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Insieme raccontiamo 33 - No, non "quel" Carter

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Dopo una nuova breve pausa mi rifaccio vivo su Insieme Raccontiamoquesto mese grazie anche a un incipit di Patricia Moll particolarmente stuzzichevole. Lo trovate, d'obbligo, più avanti in questo post, oltre che, altrettanto d'obbligo, sul blog Myrtilla's House, nel secondo caso insieme a una foto diversa da quella da me utilizzata. Devo infatti confessare di avere per una volta bellamente ignorato sia il limite delle parole (ho superato di alcune decine le 300) sia il suggerimento fotografico, cosa di cui mi scuso fin d'ora con Patricia. Temo inoltre, come se non bastasse, che il mio contribuito possa, stavolta più che mai, apparire incomprensibile ai più (sebbene sono sicuro non a tutti). Per questo ho anche ritenuto opportuno aggiungere, in chiusura di post, alcune righe di spiegazione.



#insiemeraccontiamo
#raccontibrevi


* * *


L'incipit di Patricia Moll

Alzò gli occhi al cielo. Era diventato tutto nero d’improvviso. Quello che fino a pochi minuti prima era uno zaffiro trasparente e lucente ora pareva pece, come se qualcuno avesse rovesciato pittura nera.
Una giornata di gennaio con parecchi gradi sottozero era diventata notte di colpo.
Fu allora che…


Il mio finale (373 parole)

…capì di essere morto.
Ma tutto quel che si racconta su ciò che succede dopo? Dov’era il tunnel di luce? E i milioni di farfalle colorate? E la suprema beatitudine? 
Faceva ancora freddo, invece. Perfino più di prima. E lo circondava sempre una tenebra assoluta. 
Almeno finché non cominciarono a spuntare le stelle, sopra e intorno a lui. Dapprima poche e isolate, si riunirono pian piano in tracciati di costellazioni che gli erano solo in parte familiari. Avrebbe così detto di trovarsi a una grande altezza, come ebbe la conferma subito dopo, quando si accorse di essere trasportato in volo da qualcosa ai suoi occhi invisibile ma il cui battito d’ali membranose incrinava il silenzio per il resto assoluto.
Qualunque cosa fosse quella creatura, sembrava comunque dirigersi senza esitazioni verso una particolare fonte luminosa, di cui lui poteva solo dire con certezza che non era una stella, poiché le sue proporzioni aumentavano a ogni istante. La paragonava piuttosto alla luce di un faro che splendesse giallastra lontano nella notte.
Ma ben presto cominciò anche a delinearglisi davanti il nero profilo di una possente costruzione: una torre sul cui contorno cilindrico si rifletteva l'argento delle costellazioni. Era quasi dalla sua sommità che si originava la luce misteriosa, incastonata nella parete di basalto come un occhio sulla fronte di uno smisurato ciclope. 
Si trattava, in realtà, di una finestra dalle forme sghembe, attraverso il cui intaglio risplendeva la luce di un fuoco che ardeva in una stanza. Ma questo dettaglio lui lo afferrò vagamente solo quando si trovò a varcarla insieme al suo accompagnatore invisibile.
Trovò ad accoglierlo, all'interno del locale, un’alta figura avvolta in una tunica gialla dai rossi ricami, sul cui volto era posata una maschera di seta, sempre di colore giallo. Fu con voce stentorea che si rivolse al visitatore:
“Bentornato, Carter, nella tua nuova, eterna dimora. Mica avrai creduto di poterci eludere per sempre, con quel tuo sogno infantile della Città del tramonto?”.
Al che l’ometto, che non aveva capito un bel niente di quel che gli era stato appena detto, si guardò intorno perplesso per alcuni istanti, prima di decidersi a replicare alla figura mascherata:
“Stanislao Moulinsky, presumo… in uno dei tuoi consueti travestimenti. Davvero, non mi aspettavo che ti avrei avuto tra le scatole anche dopo morto!”.


* * *

Nota esplicativa: Come alcuni di voi si saranno certo accorti, questo mio scherzetto prende le mosse dal romanzo breve di Howard Phillips Lovecraft, La ricerca onirica dello sconosciuto Kadath, di cui ho utilizzato in totale libertà alcuni elementi narrativi. Il suo protagonista, Randolph Carter, appare anche in altri quattro racconti del Ciclo dei Sogni, ciclo che si diversifica dal resto della produzione dello scrittore americano per l'accentuato lirismo di almeno parte delle descrizioni. Non posso ovviamente sapere se il solitario di Providence avrebbe o no apprezzato un simile stravolgimento dei suoi temi e delle sue atmosfere, ma non sarei neanche pronto a giurare che in fondo in fondo, sotto la spessa scorza del pessimista cosmico, non si nascondesse in realtà un gran burlone.
Mentre "l'altro Carter", ossia il Carter del mio intervento, è, naturalmente, l'inossidabile Nick Carter, principale protagonista della memorabile trasmissione televisiva del 1972 Gulp! i fumetti in TV.


