato, per provare a cambiare un altro mondo – quello che noi chiamiamo Terra. […] L’idea era che le persone, vedendo il film, potessero comprendere che erano LORO stesse degli dèi, dotate di propri poteri psichici – un’idea che non era mai stata sviluppata a dovere né in un film né altrove. […] Che tipo di tecnologia aveva il Paradiso? Come erano le sue strade? Cosa facevano le persone? Come era organizzata la vita quotidiana? Cosa costituiva la cultura del Paradiso, la sua etica, comunicazione e valori? Questa è l’essenza di ogni disegno: volevamo modificare la vita su questo pianeta – nulla di meno. NULLA DI MENO!

Lo stesso Kirby non mancò di rilasciare nei suoi comunicati stampa dichiarazioni di analogo tenore:
...Il mio modo di vedere le cose e di svilupparle è esattamente ciò che serve a questo film. E’ il mio background.
Il film avrà un impatto straordinario sul mondo, avrà una forza enorme. Permetterà all’uomo occidentale e all’uomo orientale di relazionarsi tra loro. Io credo che questo film e il modo in cui lo stiamo concependo possano contribuire a salvare il mondo.
Dovevo essere coinvolto... e lo sono nel modo più assoluto.

Con queste premesse, nel novembre 1979 Barry Geller organizza una conferenza stampa in grande stile ad Aurora, in Colorado, dove rende pubblicamente noto il progetto Science Fiction Land e lancia una raccolta fondi per la sua realizzazione. Oltre a Chambers e Kirby, presenziarono il suo vice-produttore Jerry Schafer e l'attore e giocatore di football americano Rosey Grier.
Non ebbi neppure bisogno di usare la mia parlantina– osserva Geller - l’entusiasmo provocato dal solo mostrare i disegni che trasformavano la vita era contagioso! E generò montagne di denaro!

Alcuni soggetti di Las Vegas e delle banche, canadesi e americane, versarono infatti (a seconda delle fonti) dai 50,000,000 ai 450,000,000 di dollari sull'apposito conto bancario e Geller poté opzionare l'acquisto (sempre a seconda delle fonti) di 400-1000 acri di terra in Colorado. A questo punto però il governo americano intervenne a bloccare l'intera operazione e Geller, insieme al suo vice Schafer, finì incriminato per estorsione2. E sebbene poi, a differenza di Schafer (e di alcuni politici locali), Geller fu alla fine scagionato da ogni accusa, ormai il danno era fatto e Tony Mendez poté agevolmente mettere le mani, con la complicità di Chambers, sulla sceneggiatura del film e i disegni di Kirby. Fin qui la versione ufficiale, ma le cose, a un esame appena più approfondito, appaiono tutt'altro che così lineari. Esiste un'altra versione dell'accaduto, che potremmo definire "complottista", secondo la quale non fu altri che la CIA a far fallire deliberatamente il progetto di Geller per appropriarsi di sceneggiatura e disegni. A dar peso a questa versione dell'accaduto c'è, oltre al fatto che la CIA è sempre la CIA, la circostanza che Mendez e Chambers avevano già collaborato in passato in operazioni di intelligence, ma anche e soprattutto il singolarissimo concatenamento temporale di tutti gli eventi in causa. Eppure neanche questa tesi sembra sufficiente ad alzare davvero il velo su quelle manovre dietro le quinte di cui Geller si è sempre dichiarato all'oscuro, aggiungendo di non sapere nemmeno che Chambers fosse un collaboratore della CIA e che avesse fornito il materiale del film a Mendez. Il suo vero ruolo nella vicenda è a tutt'oggi oggetto di dibattito e controversie. Riguardo poi a Kirby, morto nel 1994 senza aver mai chiarito nulla, c'è chi sostiene che sia stato arruolato dalla CIA per la sua straordinaria capacità di realizzare disegni complessi in pochissimo tempo e che la data dei suoi lavori per Lord of Light vada in realtà posticipata di vari mesi, a dopo l'inizio della crisi degli ostaggi. Se davvero fosse così, allora la sua dichiarazione: "Il film avrà un impatto straordinario sul mondo, avrà una forza enorme. Permetterà all’uomo occidentale e all’uomo orientale di relazionarsi tra loro, eccetera", acquisterebbe alla luce dei fatti un significato ben diverso, quasi beffardo. Senza contare che, come ha notato qualcuno, la maggior parte di quei tredici disegni simulano la vista dall'alto di un minareto, che è uno degli standard dell'arte della miniatura persiana. Ma sarebbe in generale lo stesso progetto Science Fiction Land, che appare straordinariamente avanzato rispetto alle effettive possibilità tecnologiche di quegli anni lontani, ad acquistare in questo modo una parvenza di senso. La "montagna di denaro" serviva forse a qualcosa di diverso dal suo finanziamento?3, 4


Jack Kirby, Hostel of Hawkana (1978; chine: Mike Royer, colori: Mark Englert)


Sia come sia, Mendez trova tutto perfetto per i suoi scopi, e in seguito dichiarerà anche che la spettacolare qualità dei disegni di Jack Kirby si rivelò di fondamentale importanza per convincere chi di dovere della fattibilità del suo piano. Rimosse solo la copertina originale della sceneggiatura per sostituirla con un'altra che riportava il titolo scelto per il film immaginario: Argo5. Dopodiché dette inizio al necessario battage pubblicitario, completo di poster cinematografico (che non è però lo stesso mostrato in Argo!) e della tagline: A Cosmic Conflagration. Il resto lo fecero la promozione della casa di produzione e del film sulle due riviste specializzate The Hollywood Reporter e Variety, le stesse che a novembre avevano pubblicizzato l'imminente realizzazione di Lord of Light di Barry Geller6, e il fallimento del tentativo di occultare il coinvolgimento di Chambers, il cui nome saltò comunque fuori con l'effetto di aggiungere un ulteriore involontario alone di credibilità a tutto il progetto. La sede di Studio Six si trovò così inondata da proposte di ogni genere, tra le quali una dello stesso Geller e una di Steven Spielberg. L'improvvisato direttore Robert Sidell si trovò perfino costretto, per portare avanti la finzione, a chiedere agli eredi di Athur Conan Doyle il via libera per girare un film tratto da un racconto horror dello scrittore - un film che lui sapeva non sarebbe mai stato girato.

Ottenuto il permesso dal Ministero della Cultura iraniano, il 25 gennaio 1980 Mendez vola finalmente a Teheran, accompagnato da un altro agente e con in tasca sei passaporti falsi ma autentici, emessi dalle autorità canadesi al termine della prima riunione segreta del parlamento dai tempi della seconda guerra mondiale. Rende noto il piano ai diretti interessati la sera stessa, a casa di John Sheardown, nel corso di una cena del personale di varie ambasciate. Dopodiché i sei, che in base ai passaporti risultano arrivati in Iran quello stesso giorno, vengono da lui istruiti per due giorni sulle loro nuove identità e su tutto quello che hanno bisogno di sapere sul film e sulle rispettive mansioni. Al nome di di Geller era stato sostituito, come autrice della sceneggiatura, quello di Theresa Harris, che viene impersonata da Cora Lijek, laureata in scienze umanistiche, mentre i tredici disegni di Kirby (che non sono però quelli mostrati in Argo!) finiscono nelle mani di Kathy Stafford, a cui è stato destinato il ruolo della scenografa.
Infine, dopo una visita sorvegliata, il 27 gennaio, al Grand Bazaar di Teheran, in qualità di possibile location di una parte del film immaginario, alle 4.00 di mattina del 28 i sei raggiungono da soli l’aeroporto, dopo che Mendez e il suo collega li hanno preceduti sul posto. Salvo qualche incidente minore - un ritardo del volo della Swissair, i sei che per sbaglio si chiamano a vicenda con i loro nomi reali, un momento di distrazione di Joe Stafford che prende in mano un giornale, dimenticandosi che non avrebbe dovuto conoscere il persiano - tutto fila liscio e nel giro di poche ore i sei sono in salvo, in volo a bordo dell'aereo. Missione compiuta.7


* * *

Note al testo


1 In Italia il romanzo è apparso per la prima volta nel 1975 con il titolo Signore della luce, pubblicato dalla Editrice Nord, come numero 8 della  collana editoriale Fantacollana.

2 Il 14 dicembre 1979 The Rocky Mountain News riportò la notizia che Schafer e Geller avevano convinto un immigrato che parlava a malapena l’inglese a dar loro tutti i suoi risparmi per contribuire alla costruzione del parco. (Fonte: Melanie Asmar, Science Fiction Land could have been Aurora’s biggest tourist trap, if its backers weren’t crooks. In: Denver Westword; April 9, 2012).

3 Quando fu messo a parte della sceneggiatura del film Argo, Mike Royer, che aveva inchiostrato i disegni di Kirby, commentò: "A me sembra tutto una bufala".

4 Ray Wiman, curatore dell'archivio di Jack Kirby dopo la morte della moglie Roz Kirby, e amico di famiglia, così commentò l'articolo della CIA relativo alla missione di Tony Mendez: "E' la storia così come Barry l'aveva raccontata a Roz. Come faceva Barry a sapere del coinvolgimento della CIA se la cosa è stata resa nota solo nel 1997? Inoltre, ricordo di aver già visto quel poster di Argo - probabilmente proprio a casa di Kirby".

5 Il titolo "Argo" nacque, secondo quanto riportato da Mendez, da una vecchia barzelletta raccontata da John Chambers, ma fu scelto anche per le sue implicazioni mitologiche.

6 James Romberger riporta invece, nel suo articolo The Deceptions of Argo, una diversa cronologia degli eventi: La promozione di Lord of Light apparve su The Hollywood Reporter e Variety nel novembre 1979, all’inizio della crisi degli ostaggi. Un mese dopo, a Dicembre, gli stessi due periodici Hollywoodiani presentarono del materiale promozionale relativo alla produzione della CIA rinominata Argo e alla compagnia di facciata Studio Six. Poco dopo l’inizio della missione della CIA, il progetto Lord of Light naufragò.

7 Per evitare ritorsioni, che avrebbero significato inevitabilmente la perdita della vita degli ostaggi in ambasciata, fu il governo canadese ad addossarsi tutta la responsabilità dell’esfiltrazione dei sei dall’Iran. Solo molti anni dopo la soluzione definitiva, e incruenta, del caso fu possibile rivelare una prima parte della verità.


* * *

Crediti


L'immagine in alto sotto il titolo è: Jack Kirby, Chambers of Brahma (1978; chine: Mike Royer, colori: Mark Englert).

Principali fonti dell'articolo (accanto al film Argo e all'immancabile Wikipedia):
  • Mendez, Antonio J.; A Classic Case of Deception: CIA Goes Hollywood. April, 14, 2007; June, 27, 2008. http://www.lordoflight.com/cia.html

  • Romberger, James and Van Cook, Marguerite; Eyewash: About Argo. In: Comic Art Forum #2, Winter 2003.

  • Bearman, Joshuah; The Great Escape: How the CIA Used a Fake Sci-Fi Flick to Rescue Americans From Tehran. In: Wired Magazine, April 2007 (https://www.wired.com).

  • Romberger, James; The Deceptions of Argo. 2013; dal sito: Jack Kirby Museum (http://kirbymuseum.org).

  • Geller, Barry I.; Jack Kirby and the Art of Reality Reconstruction. In: Heavy Metal Magazine #276, September 2015. Da questo articolo sono tratte tutte le citazioni di Barry Geller e Jack Kirby e le illustrazioni di Jack Kirby per Lord of Light utilizzate nei due post.

Da Lord of Light ad Argo /3 - La difficile arte di scrivere un articolo e salvarsi dalle fonti

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Non credo di dire nulla di nuovo se affermo che redigere un articolo impegnativo per il proprio blog richiede di necessità l'utilizzo di un buon numero di fonti. Il problema è che spesso tali fonti, come ho avuto ampio modo di verificare nel corso della stesura del mio ultimo articolo, Da Lord of Light Ad Argo, si dimostrano lacunose e/o imprecise, anche nel caso di periodici a diffusione nazionale che teoricamente dovrebbero essere affidabili. Ciò sembra dipendere, in gran parte, dal noto principio secondo cui, nella trasmissione da una persona all'altra, il contenuto originario di un discorso subisce una graduale e involontaria modifica. Un po' meno noto è che questo principio sembra valere anche quando si ha a che fare con la trasmissione da una pagina scritta all'altra - con il risultato, nel mio caso, che ho continuato a percepire come stonate alcune parti di Da Lord of Light Ad Argo anche dopo aver licenziato l'articolo, in particolare per quel che riguarda la fumosa vicenda del parco tematico Science Fiction Land. Mi sono perciò chiesto se e come avrei potuto rimediare alla cosa, e la prima risposta che mi sono dato è stata di provare ad andare oltre le fonti più appariscenti (quelle che svettano nelle pagine dei risultati dei motori di ricerca) e risalire la corrente del tempo, fino magari ad arrivare alla cronaca in diretta dei fatti. Ciò che sto per esporvi, attraverso una breve serie di esempi, è l'esito di questa mia nuova serie di ricerche.

Ho scritto, per esempio, nella seconda parte del mio articolo, che Science Fiction Land…
…doveva servire, a dire di Geller, ad attrarre ulteriori finanziamenti per la realizzazione del film, ma è evidente come la sua stessa concezione situasse il progetto ben al di là di questo scopo pratico immediato.

Le parti in grassetto non sono tali nel post originale, ma ho scelto di evidenziarle adesso per sottolineare il modo in cui avevo espresso, fin dall'inizio, la mia perplessità davanti alla notizia - reperita in un articolo scritto di pugno da Barry Geller - che il parco servisse a finanziare il film. Davvero degli investitori avrebbero trovato più conveniente finanziare un improbabile parco dei divertimenti - il cui successo era tutto da verificare - piuttosto che finanziare direttamente il film? mi ero domandato.

Non dubito tuttora che Geller sia un testimone più che attendibile dei fatti, e tuttavia, almeno in questo caso, ho trovato più convincente quel che ho letto in un articolo del Rocky Mountain News pubblicato il 30 novembre 1979 con il titolo Look out Disneyland - Science City is Coming. Si tratta di un reportage della conferenza data ad Aurora (la cittadina del Colorado nei cui pressi sarebbe dovuto sorgere il parco) dallo stesso Geller e parte del suo staff in quella stessa settimana. Una fonte diretta, quindi, che non attinge a una fonte precedente bensì all'evento stesso, e alla quale hanno senza dubbio attinto vari articoli successivi. Ecco una mia traduzione del suo incipit:
L’inizio dei lavori su uno dei più ambiziosi progetti cinematografici mai intrapresi è previsto nei dintorni di Denver nel luglio del 1980. Il film, un colossal fantasy-fantascientifico intitolato Lord of Light viene pubblicizzato come la pellicola a più alto budget mai prodotta e porterà alla fine alla creazione di un parco tematico dedicato alla fantascienza grande tre volte Disneyland.
Almeno così dicono i suoi produttori.
Questa settimana il supervisore alla produzione Jerry Schafer e il boss del progetto Barry Ira Geller sono arrivati a Denver, con al seguito uno staff di creatori e finanziatori, per annunciare i loro piani riguardo al film, ai mille acri del parco e ai diecimila acri dell’area industriale e manifatturiera che sarà chiamata Città della Scienza.

Il contingente professionale include il truccatore John Chambers, creatore dello Spock di Star Trek, e Maurice Stein (che, con Chambers, creò i costumi e il make-up per Il pianeta delle scimmie); il cartoonist Jack Kirby, creatore dei supereroi dei fumetti Capitan America, Incredibile Hulk e Uomo Ragno*; e l’attore Rosey Grier, che si è descritto come uno “soltanto in cerca di lavoro”.

Ed ecco, alcune righe dopo, un vivace ritratto della conferenza:
Schafer, ex stunt man, sceneggiatore cinematografico e produttore di spettacoli in Las Vegas, ha fatto da portavoce nel corso di una conferenza durata un’ora alla presenza di almeno cento persone, inclusi praticamente tutti i giornali e le stazioni televisive del posto e alcuni politici locali provenienti sia da Aurora (che potrebbe alla fine decidere di annettersi il parco) sia da Denver.
Mentre lui parlava, tre “clown futuristici” con costumi iridescenti blu e verdi, facce verdi e parrucche verdi, stavano ai margini del pubblico. Diversi sketch in bianco e nero, comprendenti i bizzarri ritratti di mezza dozzina di personaggi che devono apparire nel film, ed elaborati disegni degli scenari quasi barocchi del film erano affissi alle pareti.
Schafer ha detto che questo film da 50,000,000 di dollari – e il parco da 400,000,000 di dollari, saranno finanziati dalla vendita di lotti della Città della Scienza…
[…]
Partendo con soli 500,000 dollari, ma con una “irrevocabile lettera di credito” di 400,000,000 di dollari dalla Royal bank of Canada, ha detto Schafer, la compagnia prevede di incassare sostanziosi introiti per finanziare il film.

Appare chiaro, da queste righe, che non il parco doveva servire a finanziare il film, bensì la vendita di lotti della Città della Scienza, dieci volte più grande nelle dimensioni, che potevano essere utilizzati dagli acquirenti a scopi ben più pratici di quelli di una improbabile Las Vegas della fantascienza. Stranamente, però, nessuno o quasi degli articoli più recenti fa parola dell'esistenza, all'interno del progetto, di questa cittadella.




La stessa fonte diretta mi ha inoltre permesso di trovare una spiegazione anche alla discordanza di cifre offerta dai diversi articoli, e che io avevo così sintetizzato nel mio post (il grassetto, anche in questo caso, l’ho aggiunto adesso):
Alcuni soggetti di Las Vegas e delle banche, canadesi e americane, versarono infatti (a seconda delle fonti) dai 50,000,000 ai 450,000,000 di dollari sull'apposito conto bancario e Geller poté opzionare l'acquisto (sempre a seconda delle fonti) di 400-1000 acri di terra in Colorado.

Basta infatti confrontare quel che ho scritto nel post con l'articolo di giornale, per vedere che la discrepanza tra le fonti è in realtà dovuta al fatto che i redattori degli articoli più recenti hanno dato i numeri, ossia pescato dal mucchio delle cifre fornite da Jerry Schafer nel corso della conferenza.

Veniamo infine a un terzo esempio, tratto da un'altra parte del secondo post, dove ho scritto:
Per la cronaca, queste persone "dotate di immaginazione ai più alti livelli" erano - oltre ai già citati John Chambers e Donald Broadbent (1926-1993) – il celebre scrittore Ray Bradbury (1920-2012), il pioniere dei videogiochi Gary Gygax (1938-2008) e gli architetti visionari Paolo Soleri (1919-2013) e Buckminster Fuller (1895-1983), tutti coinvolti da Geller nel suo progetto.

In questo particolare caso, il nome di Gary Gygax mi era stato fornito da una fonte isolata, e precisamente l’articolo di James Romberger, The Deceptions of Argo - dedicato, come indica il titolo, alla falsificazione dei fatti operata dal film Argo - ma è molto probabile che si tratti di uno sbaglio. Lo stesso Romberger aveva infatti intervistato Barry Geller oltre dieci anni prima, nel 2002, ed ecco cosa dice testualmente Geller nell’intervista:
Gary Gygax è stato alla lettera il Padre del gioco interattivo fantasy, checché ne dica Steve Jackson. Con l'invenzione di Dungeons and Dragons dette il via all'intero genere. Gary era, ovviamente, un fan di Jack [Kirby], così mi venne l'idea di farli incontrare (nel 1983) per vedere quel che sarebbe successo... I due si piacquero, ma purtroppo dal loro incontro non scaturì nulla di professionale.**

Ora, il fatto che Geller non citi né qui né altrove Gary Gygax come uno dei partecipanti (tra il 1977 e il 1979) al progetto Science Fiction Land, mi fa ritenere probabile che sia stato in realtà lo stesso Romberger a mescolare involontariamente le carte e che il nome di Gigax vada perciò tolto dall'elenco di nomi del post.

Ma a questo punto mi sono anche detto: perché non osare oltre e cercare di rintracciare TUTTI gli articoli che Il Rocky Mountain News di Denver ha dedicato in quei giorni al progetto Science Fiction Land - così da avere una panoramica in diretta di tutto? La missione non solo si è rivelata alla fine possibile, ma ha dato proprio i risultati che speravo.
Ma, di nuovo, andiamo per ordine. Dopo il reportage del 30 novembre 1979 sulla conferenza , il Rocky Mountain News torna sull’argomento il 9 dicembre 1979, con un articolo intitolato Aurora park backer bankrupt in ’78. Era risultato, da indagini svolte dal giornale sull'ex stuntman, non solo che Jerry Schafer non godeva di alcuna linea di credito di 400,000,000 di dollari, ma aveva bensì dichiarato bancarotta l'anno prima.
In quanto a Geller, il suo amministratore di condominio, certo William Deanyer, aveva mostrato a un reporter del giornale lo scalcinato appartamento dove lo sceneggiatore e produttore aveva vissuto fino a poco tempo prima e descritto il suo stile di vita bohemien. “Non vedo in che modo Barry Geller potrebbe mai realizzare un film del genere” era stata la conclusione di Deanyer. “Quando stava qui aveva una macchina per scrivere a noleggio, e una Mercedes gialla, sempre a noleggio, che dovette restituire perché a corto di denaro”.




Un terzo articolo del Rocky Mountain News, intitolato Fantasy park planner is arrested, esce in data 14 dicembre 1979 con la notizia, stavolta, dell’arresto di Jerry Schafer per frode finanziaria relativa all’episodio (a cui ho accennato nelle note al testo nel secondo post) dell’immigrato Michael Fesch, che parlava a malapena l’inglese ma era stato convinto a contribuire al progetto Lord of Light con 50,000 dollari. Il titolare delle indagini, il procuratore distrettuale Robert Callagher, aveva emesso un ordine di cattura anche nei confronti di Barry Geller, che però si trovava in quel momento in Europa, e posto sotto indagine un membro della commissione urbanistica di Aurora, di nome Henry Govone, nel cui ufficio era avvenuto l’incontro tra Schafer, Geller e l’immigrato circuito. L'operazione, equiparabile a un'emissione di titoli, violava tre differenti articoli del codice legislativo: non rientrava nelle prerogative né di Geller né di Schafer, non aveva ottenuto la necessaria approvazione da parte dello stato, l’investitore non era stato messo a corrente dei potenziali rischi a cui andava incontro.

Due settimane dopo, e siamo al 28 dicembre 1979, il Rocky Mountain News esce con un quarto articolo, Promoters hit with 11 felonies, che riporta il nome, accanto a quelli di Jerry Schafer e Barry Geller, di un terzo uomo: Larry Chance, vice-presidente della compagnia di Schafer, la Sanford Entertainment International Inc. Ai tre, riporta l’articolo, erano contestati in totale undici capi d’accusa. Cinque - per furto, cospirazione e frode finanziaria - erano rivolti a Schafer, che era stato arrestato due settimane prima e rilasciato dietro cauzione. Se condannato, Schafer rischiava fino a 15 anni di prigione. Tre - per frode finanziaria e cospirazione - a Geller, che era ricercato dal 13 dicembre. Geller si presenterà alle autorità giudiziarie otto ore dopo l’ufficializzazione delle accuse e otterrà la libertà su cauzione. Altri tre capi di accusa - per cospirazione e sostituzione di persona - furono contestati a Chance, arrestato la settimana successiva a Schafer e anche lui rilasciato dietro cauzione. Chance era accusato in particolare di essersi sostituito a Barry Geller il 7 novembre, giorno in cui, secondo i rilievi della corte, era avvenuto l’episodio della circonvenzione dell’immigrato Michael Fesch, e di aver falsificato la sua firma. Se condannato, rischiava fino a 8 anni di prigione.
Ma l’articolo riportava anche una dichiarazione di Schafer, secondo cui il progetto del parco era ancora in buona salute ma la stampa locale e il procuratore Gallagher lo stavano ostacolando.

Le cose non stavano quindi, almeno riguardo a Geller, come sembrava a prima vista. Quando infatti, alcuni mesi dopo, il 4 aprile 1980, esce l’ultimo articolo del Rocky dedicato a Science Fiction Land, Aurora’s ex mayor,3 city aides indicted, il nome di Barry Geller, che era stato prosciolto da ogni accusa, non vi compare più. A differenza di quelli di Jerry Schafer, Larry Chance e dei politici locali coinvolti a vario titolo nello scandalo.


* * *


* In realtà questo dato è solo in parte esatto: Jack Kirby è sì il co-creatore di Capitan America (con Joe Simon) e di Hulk (con Stan Lee)  ma non dell'Uomo Ragno, che è stato creato da Stan Lee e Steve Dikto.

** Romberger, James and Van Cook, Marguerite; Eyewash: About Argo. In: Comic Art Forum #2, Winter 2003.

L'immagine in alto sotto il titolo è: Jack Kirby, North-East Corner of Heaven (Chine: Mike Royer; colori: Max Englert).

Solve et Coagula - Pagina 166

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Parte II - Capitolo 3 /9

Sembrava che tutta la stanchezza accumulata impercettibilmente in oltre un mese di peregrinazioni, avesse infine sommerso Massimo in una volta sola. Tutto ciò che si trovò a desiderare, una volta uscito dal ristorante, era tornarsene al più presto in albergo e infilarsi sotto le coperte. Per questo accolse con enorme sollievo le prime parole che Paula gli rivolse in strada, nella tiepida aria serale.
«Niente passeggiata al chiar di luna, stasera, anche se tutto inviterebbe a farla. E niente locali, niente concerti, niente di niente. Domani ci attende una giornata faticosa e non possiamo fare tardi. Ce ne staremo tranquilli a letto a guardare la tv» fu quello che lei gli disse.
E poiché durante la cena non erano tornati una sola volta sull’argomento dell’indomani, Massimo pensò di cogliere al balzo l’occasione.
«Cosa intendi con “giornata faticosa”?» le chiese, non senza un po’ di ansia.
«Sette chilometri a piedi» replicò telegrafica la ragazza.
La risposta lasciò Massimo perplesso. «Non mi sembrano poi così tanti. Ho fatto di peggio in varie occasioni».
Paula rise brevemente prima di rispondergli di nuovo. «Saranno in gran parte sotto il sole, tutti in salita e lungo un sentiero accidentato».
«Sembra divertente» scherzò Massimo. «In ogni caso, dove siamo diretti? Non in direzione del Monte, mi pare di capire».
«In direzione di Mont Saint Michel? No. Ma anche sì, in un certo senso».
«Cos'è, un indovinello?».
«No, nessun indovinello. Anzi, non ti tengo oltre in sospeso. Ci arrampicheremo su un cucuzzolo dalla cui cima avremo una visione privilegiata dell'abbazia e di tutta la baia».
«Non ne vedo molti di cucuzzoli da queste parti…» osservò Massimo.
«E chi ha detto che resteremo da queste parti?» ribatté Paula. «A dirla tutta, non resteremo neanche in Normandia. Per la prima volta ci sposteremo in Bretagna».