* * *


L'immagine di apertura del post è: Sunset. Providence, RI by Tenchiro


The Studio Section Six - 1976-79: Gli anni di The Studio /5

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Dopo che Barry Smith, nel 1974, aveva dato vita alla Gorblimey Press, fu poi la volta di Berni Wrightson, un triennio più tardi, di fondare la sua personale casa editrice: la Tyrannosaurus Press. Non che morisse dalla voglia di farlo, memore com'era della tutt'altro che esaltante esperienza vissuta a suo tempo con Abyss, ma è comunque indubitabile che nel 1977, cioè nel pieno dell'esperienza di The Studio, il nostro vedesse ancora nell'autopubblicazione l'opzione privilegiata, se non esclusiva, per commercializzare la sua versione illustrata del Frankenstein di Mary Shelley. Chissà quindi che faccia avrebbe mai fatto, se qualcuno venuto dal futuro gli avesse allora rivelato che la sua Grande Opera sarebbe stata infine pubblicata, sei anni più tardi, proprio dalla Marvel, cioè dalla stessa casa editrice con cui lui aveva praticamente rotto ogni rapporto fin dai tempi di un'altra esperienza per lui poco fortunata incentrata su una storia a fumetti dell'howardiano King Kull.
Ma torniamo alla casa editrice, il cui nome, Tyrannosaurus Press, non è forse la scelta che più ti aspetti dal Maestro del macabro, ma che lui motivò con il portarsi con sé fin dagli anni dell'infanzia, accanto alla passione per la creatura di Mary Shelley, anche quella, molto meno esclusiva, per i dinosauri. Aggiungeremo qualcos'altro fra breve al riguardo di questa seconda passione, ma non prima di aver speso ancora delle parole sull'altra, che è poi quella con la P maiuscola.
Nel 1977, Wrightson non ha ancora realizzato tutte le illustrazioni che ha in mente per il suo Frankenstein, ma ritiene comunque che sia ormai tempo di utilizzare la sua neonata Tyrannosaurus Press per proporne almeno una parte. Un po' per impazienza, certo, ma anche e soprattutto perché pensa, in questo modo, di potersi finanziare la stampa del volume una volta ultimato. Progetta così di realizzare alcuni portfolio - almeno due ma non più di tre, per non diffondere anzitempo un numero eccessivo di illustrazioni - che presentino in anteprima, in forma di stampe di grande formato, alcune delle immagini che poi confluiranno nel Frankenstein.
Il primo di questi portfolio, con sei stampe in bianco e nero, vede la luce nello stesso 1977, in un'edizione dalla tiratura limitata in mille copie, numerate e autografate dall'artista, che va presto esaurita; il secondo appare invece l'anno successivo, con le stesse caratteristiche del precedente ma con tiratura raddoppiata, e in più una sorpresa destinata a premiare i fan per il successo garantito all'iniziativa: un'illustrazione che non è previsto appaia nell'edizione definitiva del volume ed è quindi concepita per essere di esclusivo possesso degli acquirenti il portfolio.


A sinistra: la copertina del primo portfolio, che dopo la sostituzione della dicitura "portfolio" con "illustrated by"
diventerà anche il frontespizio dell'edizione Marvel. A destra: la copertina del secondo portfolio.

Molto interessante, del secondo portfolio, anche la quarta di copertina (riprodotta qui sotto), che rivela come, nel 1978, Wrightson fosse ancora fermo sul numero di cento illustrazioni da lui concepito inizialmente. Solo successivamente l'artista, resosi conto che una simile quantità di immagini era sproporzionata rispetto alla quantità di testo, portò il numero a cinquanta, sebbene poi l'edizione definitiva ne ospitò alla fine ancora meno: solo quarantatré. Sempre la stessa quarta di copertina rivela inoltre chiaramente come Wrightson prevedesse allora di pubblicare il volume in una data non troppo lontana: o la fine del 1980 o l'inizio del 1981.

A sinistra: la quarta di copertina del secondo portfolio. A destra: l'illustrazione esclusiva
del secondo portfolio, destinata a non apparire nel volume.