Avevano scelto una stanza del secondo piano, una di quelle affacciate sul retro dell’albergo, con le pareti incorniciate da decorazioni in stile floreale art decό, e l'arredamento in tema. Oltre la porta-finestra, un piccolo balcone sporgeva su un giardino - un angolo paradisiaco, illuminato in quel momento dall’alto da uno spicchio di luna, la cui vista ebbe su Massimo uno strano effetto. Affiorò in lui un ricordo lontano e quasi dimenticato, all’apparenza privo di ogni nesso con quel che aveva sotto gli occhi, che lo riportò ai suoi undici anni, a una sera in cui suo padre lo aveva accompagnato al cinema a vedere Gli aristogatti. Più esattamente, rivide sullo schermo della sua memoria la scena in cui Romeo incontra per la prima volta Duchessa, in riva al fiume. Ricordò, come fosse allora, lo sguardo della gatta, completamente rapito dalla figura del randagio. Paula, ne era più che certo, non lo avrebbe mai guardato a quel modo, e si trovò a chiedersi perché.
«Perché così malinconico?» gli chiese la ragazza, in piedi al suo fianco. «Non staremo separati per sempre».
Romeo e Duchessa scomparvero all’istante dalla mente di Massimo, mentre il cuore gli balzava in gola.
«Ci rivedremo tra poco meno di trent’anni» continuò la ragazza, come se parlasse del più e del meno.
Lui non sapeva se doveva mettersi a ridere o cosa. «Immagino che dovrei essere felice di sentirmelo dire» ironizzò.
Paula ignorò la battuta e continuò a parlare con lo stesso tono serio di prima.
«Domani, più o meno a quest’ora, ti darò la parola-chiave che ti farà ricordare di me».
«Ti assicuro che non ho problemi di memoria e non corro nessun rischio di dimenticarmi di te» osservò Massimo, che corse col pensiero al Calvados come possibile spiegazione degli strani discorsi della sua compagna di viaggio. «Mi piacerebbe però sapere il perché di questo gioco da ragazzini, così all’improvviso».
Ma lei, anziché rispondergli di nuovo, cominciò a cantare. Era la stessa nenia finlandese che gli aveva già cantato una volta, su un pullman, poco dopo l’inizio del loro viaggio insieme.

Da Lord of Light ad Argo /4 - Science Fiction Land (1 di 2)

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Science Fiction Land, già lo sappiamo, è un parco tematico concepito alla fine degli anni '70 da Barry Ira Geller, che intendeva conciliare insieme, in una sorta di Disneyland futuristica, la scienza e la fantascienza, la mistica orientale e il fumetto.* Ispirata al romanzo Lord of Light di Roger Zelazny, Science Fiction Land doveva anche servire, con le sue installazioni, da set al film che Geller era intenzionato a ricavare dalle pagine di Zelazny, oltre che a sviluppare pienamente alcune idee a cui lo scrittore aveva solo vagamente accennato nel suo libro.
Ma questo stesso post è a sua volta un approfondimento, di cose da me solo accennate in precedenza, nella seconda parte del primo articolo di questa serie: un approfondimento interamente dedicato alle attrazioni previste per Science Fiction Land, con un accenno agli uomini che avrebbero dovuto collaborare con Barry Geller per renderle possibili. Comincerò proprio da loro.


1. I protagonisti


Barry Ira Geller aveva, come ho detto, riunito attorno al suo progetto una serie di grossi nomi della scienza, della fantascienza e dell’architettura. Vediamo chi e quali erano o avrebbero dovuto essere i loro compiti.

Il fumettista Jack Kirby, anche questo già lo sappiamo, aveva il compito di aiutare Geller a dar forma, fissandoli su carta, agli scenari evocati dal libro di Zelazny. Kirby, come la maggior parte dei disegnatori di fumetti, realizzava il disegno a matita per poi affidare le chine a uno dei suoi inchiostratori di fiducia, in questo caso Mike Royer. Una prima versione a colori dei disegni nacque da un coloring contest organizzato dalla compagnia di produzione cinematografica che faceva capo a Geller, ma i disegni utilizzati nell’operazione della CIA erano ancora quelli in bianco e nero. Io ho ancora uno di questi primi disegni a colori– ha raccontato Geller in un'intervista – e Mendez ne mostra un altro nel video della WGBH (dove lo ha preso? hmmmm).**

Lo scrittore Ray Bradbury - che era un grande fan di Kirby, così come Kirby lo era di lui - aveva il ruolo di consulente scientifico nella realizzazione delle varie attrazioni tematiche del parco.

L’architetto Buckminster Fuller avrebbe dovuto occuparsi soprattutto della cupola fluttuante, lunga 1200 metri, che dominava il parco da un’altezza vertiginosa. Era un progetto che lui aveva già presentato, nel 1964, agli organizzatori della Fiera Internazionale, che si teneva quell’anno a New York, senza però riuscire a vincere il loro scetticismo. Secondo Fuller, la cupola avrebbe galleggiato, essendo l’aria più calda al suo interno che all’esterno. Geller, dal canto suo, credette nell’idea, ma il progetto di Science Fiction Land si interruppe, per le ragioni che sappiamo, prima che lui e Fuller potessero sviscerarla a fondo.

L’architetto Paolo Soleri era all’epoca, nelle parole di Geller, il dio dell’architettura, il vero visionario. E lui stesso si considerava tale. Avrebbe dovuto occuparsi di varie attrazioni tematiche del parco e in particolare della realizzazione di un'arcologia.**

Oltre a loro, dovevano far parte dello staff altri scienziati, matematici e ingegneri, inclusi gli inventori dell’olografia, tutte persone che avevano lasciato il MIT(Massachusetts Institute of Technology) per creare una propria organizzazione di ricerca.


2. Le attrazioni


2a. Royal Chambers of Brahma’s (Brahma’s Exterior)



Il miglior modo di rendersi conto delle effettive proporzioni degli edifici del parco in rapporto ai visitatori, spiega Geller, è osservare il disegno Royal Chambers of Brahma’s (Brahma’s Exterior). L’onnipotenza di Brahma è qui resa evidente dalla cupola a forma di loto, da cui si diffonde una luce visibile a miglia di distanza, dalle pareti olografiche formate dalle sue Otto Teste (o Poteri Mistici) che cambiano di aspetto mentre ruotano nelle otto direzioni, e da un Giardino delle Delizie che inanella l’edificio, al cui interno i visitatori dovevano incontrare androidi dalle fattezze divine che suonavano delle musiche.
Nessuno può immaginarsi l’orrore mostrato dagli ingegneri alla mia richiesta di fare di questo disegno una realtà architettonica– commenta Geller. Nella sua sceneggiatura di Lord of Light, gli dèi salivano con degli ascensori fino alla sommità del tempio, al cospetto di Brahma, dal cui seggio si allungavano come i raggi di una ruota i seggi degli altri dèi, che gli sedevano tutt’intorno mentre lui ruotava portandosi di fronte a ognuno di loro.
La prima versione di Chambers of Brahma (Brahma’s Exterior) era stata però realizzata diversamente da Kirby e corrisponde al disegno rinominato da Geller Brahma's Supremacy (vedi l'immagine in alto in apertura del post). L’intenzione di Kirby era di rendere graficamente la coscienza e l’onnipotenza di Brahma e l’idea dei vari esseri che la sua consapevolezza proietta nel mondo.  Nel parco, la proiezione di queste immagini virtuali doveva raggiungere un’altezza di trenta metri. Geller chiese però a Kirby un disegno più dettagliato, in cui le persone avrebbero potuto riconoscere sia degli aspetti del libro che del film. Dopo il fallimento del progetto Lord of Light, Jack Kirby vendette la serie dei suoi disegni, nel 1993, a un’asta di Sotheby’s, e questo disegno in particolare, racconta Geller, fu venduto al doppio del prezzo degli altri.
L’intero parco – spiega ancora Geller - doveva fare un uso esteso dell’olografia, con ologrammi a immagine reale e virtuale***:
Avevo già fatto progettare da un fisico e ingegnere americano di punta un proiettore e uno schermo per ologrammi, per certi effetti speciali del film, che prevedeva che un’immagine virtuale si allungasse fin sopra le teste del pubblico. Era in corso di progettazione una sala speciale per il nostro demo. I russi avevano già fatto molto più degli americani, ma era mia intenzione stracciare anche loro.

2b. Planetary Control Room (Raga Wheel Vortex/ The Hand of Shiva)



La Stanza di Controllo Planetario comprende al suo interno la Ruota Raga e la Mano di Shiva, dapprima disegnate da Kirby in disegni separati e poi accostate insieme. Sormontata da un cristallo che condensa le forze gravitazionali elettromagnetiche del pianeta Terra, la Ruota Raga serve a fornire ai Cieli l’energia necessaria. Emette il suono Aum e distribuisce energie ai templi di tutto il mondo attraverso una replica condensata della Terra sorretta dalla mano di Shiva. Gli dèi osservano i templi attraverso un’apposita strumentazione.
Nella sceneggiatura del film la Ruota Raga era di dimensioni più piccole, ma come elemento del parco era delle dimensioni di uno stadio da football e concepita in modo che le persone potessero visitarne l’interno. Le pareti dovevano essere formate di ologrammi e i visitatori avrebbero visto in diretta tutte le parti del pianeta Terra trasmesse via satellite. La sua rotazione avrebbe dovuto inoltre permettere una vista a 360° sull’intero parco.
Da notare che il pianeta Terra sorretto dalla mano di Shiva è di forma cubica, e ricorda così il cubo cosmico che Jack Kirby aveva disegnato in origine per le storie di Capitan America. Come elemento del parco, l’interno del cubo era una camera di levitazione dove i bambini avrebbero potuto vivere l’esperienza di fluttuare a gravità zero. Ma l’interno stesso della Mano di Shiva era concepito per essere visitato.
La stanza di Controllo Planetario avrebbe dovuto inoltre ospitare dei cyborg che sfrecciavano tutt’intorno comunicando con i visitatori.


* * *


Note al testo


* L’Entertainment Weekly scrive testualmente, in un articolo a firma Jeff Jensen:  “Geller passò dall’essere un vagabondo bohemien che frequentava Allen Ginsberg all’essere un inventore-futurista che voleva cambiare il mondo con un film”.

** WGBH-TV, channel 2, è una stazione televisiva educativa, non commerciale, con sede in Boston, Massachusetts. Secondo quanto da lui dichiarato all’Entertainment Weekly, Barry Geller è venuto a sapere dello scherzo dei finti canadesi solo venti anni dopo i fatti, quando un autore della canadese Bravo Documentaries lo contattò per chiedergli il permesso di utilizzare i disegni di Kirby per un servizio su Mendez. Geller ricorda anche un incontro della produzione ai tempi del progetto Lord of Light in cui lui e i suoi colleghi discutevano degli attori da chiamare per il ruolo di protagonista: “Avevo pensato a Marlon Brando. Ma qualcuno obiettò: ‘Sì, ma è un po’ troppo vecchio’. Allora John disse: ‘Non è un problema. Ho inventato un make-up che fa sembrare molto più giovani. L’ho usato per la CIA’. E io: ‘Cosa?’”.

*** Un'arcologiaè il concetto di un enorme edificio sufficiente a mantenere un'ecologia interna e una densità abitativa estremamente alta.
Il termine, parola macedonia ("neologismo composito") formata dalle parole "architettura" ed "ecologia", è stato coniato dall'architetto Paolo Soleri negli anni sessanta del Novecento. (Fonte: Wikipedia)

**** Con la proiezione laser gli ologrammi prendono il nome di ologrammi a immagine virtuale.


Principali fonti consultate:


Lord of Light official site by Barry Ira Geller. http://www.lordoflight.com

Romberger, James and Van Cook, Marguerite; Eyewash: About Argo. In: Comic Art Forum #2, Winter 2003.

Jeff Jensen, Documentarian hopes to make film about failed movie that inspired fake movie in Affleck’s ‘Argo’. Got that? In: Entertainment Weekly.com; oct 4, 2012.


I miei anni '80, un po' pop un po' altro

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Alfine è successo! Nonostante i miei ripetuti tentativi di autoescludermi, sono tra i cinque nominati di Luz del blog Io, la letteratura e Chaplin per perpetuare il meme sui nostri personali tesori degli anni '80, meme iniziato dal semper vulcanico Miki Moz con il post I miei anni '80.




La mia reticenza era più che altro dovuta al fatto che, almeno dal punto di vista dello spirito "pop" del gioco, ho sempre considerato gli anni '70 i miei personali anni ruggenti. E' stato allora che ho conosciuto la maggior parte dei miei "miti" della musica, del fumetto, del cinema, ecc. Di quel che emergeva negli anni '80 mi sono invece interessato poco, perché la mia attenzione era rivolta soprattutto al mio privato. E' stato il decennio degli studi musicali; dei primi esperimenti nello sciamanesimo; delle sessioni di arti marziali che occupavano a volte intere giornate; dei primi tentativi di letteratura autobiografica.
Ma ho anche lasciato scritto, nello spazio commenti di un paio di blog: "Qualcosa per la verità mi ha colpito di quegli anni, sebbene quasi nulla con l'intensità del decennio precedente". Concentrarmi su questo "qualcosa" salvato dal nulla grazie a quel "quasi"è l'unico modo possibile per me di traghettare il meme alla meta. Vado quindi a cominciare? Non ancora. Voglio prima precisare che dei numerosi argomenti messi in elenco da Miki Moz nel suo post, solo pochi mi riguardano davvero: musica, fumetti, cinema e libri. La sezione "Life" l'ho sintetizzata poco sopra, in un paio di righe. Per il resto, chiuderò volentieri con un'immagine per me rappresentativa del decennio e passerò altrettanto volentieri la palla ad altri cinque blogger, come prevede la regola del meme.


1. Musica


Negli anni '80 ho in effetti continuato ad acquistare dischi in quantità industriale e ho anche ascoltato, per la prima volta, alcuni musicisti molto influenti per la mia formazione successiva, non solo in senso strettamente musicale. Così, per evitare ogni rischio di produrre l'ennesimo post monumentale, ho scelto di mettere in evidenza, in questa sezione, un unico autore e di aggiungere i rimanenti in forma di semplice elenco di nomi (o quasi). Voglio evidenziare, in particolare, l'ingresso nella mia vita della musica di Philip Glass, notissimo esponente storico della corrente minimalista, che scoprii in occasione dell'uscita di Glassworks (1982), l'album della svolta melodica. I puristi storsero il naso; qualcuno lo definì metà esercitazione accademica, metà melassa musicale, ma i fan si aggiunsero a migliaia. Seguirono poi, in rapidissima successione: The Photographer (1982), omaggio al famoso fotografo Eadweard Muybridge; la colonna sonora del film di Godfrey Reggio, Koyaanisqatsi (1983); l'opera in tre atti Akhnaten (1983). Ho continuato ad acquistare e ascoltare anche in seguito, occasionalmente, dischi di questo artista, ma secondo me è in questo cluster di opere che è racchiusa l'essenza del suo discorso musicale. Avendo già pubblicato in precedenza, in questo blog, il pazzesco Preludio dell'opera Akhnaten, e avendo in programma di scrivere presto un post su Koyaanisqatsi, non mi resta qui che presentare un brano ciascuno dai rimanenti due album: Facades da GlassworksA Gentleman's Honor da The Photographer.

1a. Facades (1982)



1b. A Gentleman's Honor (1983)




Altri incontri musicali per me fondamentali sono stati, nel corso del decennio, quelli con Franco Battiato, con Alice (che negli anni '80 inanella un'intera serie di album capolavoro: Park Hotel, Elisir, Melodie passeggere e, segnatamente, Il sole nella pioggia), con il duo Battisti/Panella e con Leonard Cohen (colpo di fulmine, nel 1984, con l'ascolto di Dance Me to the End of Love).

1c. Bonus Track




* * *


2. Comics


Dopo la scorpacciata del decennio precedente, negli anni '80 ho letto relativamente pochi fumetti. A lasciare il segno più di tutto, il ciclo narrativo degli X-Men scritto da Chris Claremont lungo l'arco di tutto il decennio. Ma voglio soffermarmi in particolare sull'accoppiata vincente con un disegnatore, Paul Smith, che ritengo sia colui che meglio di ogni altro, con l'eleganza del suo tratto e il suo senso della composizione della pagina, ha saputo tradurre in immagini i testi di Claremont. I due hanno collaborato insieme nel biennio 1982-83, dal 165 al 175 di Uncanny X-Men (con l'eccezione del numero 171 disegnato da Walt Simonson), in una sequenza di belle storie diventata poi nota anche con il titolo collettivo From the Ashes.



Due pagine di puro dinamismo Marvel disegnate da Paul Smith per Uncanny X-Men #170 (sinistra) e #173 (destra)


* * *


3. Cinema


Idem come sopra. Dopo la grande abbuffata del decennio precedente, anche la mia passione per il cinema subisce un graduale e vistoso rallenty. Non è un caso che l'anno più florido di titoli che mi sono rimasti impressi sia proprio il primo, il 1981. Ecco la lista, con i film ordinati per anno di uscita nelle sale:
  • Storie di ordinaria follia di Marco Ferreri, con Ben Gazzara, Ornella Muti e, nel finale, the lovely Katja Berger. Naturalmente dal libro di Charles Bukovski. (Francia, Italia, 1981)
  • L'ululato (USA, 1981) di Joe Dante e Un lupo mannaro americano a Londra (UK, USA, 1981) di John Landis. Due evergreen per ogni amante dei film di lupi mannari.
  • La casa di Sam Raimi. Raimi è un genio del cinema, come dimostra questo suo film di esordio. Un vero peccato che abbia poi finito per farsi addentare da quella macchina frantuma-sogni che spesso e volentieri si dimostra essere Hollywood. (USA, 1981)
  • Ghost Story di John Irvin. Una classica ma intensa storia di fantasmi tratta da un romanzo di Peter Straub. Ma è anche un commovente tributo alla settima arte, perché è il film di congedo dal cinema (e dalla vita) di tre grandi vecchi come Fred Astaire, Melvyn Douglas, Douglas Fairbanks Jr. (USA, 1981)
  • Possession di Andrzej Zulawski, con Isabelle Adjani. Questo film inaugura la mia lunga storia d'amore con il cinema del regista polacco. (Francia, Germania Ovest, 1981)
  • Il bacio della pantera (USA, 1982) di Paul Schrader e L'estate assassina di Jean Becker (Francia, 1983). Li ho riuniti insieme perché sono due film soprattutto al servizio della carica erotica delle loro interpreti femminili, nel primo caso Nastassja Kinski, nel secondo Isabelle Adjani.
  • Phenomena di Dario Argento, con la giovanissima Jennifer Connelly alla sua seconda prova attoriale. Non è già più l'Argento dei tempi d'oro, ma non mi è comunque scivolato completamente addosso. (Italia, Svizzera 1984)
  • In compagnia dei lupi di Neil Jordan. Bella fiaba horror, ispirata ai racconti sui lupi mannari di Angela Carter e sceneggiata da lei stessa. (UK, 1984).
  • Space Vampires di Tobe Hooper. Divertente e spettacolare. Con una Mathilda May che non passa inosservata nei panni (si fa per dire) di una vampira energetica venuta dallo spazio. (UK, 1985)
  • Sacrificio di Andrej Tarkovskij. Dopo il mezzo passo falso di Nostalghia, il grande regista sovietico torna a risplendere di luce propria nel suo film testamento, il suo terzo appartenente al genere forse a lui più congeniale: la "fantascienza" (virgolette d'obbligo). Giustamente strapremiato. (Svezia, UK, Francia, 1986).
  • L'insostenibile leggerezza dell'essere di Philip Kaufman. Pazienza per i numerosi estimatori di Milan Kundera che forse mi daranno addosso, ma devo dire che questo film mi ha coinvolto assai di più del libro da cui è tratto (e che ho letto prima di vederlo). (USA, 1988).
  • Santa Sangre di Alejandro Jodorowsky. Segna il ritorno al grande cinema, dopo lunga assenza, del mitico regista cileno. Argento (non Dario, ma il fratello Claudio) collabora alla sceneggiatura e schizza di sangue qua e là un film di grande poesia. (Messico, Italia, 1989)

* * *


4. Libri


E' un decennio di grandi e fondamentali letture. Grazie agli input dell'antropologo strutturalista Gilbert Durand, del filosofo e iranista Henry Corbin e del creatore della psicologia archetipica James Hillman prima e dello scrittore Roberto Calasso poi, scopro l'inesauribile ricchezza del pensiero simbolico e del Mito, che più e meglio di ogni altra esperienza umana mi sembrano spiegare il cosmo, l'uomo e la loro reciproca interazione.
Ma è anche il decennio del mio primo libro di Carlos Castaneda in diretta: Il dono dell'aquila. "In diretta" significa che quando sono venuto a sapere per la prima volta di lui, Castaneda aveva già scritto i suoi primi cinque libri, che ho poi letto uno di seguito all'altro nell'estate del 1980. Dopodiché ho dovuto attendere due anni, prima che uscisse il suo sesto libro. Ricordo bene il giorno, credo del 1982, in cui stavo passeggiando in una via del centro di Firenze e vidi The Eagle’s Gift esposto nella vetrina di una libreria internazionale. Era la prima edizione rilegata del volume e poiché, con il cambio librario, costava un vero patrimonio, dovetti fare il percorso in autobus fino a casa, prelevare i soldi necessari al suo acquisto, e tornare, di nuovo in autobus, in centro. Il tutto nel minor tempo possibile, tanta era la mia foga.
Sul versante invece più puramente letterario il decennio si divide in due: la prima metà è dominata dall'horror di Stephen King e H.P. Lovecraft, la seconda dalla scoperta della letteratura mitteleuropea, in particolare di Arthur Schnitzler, Alexander Lernet-Holenia e Adalbert Stifter, autori di cui ho finito per leggere quasi tutto. Libri come Doppio Sogno (Schnitzler), Marte in Ariete (Lernet-Holenia) e Abdia (Stifter) sono veri miracoli letterari.


* * *

5. La foto

Come immaginavo sarebbe successo, non sono riuscito a trovare nessuna mia foto risalente a quel decennio. Sono così ricorso all'escamotage di pubblicare una foto molto più recente (2013, tra l'altro in un giorno di malattia) ma scattata in un luogo importante ai fini della mia biografia e che ho rivisto per la prima volta, dopo vent'anni, nella primavera del 1988. Più di questo, così su due piedi, non sono riuscito a fare.



* * *


Io, a questo punto, avrei quasi finito. Spero che vi sia piaciuto tutto ciò (o anche solo una parte di ciò) come a me è piaciuto compilarlo. Mi resta ancora da scegliere i cinque a cui affidare il seguito del meme, oltre che ricordare loro che la mia versione coincide solo in parte con quella originale proposta da Miki Moz (per cui invito i nominati a leggere il suo post di lancio dell'iniziativa prima di affrontare il compito).
I miei magnifici 5 blog/blogger prescelti sono, sperando che non siano già stati nominati in precedenza da altri:
  • The Obsidian Mirror
  • Giuseppe Marino
  • Lucius Etruscus
  • Giulia Mancini
  • Clementina Daniela Sanguaini

A spasso tra le superstringhe con La Terra prima di Adamo e Frequency

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Uno degli awards che ho ricevuto nel 2015, conferitomi dal blogger Ariano Geta, è stato il Very Inspiring Blogger Award, tra le cui regole figura quella di raccontare 7 fatti curiosi/inusuali/scemi/buffi/particolari della propria vita.

Del mio elenco di sette, il quarto fatto riguardava un libro intitolato La terra prima di Adamo. Ecco come avevo esattamente descritto, nel post del 2015, le circostanze che lo riguardavano:
La terra prima di Adamo era un volume illustrato di grande formato sulla preistoria su cui avevo messo gli occhi fin dal giorno della sua pubblicazione, nel settembre 1971. I miei genitori avevano promesso di comprarmelo per il mio undicesimo compleanno e io non stavo più nella pelle. Arrivato il 2 ottobre, mi hanno portato in libreria e ne sono uscito, trionfante, con il volume in mano. Solo dopo aver fatto ritorno a casa mi sono reso conto che uno dei sedicesimi più interni del libro aveva le pagine tutte rovinate. Siamo quindi dovuti tornare in libreria per farcelo cambiare. Ma quella era l'unica copia disponibile e alla fine, per non trascorrere il compleanno a mani vuote in attesa dell'arrivo di una nuova copia del volume, ho preferito accontentarmi di una sostituzione: sono tornato a casa con tre libri (di minor costo) al posto di uno, ma tutt'altro che soddisfatto.

Questo per il passato. Venendo invece al presente, il fatto si è arricchito di nuovi particolari, dopo che il giorno 28 maggio (ieri, al momento in cui scrivo queste righe) mi sono diretto, come d'abitudine, al mercatino dell'usato che si tiene ogni ultima domenica del mese in una piazza della mia città ed è, attualmente, il mio luogo privilegiato di raccolta del materiale utile a portare avanti il mio Progetto di autobiobibliografia (che è, per chi ancora non lo sapesse, un progetto ispirato a Henry Miller, consistente nella rievocazione di ogni circostanza legata alle letture del nostro passato, con un occhio di riguardo per l'infanzia e la prima giovinezza). Rientrare in possesso delle opere originali è in questo caso un più che utile ausilio, perché permette di riattualizzare esperienze sensoriali che la nostra memoria conserva altrimenti in modo solo approssimato: le reali dimensioni del volume, l'effettiva consistenza delle pagine, la texture della copertina, ecc. E devo dire, a questo proposito, che la mia visita mensile al mercatino si conclude in genere con un bottino più che soddisfacente, come ieri, che sono tornato a casa con tre volumi e, tra questi, proprio la prima (e credo unica) edizione del 1971 de La terra prima di Adamo, pagata 5 euro.*
Devo dire che quando ho veduto il volume esposto sulla bancarella quasi non credevo ai miei occhi. Non solo si presentava come nuovo, ma mi è bastato aprirlo per rendermi facilmente conto del fatto che né il suo proprietario dei tempi che furono, né nessun altro dopo di lui, si è mai degnato di leggerne una sola pagina. Ma devo anche, adesso, richiamarmi all'amico blogger Lucius Etruscus e a una sua specifica categoria di post che raccoglie, sotto la dicitura Libri Infranti, quegli esemplari di libro con dedica scritta a mano, un tempo regalati a qualcuno e oggi liberamente circolanti nel mercato dell'usato e accessibili a chiunque voglia entrarne in possesso.
La copia de La terra prima di Adamo del mercatino conteneva infatti, tra le sue pagine, una piccola busta color crema con sopra scritto nome e cognome del destinatario originale del volume e contenente a sua volta un robusto cartoncino dello stesso colore che riporta la seguente dedica:




Un regalo a quanto pare caduto nel vuoto, come dimostra il fatto che il libro, come ho detto, non presenta il minimo segno di usura.

Trovo comunque oltremodo affascinante che un discorso sul tempo si incentri, in questo caso, su un libro il cui argomento è proprio il tempo. La terra prima di Adamo affronta infatti - dopo una prima parte introduttiva ai fossili, alla geologia e alla teoria dell'evoluzione darwiniana - la storia del pianeta terra, dal momento della sua formazione all'interno del Sistema Solare fino all'epoca della realizzazione dei famosi dipinti della grotta di Lascaux. Nel mezzo, l'origine della vita, l'ascesa e la scomparsa dei dinosauri, l'alba dell'era dei mammiferi e la comparsa dell'uomo - il tutto alla luce dello stato delle conoscenze scientifiche consolidatesi nel corso degli anni '60 del Novecento.
Ma il vero paradosso è che io non mi troverò, stavolta, a rileggere delle pagine che hanno accompagnato le mie giornate di bambino all'inizio degli anni '70, bensì ciò che avrei potuto leggere se il destino, o chi per esso, non avesse deciso di metterci lo zampino e far sì che le cose andassero in un altro modo.

La sensazione, per me inevitabile, è quella di trovarmi a giocare in qualche modo con il tempo e i suoi paradossi, sebbene non mi aspetti di certo risultati del tipo di quelli raccontati nel film di Gregory HoblitFrequency (USA, 2000), dove una tempesta magnetica permette al figlio di contattare via radio, nel 1999, il padre un giorno prima della sua morte avvenuta nel 1969. Per la cronaca, Frequencyè basato sugli sviluppi teorici delle diverse teorie delle superstringhe e della Teoria M a esse associata, a cura del fisico Brian Greene (che ha fatto anche da consulente del film) e da lui esposte nel libro L'universo elegante. Ci tengo a precisarlo comunque, nel caso che le pubblicazioni su questo blog dovessero subire, a breve termine, delle mutazioni repentine e radicali di stile e/o contenuti.

* * *


* Per saperne di più sul Progetto di autobiobibliografia rimando ai precedenti post della stessa categoria, elencati nella pagina statica Tutti i post divisi per categorie.