Le cose andarono tuttavia molto diversamente, in ogni senso. Per cominciare, la stessa Tyrannosaurus Press ebbe vita brevissima e si limitò a dare alle stampe, oltre ai due portfolio citati, solo un paio di poster: uno, a colori, si intitola Ode to a Scottish Prayer ed è quello che appare in alto in apertura del post; l'altro, in bianco e nero, riguarda ancora una volta il capolavoro di Mary Shelley e riproduce un'illustrazione che finirà poi per diventare la copertina del terzo e ultimo portfolio su Frankenstein, pubblicato nel 1980 non dalla casa editrice di Wrightson, già defunta, bensì dalla francese Éditions du Triton. Come i precedenti due, anche questo portfolio, stampato in 1200 copie, è numerato e autografato dall'artista, ma ha la particolarità di proporre sei illustrazioni tutte non destinate a comparire nel volume, alcune addirittura pescate tra quelle giudicate insufficienti da Wrightson e da lui sostituite con una nuova versione (vedi, al riguardo, il post precedente). Comunque sia, la quarta di copertina rivela stavolta che Wrightson, nel 1980, ha almeno già chiara in mente la struttura definitiva del suo Frankenstein, anche nel numero delle illustrazioni, già ridotto a quarantatré.

A sinistra: la copertina del terzo e ultimo portfolio. A destra: la quarta di copertina del terzo portfolio.

Ma se Wrightson si stancò presto della sua Tyrannosaurus Press (come anche, più in generale, dell'esperienza di The Studio), una sorte non troppo diversa era toccata, poco prima, a un suo progetto che aveva a che fare proprio con i dinosauri. Il "tirannosauro" era infatti stato preceduto dall'allosauro... ma anche dal diplodoco, dall'adrosauro, dal plesiosauro e dal triceratops... dopo che a metà del 1976, in coincidenza quindi della nascita di The Studio, a Wrightson era balenata l'idea di realizzare e pubblicare qualcosa di analogo a THE MONSTER, Color the Creature Book, il coloring book di grande successo da lui realizzato anni prima in collaborazione con Phil Seuling, il noto organizzatore della Convention del fumetto di New York City oltre che inventore delle fumetterie. Con la differenza che stavolta avrebbe fatto tutto lui da solo, i testi come i disegni, e che al posto dei mostri ci sarebbero stati i dinosauri. Fa però in tempo a realizzare soltanto cinque dei sedici disegni previsti, prima di avere un ripensamento e fermarsi:
Dopo aver disegnato cinque immagini, decisi di non farne di niente del libro. Prima di tutto, non ero più convinto della dell'idea dei dinosauri, e poi non riuscivo a immaginare un bambino che si dedicasse a colorare cose del genere. Se si osserva il triceratops si capisce quel che voglio dire. Il disegno è pieno di steli d'erba. Nessun bambino si proverà mai a colorarli uno per uno. Semplicemente decisi che non era un'idea fattibile. La miglior cosa da fare era che colorassi i disegni io stesso per poi metterli in vendita come stampe a colori.


Berni Wrightson, Allosaurus

Berni Wrightson, Diplodocus

Berni Wrightson, Hadrosaurus

Berni Wrightson, Plesiosaurus

Berni Wrightson, Triceratops


Ed è così che andarono le cose. Nel 1977 la Land of Enchantment produsse e mise in commercio cinque stampe d'arte a colori con i dinosauri di Wrightson, in tiratura limitata a sole cento copie ciascuna numerate e autografate dall'artista.
Le altre undici immagini previste rimasero invece solo nella mente di Wrightson che decise di aver detto abbastanza sull'argomento dinosauri, almeno per il momento. Non bisogna del resto trascurare il dettaglio che alcune di queste immagini - quelle relative al diplodoco, all'adrosauro e al triceratops - appaiono decisamente insolite nella produzione complessiva dell'artista. Per l'assenza in esse di quei caratteri di macabro e grottesco che sono l'indiscusso suo marchio di fabbrica e che, in questo caso particolare, si conservano intatti solo nell'allosauro e nel plesiosauro.