L'immagine in alto sotto il titolo è un particolare di un'illustrazione a tutta pagina tratta da La terra prima di Adamo, pag. 140.

Insieme Raccontiamo 21: What A Wonderful World

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Ventunesimo appuntamento con Insieme raccontiamo, dal blog Mirtylla's House. Per l'occasione Patricia Moll non collega nessuna immagine al suo incipit, ma vi inserisce all'interno ben due brani musicali. Tocca poi a noi completare il tutto con un finale, a nostra scelta in forma breve (200/300 caratteri) o lunga (200/300 parole).




Vi rimando inoltre, come sempre, al consueto post di lancio dell'iniziativa, dove troverete anche le prove di tutti gli altri partecipanti (in attesa del riepilogo generale del primo giugno).


* * *


L'incipit di Patricia


Stava affettando la cipolla per il ragù. La radio accesa a tenerle compagnia. Canticchiava sottovoce così come era capace, stonata e storpiando le parole inglesi.
Quasi a tradimento, dopo il mitico Elvis e il suo IN THE GHETTO, nell’aria si diffuse la voce roca e potente, inconfondibile, di Louis Armstrong. Le note e le parole di WHAT A WONDERFUL WORLD entrarono nella cucina e dentro di lei.
Si fermò col coltello a mezz’aria come colpita da un pugno.
Come è bello il mondo… ma era bello davvero?


Il mio finale (247 parole)


Ma è poi così importante deciderlo? Ecco la fregatura di masticare un po’ di inglese, si disse. Chi non sa una parola di quella lingua non ha idea di cosa parli la canzone: si gode la melodia e la voce roca di Louis ed è finita lì. Lei, invece, ogni volta che la danno alla radio, ecco che cade nel tranello esistenzialista della domanda filosofica sulla bellezza o non bellezza del mondo.
Scosse con forza la testa come per liberarla dal peso dell’insulsa domanda, riabbassò il coltello e… zaccheté! Via una fetta di carne al posto di una fetta di cipolla. Subito si ficcò il dito in bocca e corse verso il bagno e la cassetta del pronto soccorso, senza tralasciare, nel frattempo, di recitare mentalmente al contrario le litanie di tutti i santi.
Ma anche mentre sedeva sul bordo della vasca, intenta a medicarsi la ferita, continuava perversamente a tendere l’orecchio verso la cucina e la musica della radio.
Poté così accogliere con un senso di liberazione lo sfumare, finalmente, nel silenzio delle note di What A Wonderful World. Non era però ancora tutto finito, come lei aveva sperato: per un attimo, aleggiante davanti a lei come un genio che fosse appena uscito dalla tazza del water anziché dalla lampada magica, ebbe la visione del faccione da rana di Louis Armstrong che strabuzzava gli occhi prominenti, gonfiava le gote a dismisura ai lati della sua tromba ed esplodeva in una grossa pernacchia sonora. Tutta per lei.

Solve et Coagula - Pagina 167

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Parte II - Capitolo 3 /10


«Smettila, per favore, con questa specie di ninna nanna. Stasera rischio davvero di finire per addormentarmi in piedi» protestò Massimo, che in realtà si sentiva più innervosito che assonnato.
Se l'idea dell’imminente separazione da Paula lo metteva già di per sé di cattivo umore, a questa si aggiungeva il fastidio che gli dava il dover constatare l’apparente leggerezza con cui lei stava affrontando lo stesso evento. Sapeva bene che non si sarebbe mai davvero rassegnato a perderla di vista del tutto, che avrebbe cercato di rivederla il prima possibile - il che poteva significare tra qualche mese o un anno - ma aveva anche pensato che quella loro ultima notte di vacanza insieme sarebbe stata il culmine di tutto, il degno coronamento di quel che avevano vissuto insieme. Lei, invece, non solo continuava a cantare come se nulla fosse, ma lo faceva a dispetto delle sue lamentele.
Decise tuttavia di non insistere oltre. In fin dei conti, pensò, ognuno ha il suo modo di affrontare le situazioni difficili; forse Paula allontanava da sé la tristezza con il canto.
«Ho capito, fa come vuoi» le disse, cercando di apparire conciliante ma non troppo. «Io intanto entro sotto le lenzuola».
Detto questo, lasciò l'aria piacevolmente fresca della terrazza, si svestì di tutti i suoi abiti e si coricò.

Era la prima sera che Paula si tratteneva alzata mentre lui era a letto, ma anche la prima, notò, in cui lei era riuscita a spegnergli, sperava senza volerlo, il desiderio sessuale.
O forse stava andando tutto come doveva ed era lui a non capire. In fin dei conti era la prima volta che viveva un addio consapevole con una donna che amava o credeva di amare; le volte precedenti era sempre stato colto di sorpresa, da donne che mai si sarebbe sognato sarebbero sparite dalla sua vita la sera stessa o il giorno successivo e per sempre. Era il motivo per cui talvolta diceva di sé, anche in pubblico, di essere allo stesso tempo fortunato e sfortunato in amore: era un discreto sprinter, ma le lunghe distanze non sembravano fatte per lui.
Supino, pensava tutte queste cose, mentre il brusio della voce di di Paula sfumava rapidamente nel silenzio e nell'oscurità, insieme a tutto il resto.

Camminava da qualche parte nei confini di una valle erbosa incassata tra verdi colline e attraversata da un torrente. Era alla testa di un piccolo gregge di pecore e con lui, al suo fianco, c'era una bambina della sua stessa altezza, dagli occhi scuri e dai lunghi capelli neri. Ma era una giornata ben strana quella: la valle sembrava pervasa ovunque del senso di una minaccia incombente e il loro cane, di solito tranquillo, lanciava a tratti dei lunghi, lugubri lamenti a cui facevano eco gli altri cani della valle. Perfino le pecore dai comportamenti immutabili apparivano irrequiete quel giorno. E il sole stesso, pur alto nel cielo senza nubi, sembrava meno luminoso del solito e i suoi raggi incapaci di scaldare veramente.
Ma ciò nonostante, furono colti ugualmente di sorpresa, da qualcosa come un interminabile rombo di tuono che saliva da oltre le colline e cresceva rapidamente di intensità. Il cane abbandonò a quel punto il suo compito di pastore, e tuttavia le pecore serrarono ancor più di prima i loro ranghi quasi a voler formare un unico essere; dopodiché, cane e pecore, fuggirono insieme nella direzione opposta al boato.
Ci volle poi ancora pochissimo perché un’enorme fronte d’acqua si scaricasse nella valle, travolgendo tutto quel che trovava sulla sua strada. Lui e la bambina, che si erano nel frattempo avvinghiati stretti l’un l’altra, finirono catturati nel vortice di un gorgo e trascinati verso il basso. Ma persero presto anche la reciproca presa e lui si trovò solo, dapprima avvolto in una totale oscurità e poi in una sorta di luminosa, densa tenebra di smeraldo, le cui pareti sembravano vibrare tutte degli echi di un canto cavernoso. Era dunque vero quello che si diceva, della tenebra di smeraldo che accompagna gli annegati nell’ultima parte del loro viaggio verso la morte? Fu allora, mentre il respiro lo abbandonava del tutto, che si sentì afferrare strettamente e tirare con forza verso l’alto. Dopodiché i suoi polmoni tornarono a riempirsi di nuova aria e i suoi occhi si aprirono su una notte che vide interrotta solo da una luminosa stella d’argento. Ma quasi subito gli si delinearono davanti anche i contorni di una figura ormai familiare: Paula era seduta nuda sopra di lui, sul letto, e gli serrava i fianchi con la stretta delle cosce allo stesso tempo che gli teneva ben stretti i polsi con le mani.
«Non avere paura» gli sussurrò lei, in italiano. «Ora va tutto per il meglio, fratellino mio».

Da Lord of Light ad Argo /5 - Science Fiction Land (2 di 2)

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Il disegno battezzato Science Fiction Land, che raffigura l’insieme del parco sullo sfondo delle montagne del Colorado, è stato realizzato da Jack Kirby sulla base di una mappa abbozzata da Barry Geller. Solo alcune delle varie strutture presenti al suo interno sono state però dettagliate da Kirby in disegni separati, e sono quelle che ho racchiuso, qui sotto, nei due rettangoli di colore verde e bianco.



Nel rettangolo bianco sono facilmente riconoscibili, dall'alto in basso, le tre strutture denominate, nei disegni, Royal Chambers of BrahmaTerminal of Gods e Hostel of Hawkana. Poiché la prima delle tre l'ho già descritta nel post precedente, passo subito alla descrizione delle altre due. Anche la numerazione riprende da dove mi ero fermato.


* * *


2c. Terminal of Gods e Jet Tube Sky Ride



Nel film Lord of Light, la struttura denominata Terminal of Gods doveva servire da punto di decollo o di approdo dei veicoli degli dèi diretti o provenienti dai Cieli, oltre che da casa dell'uccello mitologico Garuda, sulle cui ali vola il dio Vishnu, ma Geller l'ha concepita principalmente in vista di un suo utilizzo nel parco di Science Fiction Land.
La lunghezza prevista della piattaforma era di poco meno di 300 metri. Raggiungibile attraverso un servizio sotterraneo di hovercraft, avrebbe dovuto ospitare, nelle teste delle sue statue-pilastro, dei punti di ristoro a cui i visitatori avrebbero avuto accesso per mezzo di ascensori (il tutto è ben visibile nell'immagine).
Il Terminale doveva inoltre servire da snodo di accesso al Jet Tube Sky Ride, un sistema di collegamenti interno a Science Fiction Land in grado anche di connettere il parco agli aeroporti delle città più vicine. I vettori, veri e propri prototipi degli attuali treni a levitazione magnetica (MagLev) dalla capienza di cento persone, avrebbero dovuto muoversi all'interno di un tunnel di plastica trasparente che avrebbe permesso ai visitatori di godere della vista del parco lungo il tragitto da un'attrazione all'altra.


2d. Hostel of Hawkana



Hawkanaè il perfetto oste e il proprietario della struttura Hostel of Hawkana. Concepita in origine per accogliere in primo luogo gli dèi, nelle pause del loro peregrinare durante l’epoca primordiale della costruzione dei Cieli, è simile, nella sua architettura, al terrestre Taj Mahal. In Science Fiction Land avrebbe dovuto essere raggiungibile per via terrestre e acquatica, nel secondo caso grazie a degli hovercraft che percorrono due canali. Al suo interno avrebbero dovuto trovarvi posto una galleria commerciale, dei ristoranti, degli auditorium e delle sale per esposizioni.

Nel rettangolo verde sono invece riconoscibili le due aree denominate, nei disegni di Kirby, Brahma’s Pavilions of Joy e North-East Corner of Paradise.


2e. Brahma’s Pavilions of Joy



Nel romanzo di Roger Zelazny, Brahma allude al suo Padiglione delle delizie come al palazzo del piacere supremo. Nei disegni per Science Fiction land, l'attrazione Brahma’s Pavilions of Joy ha l'aspetto di un ampio viale della lunghezza di trecento metri, costellato, lungo tutto il suo percorso di ciclopiche statue di dèi e da una serie di ristoranti rappresentativi di ogni tradizione alimentare del globo terrestre.


2f. North-East Corner of Paradise

(Chakra Pyramid / Chambers of the Gods / Pavilion of the Gods of Karma / Grand Temple of Reincarnation)



L'area che nei disegni prende il nome di North-East Corner of Paradise comprende un insieme di varie strutture.
La più elevata in altezza di queste, la Piramide Chakra, è un edificio stile NASA che in Lord of Light serve da punto di stazionamento e di lancio del Carro del Tuono, il potente veicolo di Shiva, equipaggiato con armi elettroniche a raggi laser traenti e respingenti e mosso da un sistema misto di propulsione a getto e antigravità. Le pareti esterne della Piramide sono rivestite di strati su strati di pannelli di cristalli di quarzo che cambiano colore con l'energizzarsi del veicolo. Quando la frequenza oscillatoria raggiunge il colore bianco, significa che il Carro del Tuono ha accumulato tutta l'energia necessaria al suo decollo.
Un secondo edificio è costituito dalle Stanze degli Dei, nei cui vari livelli dimorano i semidei di più alto rango, eccetto che alla sua sommità, dove una vasta cupola riempita di luce al laser ospita al suo interno le Sale del Concilio degli dèi.
L'Angolo ospita inoltre un terzo e un quarto edificio: il Padiglione degli dèi del Karma e il Grande Tempio della Reincarnazione, quest'ultimo una specie di caverna cuboide perennemente buia, casa del dio della morte Yama. Lo spazio comprendente queste due strutture è quello adibito alla Reincarnazione Galattica, dove gli dèi possono trasferire le loro menti in altri corpi nuovi di zecca.
Tutto questo, s'intende, nel film Lord of Light. Nel parco, la stessa area doveva invece alloggiare, oltre alla solita galleria commerciale e alcuni ristoranti, la seguente serie di attrazioni: una parata di statue di elefanti (perfettamente distinguibile nel disegno di Kirby), un planetario, un percorso sul Carro del Tuono, un centro benessere, una Torre dei Quattro Venti, un'arena per gli spettacoli.

Delle altre, numerose, strutture del parco non esistono disegni dettagliati, ma l'aspetto e la funzione di ognuna di esse doveva comunque comparire descritta nel package promozionale del parco utilizzato per attirare finanziamenti. Riguardo, per esempio, il bizzarro e gigantesco corpo tubulare visibile in basso nella parte destra del disegno d'insieme, Barry Geller ha specificato in un'intervista che avrebbe dovuto ospitare una Escursione sotterranea tra i pianeti, una sorta di versione Science Fiction Land dell'attrazione di Disneyland sui Pirati dei Caraibi (realizzata, nella sua fase iniziale, sotto la supervisione dello stesso Walt Disney).


* * *


Il disegno in alto sotto il titolo è: Jack Kirby, Jet Tube Transporter (1978)

Principali fonti consultate:


Lord of Light official site by Barry Ira Geller. http://www.lordoflight.com

Romberger, James and Van Cook, Marguerite; Eyewash: About Argo. In: Comic Art Forum #2, Winter 2003.

Jeff Jensen, Documentarian hopes to make film about failed movie that inspired fake movie in Affleck’s ‘Argo’. Got that? In: Entertainment Weekly.com; oct 4, 2012.

Incantesimi cinemusicali /8: Organic e Prophecies

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Il Mistero svanisce davanti alle certezze dei postulati tecnologici. Per questo il vero orrore, la vera aggressione contro la vita si manifesta sotto forma del perseguimento della nostra felicità tecnologica.

(Godfrey Reggio)

Con l'avvicinarsi del tempo dell' arrivo del Purificatore ci saranno coloro che cammineranno come fantasmi nelle città, nei canyon costruiranno montagne artificiali. Coloro che cammineranno attraverso questi luoghi saranno appesantiti nei loro passi, ogni cosa apparirà spaventosa ad ogni passo a coloro che saranno sconnessi dallo spirito e dalla Terra.

(Dalla profezia Hopi detta "Ultimo Pianto")*


* * *


Il termine Koyaanisqatsi (Ko.yaa.nis.katsi) descrive, nella lingua dei nativi americani Hopi, il tempo del grande squilibrio che accompagna il declino del Quarto Mondo, il nostro, e prepara l'avvento del Quinto dei nove Mondi della cosmogonia Hopi. Attorno a questa idea, il documentarista Godfrey Reggio ha costruito il suo primo e per ora più riuscito film. Si tratta, come sarà anche per tutti i suoi film successivi, di un racconto per sole immagini, un documentario dove le parole sono sostituite dalla musica del famoso compositore americano Philip Glass. I due collaboreranno insieme anche negli altri due film della cosiddetta trilogia -qatsi (non avevano in mente l'Italia, è evidente) e nel più breve Anima Mundi. Ma Koyaanisqatsi (1982) ha dalla sua più punti a favore rispetto agli altri film citati: il vantaggio della novità assoluta, una maggiore freschezza creativa e un Philip Glass all'epoca in vero stato di grazia. La musica del compositore americano, infatti, lungi dall'essere un semplice commento sonoro, porta allo scoperto il nucleo più profondo delle immagini, e ne amplifica il pur già di per sé potente impatto emotivo sullo spettatore. Ne è la riprova la sequenza, di poco successiva all'inizio del film, coperta dal brano musicale Organic, assente tra l'altro nella prima, ridotta, edizione discografica della soundtrack (1983).





Molto diverse l'ambientazione e le atmosfere dell'altro incantesimo che era mia intenzione pubblicare. Ma mentre con Organic nessuno ha battuto colpo, nel caso del secondo estratto da Koyaanisqatsi, relativo alla parte finale del film e corrispondente al brano musicale Prophecies, le cose sono andate diversamente. Anche se, per la verità, io ho continuato a vedere il video come prima nel mio blog e ho saputo del blocco solo grazie alla cortese comunicazione di una collega blogger, che ringrazio di cuore. A quanto pare, quella particolare sezione di documentario è stata giudicata troppo importante da chi di dovere per sorvolare come se nulla fosse.
Mi limiterò quindi in questo re-edit, come ho fatto in altre situazioni del genere, a pubblicare qui sotto il solo brano musicale (il mio preferito di tutta la soundtrack) senza nessun estratto video. Aggiungo, come intro all'ascolto, che Prophecies è in parte cantato e che il testo utilizzato è quello di tre delle nove profezie considerate le più importanti del popolo Hopi, nella loro lingua originale.

The Philip Glass Ensemble - Prophecies (Koyaanisqatsi OST, 1983)



Per la versione inglese delle tre profezie, la cui traduzione compare in chiusura del film, il regista si è avvalso di un nutrito team di consulenti e linguisti. Ecco il risultato (accompagnato da una mia traduzione al volo):
  1. If we dig precious things from the land,
    we will invite disaster.


    Se scaviamo cose preziose dalla terra,
    favoriremo la catastrofe.

  2. Near the Day of Purification, there will be cobwebs
    spun back and forth in the sky.


    In prossimità del Giorno della Purificazione, ci saranno tele di ragno
    tessute da un capo all'altro del cielo.

  3. A container of ashes might one day be thrown from the sky,
    which could burn the land and boil the oceans.


    Un contenitore di cenere potrebbe esser gettato un giorno dal cielo,
    e potrebbe far ardere la terra e ribollire gli oceani.


La prima edizione discografica, del 1983, della soundtrack.
Sotto il titolo, cinque diverse traduzioni possibili del termine Koyaanisqatsi.


Con simili premesse, Koyaanisqatsi si presenta di necessità, almeno a prima vista, come un film intriso di profondo pessimismo. Il suo tema portante, che è poi il filo conduttore di tutti i lavori a oggi del regista, è quello del passaggio da uno stile di vita organizzato in armonia con le leggi e i ritmi della natura, proprio delle civiltà tradizionali, a un altro, il nostro, dominato dalla fretta e inserito in contesti artificiali.
Le dichiarazioni rilasciate nel tempo da Godfrey Reggio, tra cui la citazione in apertura del post, non lasciano dubbi sul suo atteggiamento al riguardo:
  • Quello che io cerco di fare è, come minimo, di mettere in guardia dalla luce accecante della tecnologia.

  • Non è che noi utilizziamo la tecnologia, noi viviamo la tecnologia.

  • La tecnologia è diventata ubiqua come l'aria che respiriamo, al punto che noi non siamo neanche più consapevoli della sua presenza.

  • Io penso che la tragedia del nostro tempo sia che noi non siamo consapevoli degli effetti del modo in cui abbiamo adottato i nostri utensili. Questi utensili sono diventati ciò che siamo.

Dunque un film, dicevo, dall'apparenza fortemente pessimista, ma che, ancora nelle parole di Reggio, dal suo calco in negativo  ricava la propria forma positiva:
...se si intende il film nel senso di una metafora, allora solo attraverso il negativo si può ottenere la forma positiva. Ciò che io cerco di ottenere è il valore positivo della negazione.

L'occhio di Godfrey Reggio, ex monaco cristiano cattolico ed ex insegnante di studi superiori, sa essere in realtà allo stesso tempo tempo estremamente poetico e lucidamente spietato. Quel che va in scena in Koyaanisqatsi, e in particolare nella sezione di documentario relativa a Prophecies, è la vita zombificata degli abitanti delle nostre grandi metropoli... il pullulare in esse di fantasmi solo dall'apparenza umana... che trascinano la miseria delle proprie esistenze nell'agonia artificialmente prolungata dei loro letti d'ospedale. La musica di Philip Glass, dal canto suo, proiettata com'è verso altezze siderali, non fa che accentuare la distanza e severità dello sguardo. Dopotutto, nessun aspirante alla felicità tecnologica può dirsi davvero innocente.


* * *


Facciamo adesso un salto di millennio: dal 1983, anno di uscita nelle sale di Kooyanisqatsi, fino al 2009 e al film Watchmen di Zack Snyder, tratto dal celebre fumetto omonimo di Alan Moore. Nel folto numero di brani, si può dire tutti azzeccati, che compongono la sua colonna sonora troviamo anche due dei brani composti da Philip Glass per il film di Reggio: Prophecies e Pruit Igoe. La particolarità è che, in questo caso, i due brani non sono presentati separatamente e neanche nella loro completezza, bensì alcune loro parti sono combinate insieme in modo da formare un tutto unico e adattarsi all'alternanza di distensione e climax presente nella parte di film che la musica è chiamata a commentare: dall'arrivo su Marte di Dr. Manhattan al drammatico colloquio che l'omone blu intrattiene con la bella Silk Spectre dopo averla teletrasportata a sua volta sul pianeta rosso.




The Philip Glass Ensemble - Prophecies / Pruit Igoe (Watchmen OST, 2009)




* * *


* Da: Dr. Robert Ghost Wolf, Native American Prophecies & Tales of the End Times, 1994.

Miao, il mio primo giornalino /1

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Introduzione


Questo post vuole essere, fin dal titolo, una sorta di post gemello del più antico Michelino, la mia prima rivista. Era da molto che desideravo realizzarlo e se adesso finalmente riesco è perché il mio consueto itinerario di fine mese tra le bancarelle dell'usato mi ha portato stavolta un frutto insperato: ben diciassette numeri di Miao più un Super Miao. Ho parlato di frutto insperato perché, come sa bene chi da bambino l'ha conosciuta, si trattava di una pubblicazione in cui le pagine da ritagliare non erano, come in Michelino, riunite in un inserto centrale staccabile bensì sparse per tutto il fascicolo, che perciò finiva di norma distrutto. Era per la verità contemplata, come vedremo, la possibilità di salvare le storielle dei vari personaggi, ma anche così delle trentadue pagine interne se ne salvavano appena dodici. Per quel che riguarda me, da bambino amavo destreggiarmi con carta, forbici e colla, e una volta che avevo ritagliato tutto il ritagliabile e costruito tutto il costruibile, gettavo via il resto del giornalino. E credo che la maggioranza dei bambini della mia generazione abbia fatto lo stesso. Tuttavia, anche in questo caso, vige la regola dell'eccezione, grazie alla quale ho avuto la possibilità di mettere le mani (al prezzo di due euro ciascuno) su questo stock di albettini, tutti integri con la sola eccezione di un paio di numeri, mancanti di una pagina. Perfino il mini inserto centrale staccabile di due pagine, quello di cui teoricamente gli adulti avrebbero dovuto impossessarsi prima di affidare l'albo alle cure dei loro pargoli, è rimasto al suo posto in ogni numero. Meglio di così!

Venendo invece alla domanda delle domande: se nella mia vita di bambino sia entrato prima Miao o Michelino, non ho una risposta definitiva. Il fatto che Miao si presenti come un albo muto, fruibile anche da chi non ha ancora imparato a leggere, potrebbe far propendere per l'ipotesi di una sua precedenza d'ingresso, ma non è detto che sia davvero andata così.

Aggiungo infine, prima di far parlare direttamente le pagine di uno dei fascicoli, secondo la formula che tanta fortuna ha portato al mio articolo su Michelino, alcuni dati tecnici introduttivi.*
Si trattava, nel caso di Miao, di un quattordicinale di 32 pagine+4 di copertina+2 di inserto per i genitori, che si sviluppava nel formato orizzontale 23,8 x 13,4 cm.
Le pagine si dividevano tra quelle riservate alle attività, che prevedevano di dover disegnare, colorare, ritagliare e incollare, e quelle riservate alle storie, i cui principali protagonisti e i loro autori erano:
  • il gatto Miao, di Luigi Roveri. In qualità di titolare della testata, era l'unico personaggio a comparire in ogni albo, sempre nelle tre pagine di apertura. Era inoltre l'unico personaggio negativo del giornalino: prepotente e dispettoso, finiva regolarmente vittima delle trame che ordiva ai danni del prossimo;
  • la Paperella meccanica, di Giorgio Michelini;
  • il Clown gonfiabile, di Paolo di Girolamo;
  • lo Gnomo, di Civo (?);
  • il Ragazzo biondo amico degli animali, di cui non sono riuscito a identificare l'autore;
  • la Coccinella, di Elena Poirer.

Tutti questi personaggi, così come i principali illustratori del giornalino, già citati e non, li incontreremo strada facendo.**


Il tour illustrato /1


La copertina, eccetto che in determinate speciali occasioni, prevedeva
sempre la presenza del gatto titolare nella colonna di sinistra.


La seconda di copertina è, nel n. 58, una semplice pagina da colorare.




Pagine 1-3. Le tre pagine di apertura del giornalino sono sempre dedicate
alle disavventure del pestifero gatto. Il numero 58 non fa eccezione.


Pagina 4. Una versione facile facile di un classico dell'enigmistica.







Pagine 5-10. Tutto il necessario per ricostruire, con forbici e colla,
una scena di vita dell'antico Egitto. Le pagine da ritagliare erano inserite
in modo da lasciare intatte le storie di Miao e degli altri personaggi.


Pagina 11. Una seconda pagina da colorare,
ispirata stavolta a una celebre fiaba di Andersen.



Pagina 12-13. Due sole pagine e tre vignette bastano in questo caso
a raccontare una storia del biondo amico degli animali.


Pagina 14. Il possessore originario dell'albo dà finalmente segno di
volersi impegnare in qualcosa. Sebbene con poco successo apparente.


E con questa quattordicesima pagina, per metà colorata, dichiaro conclusa la prima parte del tour illustrato attraverso il numero 58 di Miao. Se vi siete fatti risucchiare nel vortice del passato, o anche solo divertiti, nei prossimi post della serie vi attendono le pagine successive.

* * *


Sono tutti dati che ho tratto dagli albi degli anni '60 in mio possesso. Nulla posso dire delle uscite dei decenni successivi (la cui trattazione esula in ogni caso dagli intenti di questo blog). Ho infatti scoperto, con mia sorpresa, che Miao ha goduto di lunga vita. Nato nell'aprile 1965, è stato pubblicato da Iniziative Editoriali fino alla fine degli anni '70, per poi ricominciare dal numero uno con le Edizioni Zanetti e proseguire per un altro decennio circa. Per un periodo è stato anche affiancato da Super Miao e, negli anni '70, da Le Fiabe di Miao.

** Ogni aggiunta o precisazione a questa provvisoria lista dei collaboratori di Miaoè la benvenuta.


Insieme raccontiamo 22: Il viaggio premio

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Nuovo appuntamento con Insieme raccontiamo, ormai storica iniziativa mensile partorita dal blog Mirtylla's House. Patricia Moll torna a regalarci un'immagine di partenza (quella che vedete qui sopra) oltre, naturalmente, a un bell'incipit da completare con un nostro finale. Nella forma breve (200/300 caratteri) o in quella lunga (200/300 parole), come più ci aggrada.




Vi rimando poi, come sempre, al consueto post di lancio dell'iniziativa, dove troverete anche le prove di tutti gli altri partecipanti (in attesa del riepilogo generale del primo luglio).


* * *


L'incipit di Patricia

Si sedette sul divano col personal sulle ginocchia.
Finalmente un po' di pace. Nessuno tra i piedi, silenzio, la coca fresca accanto e..... pace, appunto!
Però qualcosa non andava. Lo schermo del pc pareva  vivere di vita propria. Prima  di uno strano colore rossastro, ora era pieno di stringhe di codice che continuavano a scorrerle davanti agli occhi senza fermarsi. E non lo aveva ancora acceso.
Improvvisamente, parole di senso compiuto comparvero in mezzo alle stringhe insieme ad un brontolio strano che parve uscire dallo schermo. Parole incomprensibili..… come se fossero in un’altra lingua.
Si avvicinò al monitor per leggere ed ascoltare meglio e…


Il mio finale (300 parole)

...le parole, scandite da una suadente voce femminile, divennero finalmente intelligibili al suo orecchio.
Questo non è uno scherzo, decifrò tra i crepitii dell'altoparlante. Tra tutti abbiamo sorteggiato proprio lei per un premio esclusivo...
“Oh no, un caspita di virus!" esclamò disperato dentro di sé.
Non cerchi di eseguire alcuna azione al computer e neanche di spegnerlo, proseguì la voce. Ascolti invece con attenzione le seguenti istruzioni...
E pur sapendo bene che non ne avrebbe fatto nulla di nulla, lui ubbidì comunque alla voce misteriosa e tese l'orecchio.
Scoprì così di essere stato sorteggiato per un viaggio premio per due persone in una località da sogno e che, per ritirarlo, avrebbe dovuto presentarsi l’indomani all’alba, da solo, nel parcheggio di un grosso centro commerciale alle porte della città. Dopodiché la comunicazione si interruppe e tutto tornò a funzionare come prima.
"Col piffero che ci vengo a ritirare il premio", fu il suo primo pensiero a caldo.
Invece la mattina dopo, all’affacciarsi delle prime luci sul cielo a oriente, era già sul posto. E con sua sorpresa scoprì di non essere del tutto solo: una donna gli si stava avvicinando tra le dense ombre del parcheggio. "La voce femminile del computer?" si domandò.
Ma l’altra sembrava stupita quanto lui. «Sei tu la voce maschile di ieri sera al computer?» gli chiese.
«No. In realtà mi stavo chiedendo la stessa cosa di te» replicò lui.
Ma non riuscirono ad aggiungere altro, perché all’improvviso qualcosa di enorme e come sbucato dal nulla incombette su di loro oscurando il cielo come una grossa nube nera. Ebbero poi solo il tempo di osservare meravigliati l’aprirsi meccanico del portale, prima che un fascio di luce scendesse ad avvolgerli e li trascinasse in un istante verso l’alto, fin nel corpo dell’astronave. Il viaggio premio aveva inizio.

Miao, il mio primo giornalino /2

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Ad attendervi, in questo post, c'è la seconda parte del tour illustrato attraverso le pagine di Miao numero 58, uscito nelle edicole nell'estate del 1967, in data 22 luglio. Dopo aver preso in considerazione le prime 14 pagine del fascicolo, è il turno oggi delle pagine da 15 a 26, più l'inserto per i genitori. Voglio però cominciare con qualcos'altro, una curiosità che riguarda il numero 55 del giornalino, pubblicato in data... ecco è proprio questo il punto. Guardate un po' l'immagine qui sotto (meglio se nella versione ingrandita con un magico click):




Come avrete notato, ho messo in evidenza la data 10 giugno 1957 stampata sulla copertina, che avrebbe invece dovuto riportare la data 10 giugno 1967. Che cosa sarà mai successo? Un momentaneo sbandamento della linea temporale? Uno scherzo degli alieni? Una svista dell'addetto alla composizione tipografica? Bene, mentre voi vi formate la vostra opinione, io, che me lo sono già fatta, vado avanti con il post.


Il tour illustrato - seconda parte



Pagine 15-16. Due delle quattro pagine che andranno a comporre
un elaborata struttura di carta in 3D. Disegni della brava Elena Poirer.


Si inserisce a questo punto, cioè a metà esatta dell'albo, l'inserto staccabile di quattro pagine dedicato ai genitori, a cura dell'Istituto di pedagogia dell'Università di Roma. Stampato su carta povera, nelle prime due pagine presentava in genere fiabe (anche di paesi lontani), piccole poesie e descrizioni di giochi, ma in occasioni particolari forniva notizie utili ai genitori su temi di attualità: cito, per fare due esempi che ho sott'occhio, la nuova legge sui vaccini del 1967 e il progetto di educazione sessuale nelle scuole su cui, verso la fine degli anni '60, si era acceso un dibattito. Le rimanenti due pagine erano invece dedicate, in genere, ai concorsi per i piccoli lettori e a comunicazioni di servizio di vario tipo.







L'inserto per i genitori non aveva effetti sulla numerazione dell'albo, che riprendeva, come se nulla fosse, da pagina 17.



Pagine 17-18. Le due pagine da ritagliare e piegare che completano il gioco
iniziato a pagina 15. La pagina 17 mostra il risultato da ottenere.


Pagina 19. Primi approcci all'arte astratta. Ma l'antico proprietario
dell'albo non sembra aver gradito.




Pagine 20-22. Protagonista della seconda storia dell'albo è
la dolcissima Paperella a molla, personaggio quasi fisso di Miao.





Pagine 23-26. Non perdete l'occasione di mostrare chi
comanda davvero a chi vi circonda e armatevi di forbici e colla!


Finisce qui la seconda tappa del tour illustrato, ma non siamo ancora arrivati alla fine del fascicolo, né tanto meno di questa serie di post. Vi aspetto tutti qui per il terzo appuntamento con il mitico Miao!

Miao, il mio primo giornalino /3

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Il tour illustrato attraverso le pagine del numero 58 di Miao termina in questo post e, aggiungerei, termina alla grande, con un'autentica perla di umorismo surreale realizzata dall'ottimo vignettista Giovanni "Gianni" Isidori. Non si conclude però ancora il mio discorso su Miao, essendo stata mia intenzione, fin dall'inizio, di offrire almeno un assaggio dei principali personaggi e autori apparsi sul giornalino nella seconda metà degli anni '60. E perché non continuare, mi sono detto, utilizzando un numero di Super Miao, così da mostrare qualcosa di diverso? Di poco poco diverso, per la verità, ma questo vi invito a scoprirlo da soli.

Il tour illustrato - Terza parte



Pag. 27-28. Fronte e retro di un'imbarcazione egizia, con piedistallo.
Illustrazione di M. Jacoponi.


Pag. 29. L'immagine parla da sola. Ma si può dire lo stesso
di qualunque pagina di qualunque Miao.



Pag. 30-31. L'angolo della risata, in questo caso impreziosito
dalla notevole verve umoristica di Gianni Isidori.


Pag. 32. Da completare e colorare. Accompagnato da
un'illustrazione di Francisco Valeriani.



L'albo si conclude, in terza e quarta di copertina,
con un elefante da ritagliare e assemblare.


Terminata l'esplorazione del numero 58 di Miao, proseguo adesso con Super Miao numero 6. Il sottotitolo "Le storie e i giochi più belli pubblicati su Miao" lascia intendere che si tratta di una selezione di materiale già pubblicato in precedenza.
Da notare, inoltre, che sia Miao sia Super Miao si presentano come pubblicazioni quattordicinali con uscita al sabato. In altre parole, da un certo momento del 1969 in poi, le uscite erano raddoppiate e si alternavano un sabato l'una un sabato l'altra, rendendo di fatto quello con il giornalino un appuntamento settimanale.
Super Miao ha anche lo stesso numero esatto di pagine di Miao (32 + 4 di copertina + 4 di inserto centrale), ma a differenza di quest'ultimo non riporta sulla copertina nessuna data di uscita. Si capisce tuttavia, da una pubblicità interna, che la pubblicazione di questo numero 6 risale a sabato 28 giugno 1969.



Prima e seconda di copertina. Con Il diario di Simone, Super Miao
sembra voler strizzare l'occhio anche ai primi lettori.




Pagine 1-3. Come Miao, anche Super Miao si apre con una malefatta
del perfido Gatto di Luigi Roveri.



Pagine 4-5. Un letto per le bambole ricavato da una scatola da scarpe
e decorato con ritagli del povero Miao.




Pagine 6-8. Per i maschietti, invece, un bel diorama western.


Pagina 9. L'illustrazione nella colonna di sinistra è a firma Zecchi,
un'altra tra le matite più presenti nella rivista.




Pagina 10-12. E dopo il Gatto e la Paperella, ecco il terzo grande
protagonista del giornalino: il Clown gonfiabile o Pupazzo di gomma.


Il viaggio continua, da pagina 13, con il prossimo post.

Da Lord of Light ad Argo /6: Stranger than Fiction?

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Ho scoperto - e quasi sempre a mio danno - che è più difficile avere a che fare con i politici che con gli artisti o gli scienziati, perché non riuscivo mai a figurarmi i loro fini personali - e a volte non ero neanche in grado di stabilire la differenza tra i vari ministeri e la mafia. Davvero buffo!
Barry Ira Geller


Barry Ira Geller non gettò la spugna dopo il naufragio del progetto City of Science/Science Fiction Land, ma continuò - e continua tuttora - a cercare qualcuno interessato a produrre il film Lord of Light, di cui lui aveva scritto la sceneggiatura sulla base del romanzo omonimo di Roger Zelazny. Secondo una fonte, sottopose addirittura l'idea alla Studio Six Productions, la finta casa di produzione nata per mascherare l'operazione della CIA condotta da Tony Mendez, ossia dall'agente segreto che gli aveva trafugato la sceneggiatura con l'aiuto del make-up artist John Chambers (ma trovate tutto spiegato nel dettaglio nei primi tre post di questa serie).


La storia dal vivo: le due pagine di The Hollywood Reporter con l'anteprima della finta produzione
del film Argo. Come si può vedere, la data riportata è quella del 25 gennaio 1980. 


Ma ogni suo tentativo è andato finora a vuoto, sebbene dopo la declassificazione del dossier, nel 1997, qualcosa abbia lentamente cominciato a muoversi. Lo stesso Geller, secondo le sue parole, venne a conoscenza dell'operazione Argo, di cui era stato inconsapevole protagonista, solo il 22 marzo del 2000, quando ricevette una mail da parte di qualcuno che parlava a nome del canale Bravo TV. A quanto pareva, si erano imbattuti nei disegni di Jack Kirby che ormai ben conosciamo e volevano acquistare i diritti del loro utilizzo in un documentario per la TV. Non gli furono resi noti i dettagli, ma Geller alla fine si accordò per due disegni, incassò l'assegno e poi quasi si dimenticò di tutta la faccenda. Almeno fino al giorno in cui un amico gli telefonò per chiedergli se avesse visto, alla televisione, l'intervista con una spia della CIA di nome Mendez che mostrava i disegni di Kirby e diceva di aver rubato la sceneggiatura di Lord of Light. Si trattava di un video del documentarista Errol Morris, intitolato The Little Gray Man e trasmesso nel 2001 nel programma First Person




E adesso reggetevi forte, perché facciamo un nuovo salto, di dieci anni stavolta, fino al giugno 2011. E' la Warner Bros. a richiedere, in questa occasione, il permesso di utilizzare in un loro film i soliti famosi disegni di Kirby. Solo che sbagliano indirizzo e si rivolgono al Kirby Museum che ovviamente li reindirizza a Barry Geller. Ma l'accordo tra le due parti, in questo caso, non viene raggiunto. Secondo la major cinematografica perché gli originali di Kirby non rendevano poi così bene sullo schermo, secondo la versione di Geller perché il contratto propostogli dalla Warner Bros per l'utilizzo dei disegni prevedeva un compenso pari a $0 (dollari zero).
Il film fu poi realizzato ugualmente, come sappiamo (trattasi di Argo, per i distratti), ma viene da chiedersi se proprio la scelta di sostituire i disegni di Kirby con altri realizzati ex-novo per l'occasione non sia stata una delle cause della progressiva alterazione dei fatti a cui va soggetta la pellicola con il procedere della trama. Quel che è certo che la suddetta alterazione non poteva passare - e non passò - a lungo inosservata, sebbene, sempre a detta di Geller, la produzione del film dimostrò, almeno nei dintorni della sua data di uscita, un'accentuata tendenza a tenere nascoste le carte il più possibile. Ecco cosa racconta il nostro, a questo proposito, in un'intervista del 2013:
Sappiate che ho fatto una mezza dozzina di tentativi su Argowiki di delineare le inaccuratezze del film e nel giro di alcuni minuti tutto veniva cancellato da qualcuno. Ma non saprei dire da chi. E' ovvio che c'è chi ci tiene a dare per buona la versione dei fatti offerta dal film.

E ancora, nella stessa intervista:
Dopo che George Clooney (sic!) ebbe acquistato i diritti dell’articolo di Wired, che si avvicina molto alla realtà dei fatti, era suo diritto inventarsi quel che voleva. Proprio come io, una volta acquistati i diritti di Lord of Light, mi presi il diritto di ricreare liberamente la storia del libro. Quindi non mi sto lamentando in tal senso. Ma sarebbe stato molto meglio se avessero dipinto i fatti come realmente avvennero o almeno aggiunto delle note in coda al film.²


SCIENCE FICTION LAND movie poster.
Copyright Rogan Josh, 2012.
Ma ormai era tutto in pieno sommovimento e di lì a non molto, pressoché in contemporanea con l'uscita del film Argo, il noto documentarista Judd Ehrlich annunciò il lancio, sul sito specializzato Kickstarter, di una campagna di crowdfunding. Doveva servirgli a raggranellare i 50.000 dollari necessari a completare un documentario dal titolo Science Fiction Land: A Stranger Than Fiction Doc. Nelle parole di Ehrlich:
Si tratta di un progetto a cui abbiamo dato inizio molto tempo prima di Argo, quindi non avevamo in mente Argo - però la campagna su Kickstarter è stata lanciata con Argo in mente perché vi abbiamo visto un'opportunità di concentrare un maggiore interesse intorno alla nostra storia.

Ma se tutto era cominciato prima di Argo, quando - e perché e come - era cominciato?
La risposta è che tutto era cominciato nel 2000, da delle ricerche che un'amica di Judd Erlich, Diane Bernard, stava conducendo per il documentario su Tony Mendez di cui ho parlato sopra. La donna, incuriosita dalla vicenda descritta nel video, decise di volerne sapere di più e arrivò al nome di Barry Ira Geller. Fu allora che ebbe l'idea di ricavarne un documentario. Anni dopo, però, la stessa Diane Bernard era in procinto di seguire un'altra carriera e decise di lasciare in eredità il suo progetto a Judd Ehrlich, che accettò di portarlo avanti.

Come spiega ancora Ehrlich:
Con Argo, acquistarono i diritti della storia attraverso un articolo di Wired del 2007, e Diane fu di fatto intervistata per quell'articolo. Non l'hanno citata, ma hanno usato un bel po' di informazioni fornite da lei... Quello che senti dire di solito è che la vicenda è stata declassificata nella seconda metà degli anni '90 ma che  è venuta alla luce nell'articolo di Wired del 2007 - quando in realtà ne avevano già scritto, Errol Morris aveva fatto quel suo video, Diana il suo film, su cui io all'epoca stavo lavorando, e le cose continuavano a succedere, mentre la versione di quelli di Argo è che loro hanno acquistato la storia di Wired e in più un capitolo del libro di Tony, Master of Disguise, dove lui parla della vicenda [dei sei ostaggi]. Così possono aggirare in qualche modo le problematiche legate ai diritti d'autore e altre cose del genere.

Erlich non manca infine di sottolineare alcuni dei motivi di interesse che la storia aveva per lui:
Per Barry, si trattava del suo sogno andato in cenere, sebbene venti anni dopo aveva scoperto che era di fatto servito a salvare delle vite e a dare una scossa agli eventi.
Si trattava, allo stesso tempo di qualcosa rubato dalla CIA, e se sei un fan di Jack Kirby, sai bene come lui sia sempre stato sottovalutato, con pochi riconoscimenti, non adeguatamente ricompensato e derubato di molte cose.
[...]
Sono state inoltre tirate in ballo delle questioni sulla tempistica, giacché Tony Mendez subentrò appena una settimana dopo [la presentazione del progetto Lord of Light]. Per questo le persone che abbiamo contattato hanno sollevato dubbi: la CIA si è semplicemente procurata una copertura oppure ha qualcosa a che fare con il fallimento di Science Fiction Land. Si tratta quindi di una storia complicata e interessante, e penso che questo abbia contribuito a fare di questo film una sfida che ha richiesto del tempo e ha fatto sì che nel frattempo io mi sia dedicato anche ad altri film.³

La campagna di crowdfunding ebbe in ogni caso successo, come testimonia la pagina di Kickstarter dedicata, e raggiunse in breve tempo la cifra prevista. Quello che invece ancora oggi manca, a cinque anni di distanza, è il documentario. E non potrebbe essere altrimenti, dal momento che circa due anni dopo l'inizio della raccolta fondi, Judd Erlich, invio il seguente messaggio a tutti i suoi sottoscrittori:
Grazie per la vostra enorme generosità e la vostra incredibile pazienza. Avremmo voluto non spedirvi mai questo messaggio, ma a causa di circostanze di natura legale al di là del nostro controllo non siamo in grado di portare avanti la produzione del film. Nessuno di noi era stato in grado di prevedere una simile piega degli eventi e speravamo tutti di vedere completato il progetto.
Non compensa la perdita del documentario, ma restituiremo ogni vostro contributo. [...] Conservate pure ogni premio che vi abbiamo inviato, con la nostra gratitudine e le nostre scuse. Comprendiamo che, proprio come noi, tanti tra voi volevano vedere il progetto completato e condividiamo la vostra delusione. Sfortunatamente, al momento non possiamo scendere nei dettagli riguardo le complicazioni a cui è andato incontro il progetto, ma nel caso sentiate il bisogno di contattarci, potete inviare una e-mail...⁴

Ogni cosa che ruoti intorno al progetto Lord of Light/Science Fiction Land sembra quindi destinata a fermarsi presto o tardi. Più presto che tardi, per la verità. E per il futuro? per il futuro si vocifera di un nuovo documentario in fase di lavorazione, di cui dovremmo avere maggiori dettagli alla fine del 2017... staremo a vedere. Per il momento, e salvo possibili re-edit, questa mia serie di post si ferma qui.
Ma poiché voglio anche concludere in bellezza, vi invito a non perdervi lo splendido, efficace trailer a cui rimanda il link in basso. Nei suoi pochi minuti di durata: una visione animata del parco Science Fiction Land e una panoramica su tutti i principali protagonisti della vicenda, da Barry Geller a Jack Kirby e Ray Bradbury, dagli architetti Buckminster Fuller e Paolo Soleri a John Chambers, da Jerry Schafer a Tony Mendez.

http://www.lordoflight.com/video/sfl-trailer.mp4


* * *


¹ Fonte: When ‘Argo’ Was Called ‘Lord of Light’ by Peter Sciretta. Dal sito: Slashfilm.com

² We Spoke to the Guy Who Wrote the Real Screenplay for 'Argo' by Rick Paulas. Su Vice (www.vice.com)

³ Talking Argo's True Story, Jack Kirby and Roger Zelazny With Science Fiction Land's Ehrlich by Russ Burlingame. Dal sito: comicbook.com

⁴ Science Fiction Land, The Documentary That Chronicled the "Argo" Story, Halted Due To Legal Troubles by Russ Burlingame. Dal sito: comicbook.com

La citazione iniziale è tratta dall'articolo: Secret History of LORD OF LIGHT Concept Art by Jack Kirby, the Film That Became ARGO. Dal sito: The Geek Twins

L'immagine di sinistra in apertura del post è: Jack Kirby, Sam (1978)

Un fatto per ogni anno /1: 1960-1978

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Così alla fine, dopo lunga indecisione, ho deciso di aderire anch'io all'ormai famoso meme lanciato dal sempre ottimo Marco Lazzarain questo suo post.
La mia indecisione era in verità dovuta a una sola e unica considerazione: che questo post e i successivi avrebbero facilmente rischiato di trasformarsi in una serie di pagine di annunci mortuari. Meglio lasciar perdere, mi sono perciò detto. Ma ho poi pensato che non doveva necessariamente essere così e che sarebbe bastato crearmi questa regolina ad arte per rimediare: parlare di tutto fuorché di morti di parenti, amici e animali. Solo a questo punto, mi sono sentito davvero libero e felice di intraprendere il compito. Non che le cose poche allegre mancheranno alla fine; ce ne saranno lo stesso e più che abbastanza, soltanto di altro tenore.
A parte ciò, sono stato per il resto assolutamente spontaneo nella compilazione del meme. Per questo di alcuni anni troverete evocato un solo avvenimento e di altri di più: a volte affiorava un solo ricordo isolato, altre volte se ne aggiungeva subito un altro o due. E immagino comprenderete anche bene come io, causa veneranda età, mi sia trovato obbligato a dover spalmare il meme su più post, tre per l'esattezza. La parte che vengo a offrirvi adesso qui è quella relativa ai miei primi diciotto anni.


* * *


1960: Nasco il 2 ottobre, nel letto di una stanza della mia bella e mai dimenticata casa di periferia, appena in tempo per l’inizio del TG della sera.

1961: Non pervenuto.

1962: Vivo la mia prima passione musicale: Lettera a Pinocchio, cantata da Johnny Dorelli. Traduco però male le parole: “Amico dei giorni più lieti” diventa per me “Amico dei giorni pupperi”.

1963: Mi vaccinano contro il vaiolo. Ricordo ancora nitida la sensazione come di un graffio sull’epidermide del braccio.

1964: Tentativo fallimentare, da parte dei miei, di farmi frequentare l’asilo. Dopo un solo giorno dichiaro conclusa, e in modo irrevocabile, l’esperienza. Troppi mocciosi tra i piedi tutti in una volta, per i miei gusti.

1965: Primo anno di vacanze estive con i miei nel paradiso terrestre. Detto in termini più concreti, in una località di bassa montagna ai piedi del massiccio del Falterona.

1966: Le vacanze estive raddoppiano: a luglio, ritorno nel paradiso terrestre; ad agosto, al mare con gli zii, in un campeggio di Follonica.
A ottobre comincio il mio primo anno di scuola, ancora con pennino e calamaio ed educazione vecchio stile. La mia idea sarebbe di fare come con l’asilo, ma alla fine, dopo una fuga durante la quale vengo intercettato per strada da un lontano parente e ricondotto ignominiosamente in classe, mi convinco che non si può.

1967: Alla fine del primo anno di scuola i miei, dietro consiglio del maestro Signor Masi, mi acquistano l’enciclopedia I quindici. I libri del come e del perché nella loro prima edizione italiana. E’ amore assoluto.
Ma l’amore fa capolino anche a luglio: nel mio terzo soggiorno estivo nel paradiso terrestre incontro finalmente la mia Eva. Storia intensissima ma, ahimè, anche breve. Ad agosto, di nuovo a Follonica con gli zii.

1968: Le mie principali passioni sono ormai chiaramente delineate: divoro con estrema voracità libri, fumetti e film.




1969: Arrivo primo al concorso scolastico di scrittura e vinco un diploma di merito su carta pergamena e un soggiorno a Parigi, ma i miei rifiuteranno la seconda parte del premio.
Il film Gli eredi di King Kong inaugura il mio ciclo di visioni Godzilliane. La mia nonna materna si occupa di accompagnarmi a vedere questo e tutti gli altri film con il lucertolone come protagonista.

1970: In quinta elementare faccio da principale animatore nei giochi durante l'intervallo della ricreazione e mi guadagno, per la prima volta, il rispetto dei miei compagni di classe. E' anche il primo anno delle elementari in cui rischio qualcosa con il voto in condotta, ma alla fine mi decido a tornare a fare il buono.

1971: La casa editrice Giunti a maggio dà inizio alla pubblicazione dell’intero ciclo dei romanzi di Tarzan di Edgar Rice Burroughs. Posso così finalmente aggiungere alla mia estesa conoscenza di Tarzan nel cinema e nei fumetti quella del Tarzan letterario.
Inizio a collezionare la mia prima enciclopedia a fascicoli: Gli animali e la loro vita, dell’Istituto Geografico De Agostini di Novara.
Sul finire dell’anno mia madre mi porta con lei a vedere il film Incontro, con Massimo Ranieri e Florinda Bolkan. E’ l’inizio di un amore, mai venuto meno, per l’eros al cinema (e non solo).




1972: Con l’acquisto in edicola e la lettura del numero 23 de I fantastici quattro nasce la mia passione per i fumetti della Marvel. Inizio inoltre a collezionare Il Topolino d’oro con le storie anteguerra del grande Floyd Gottfredson e Tarzan Special con le splendide tavole domenicali di Russ Manning.
In primavera gita scolastica a Rapallo e Saint-Vincent. Il pranzo in un ristorante della città ligure si conclude malamente, con una guerra tra i tavoli a colpi di gamberetti volanti.

1973: Gita scolastica nel Nord-Est: Venezia-Lignano Sabbiadoro-Trieste. Viene sfiorato più volte il sesso di gruppo, sia sull’autobus che in albergo.
Scopro e mi appassiono al fumetto inglese: Romeo Brown, Garth, James Bond... ma soprattutto Modesty Blaise e Dan Dare.

1974: E' l'anno, tra le altre cose, delle grandi scelte sbagliate.
In Estate si interrompe, dopo sette anni consecutivi, la tradizione delle vacanze a Follonica con gli zii. Trascorro luglio e agosto nel Mugello, nella casa di campagna di famiglia. Sto per acconsentire a un fidanzamento ufficiale con una campagnola mia coetanea, ma all’ultimo momento mi tiro indietro. Resterà il più grande rimpianto della mia vita.
A ottobre inizio il primo anno della scuola d’arte, preferita al liceo scientifico dopo una lunga indecisione. Altra scelta sbagliata.

1975: Ripristino delle vacanze a Follonica con gli zii. La lettura, nel corso della vacanza, di quel capolavoro che è Deserto d'acqua di J.G.Ballard, mi fa appassionare alla fantascienza scritta, che da quel momento e per un paio d'anni sarà l'unica forma di letteratura da me presa in considerazione.
E' l'anno del mio primo impianto hi-fi, regalo di uno dei miei zii che lo aveva costruito con le sue mani, e lo inauguro con l'acquisto del mio primo disco rock: Greatest Hits di Elton John.
Al cinema, con il film La supplente, mi innamoro per la prima volta di un'attrice: Dayle Haddon. Faccio il bis l'anno successivo con 40 gradi all'ombra del lenzuolo, mentre non riuscirò mai, mio eterno cruccio, a vedere Spermula.




1976: E' un anno di tranquilla routine. L'ultimo davvero tranquillo. Mi divido tra la scuola e le mie passioni, che sono sempre le stesse: fantascienza, fumetto e cinema.

1977: Seguo le orme di famiglia con la militanza nelle file del PCI (Partito Comunista Italiano) e la partecipazione alle attività sociali della Casa del Popolo del mio quartiere.
Nonostante la partecipazione ai moti studenteschi, supero senza troppa difficoltà gli esami finali e prendo il diploma di Maestro d'arte. Ma ho ormai pienamente compreso di aver sbagliato strada e sono fortemente tentato di abbandonare la scuola una volta per tutte. Non mi iscrivo al biennio successivo.

1978: Dopo un anno trascorso a lavorare in un laboratorio di cornici, arrivo all'estate completamente esaurito e mi rifugio in solitudine in località Monghidoro. Ho smesso di leggere fantascienza e porto con me I promessi sposi. Sono sempre più incerto sul corso da dare alla mia vita, soprattutto dal punto di vista professionale.
Con un anno di ritardo, ma mi decido infine a iscrivermi al biennio di specializzazione. Alcuni dei miei nuovi compagni di scuola diventano i miei nuovi amici nella vita. Ho ormai rinunciato a interessarmi al futuro e tiro a campare: studio il minimo indispensabile ed esco tutte le sere fino a tardi. La mia passione politica vive i suoi ultimi fuochi.


* * *


L'immagine di apertura del post è un fermo immagine del film Tarzan the Ape Man (1932).

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