* * *

The Studio - Complete Comics Chronology IX: April 1971 - September 1971


Barry Windsor-Smith: Cover + "The Tower of the Elephant" (20 pg.)
Conan the Barbarian #4 - Marvel Comics group, April 1971 (Comic-book)
Editor: Stan Lee
Writer: Roy Thomas (adaptation from an original story by Robert E. Howard)
Inker: Sal Buscema
Bernard Albert 'Bernie' Wrightson: "Night Prowler!" (4 pg.)
House of Mystery #191 - DC Comics, April 1971 (Comic-book)
Editor: Joe Orlando
Writer: Len Wein
Bernard Albert 'Bernie' Wrightson: Inks on "What the Gods Have Joined Together" (19 pg.)
Sub-Mariner #36 - Marvel Comics group, April 1971 (Comic-book)
Editor: Stan Lee
Writer: Roy Thomas
Penciler: Sal Buscema
Jeffrey Catherine 'Jeff' Jones: "Fourteen Months!" (4 pg.)
The Witching Hour #14 - DC Comics, April 1971 (Comic-book)
Editor: Murray Boltinoff
Writer: Gerry Conway
Michael William Kaluta: Cover + "Fem-Lib" (6 pg.)
+ "Swinging Encounter Group Unltd." (centerspread)
Blast #2 - G. & D. Publications, Inc., Maj 1971 (Magazine)
Writer: Bob Smolin ("Fem-Lib")
Barry Windsor-Smith: Cover + "Zukala's Daughter" (19 pg.)
Conan the Barbarian #5 - Marvel Comics group, Maj 1971 (Comic-book)
Editor: Stan Lee
Writer: Roy Thomas
Inker: Frank Giacoia
Barry Windsor-Smith: "The Frost Giant's Daughter" (11 pg.)
Savage Tales #1 - Curtis Magazines (Marvel), Maj 1971 (Magazine)
Editors: Stan Lee and Roy Thomas
Writer: Roy Thomas
Barry Windsor-Smith: "Ware the Winds of Death" (10 pg.)
Astonishing Tales #6 - Marvel Comics group, June 1971 (Comic-book)
Editor: Stan Lee
Writer: Gerry Conway
Inker: Bill Everett
Barry Windsor-Smith: Cover + "Devil-Wings Over Shadizar!" (20 pg.)
Conan the Barbarian #6 - Marvel Comics group, June 1971 (Comic-book)
Editor: Stan Lee
Writer: Roy Thomas
Inker: Sal Buscema
Bernard Albert 'Bernie' Wrightson: Cover + "Macabre Mystery" (1 pg.)
+ "Eerie Adventure" (1 pg.) + "Monsters" (1 pg.) + "Science-Fiction" (1 pg.)
DC 100-Page Super Spectacular #4 - DC Comics, Summer 1971 (Comic-book)
Editor: Joe Orlando
Michael William Kaluta: "The Amazons Of Reeds Crossing" (4 pg.)
Billy the Kid #85 - Charlton Comics, July 1971 (Comic-book)
Editor: Sal Gentile
Barry Windsor-Smith: Cover + "The Lurker Within" (19 pg.)
Conan the Barbarian #7 - Marvel Comics group, July 1971 (Comic-book)
Editor: Stan Lee
Writer: Roy Thomas (adaptation from an original story by Robert E. Howard)
Inker: Sal Buscema, Dan Adkins
Bernard Albert 'Bernie' Wrightson: Inks on "Peril in Plastic" (22 pg.)
Green Lantern #84 - DC Comics, July 1971 (Comic-book)
Editor: Julius Schwartz
Writer: Denny O'Neil
Penciler: Neal Adams
Bernard Albert 'Bernie' Wrightson: Cover + Title page + "Swamp Thing" (8 pg.)
House of Secrets #92 - DC Comics, July 1971 (Comic-book)
Editor: Joe Orlando
Writer: Len Wein
Michael William Kaluta: "The Man Who Cheated Time" (7 pg.)
Superman #240 - DC Comics, July 1971 (Comic-book)
Editor: Julius Schwartz
Series: The Fabulous World of Krypton
Jeffrey Catherine 'Jeff' Jones: "Quest" (7 pg.)
Vampirella #12 - Warren Publishing, July 1971 (Magazine)
Editor: James Warren
Barry Windsor-Smith: Cover* + "The Keepers of the Crypt" (19 pg.)
Conan the Barbarian #8 - Marvel Comics group, August 1971 (Comic-book)
Editor: Stan Lee
Writer: Roy Thomas (adaptation from an original story by Robert E. Howard)
Inker: Tom Sutton, Tom Palmer
* Inking by Sal Buscema, Alterations on woman by John Romita
Bernard Albert 'Bernie' Wrightson: Cover
House of Mystery #193 - DC Comics, August 1971 (Comic-book)
Editor: Joe Orlando
Bernard Albert 'Bernie' Wrightson: Cover
House of Secrets #93 - DC Comics, August 1971 (Comic-book)
Editor: Joe Orlando
Bernard Albert 'Bernie' Wrightson: Cover
House of Mystery #194 - DC Comics, September 1971 (Comic-book)
Editor: Joe Orlando

Clicca sulla scritta blu per vedere in grande formato, se disponibili, copertine e pagine interne degli albi in lista.



* * *

L'immagine di apertura del post è: Berni Wrightson, Ode to a Scottish Prayer (Tyrannosaurus Press, 1977).

La citazione di Bernie Wrightson è tratta da: B. W., A Look Back. Underwood-Miller 1979, 1991. Edited by Christopher Zavisa. Traduzione dall'inglese mia.

Pleasure of Pain wants You / Incantesimi cinemusicali 10

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Due post in uno, stavolta: un invito a partecipare alla seconda parte dello speciale 2018 di The Obsidian Mirror e un nuovo Incantesimo cinemusicale, che sono tuttavia strettamente collegati tra loro. Per questo ho voluto anche riunirli insieme nell'immagine di apertura, composta del logo provvisorio dell'iniziativa (per gentile concessione di TOM) e di una serie di fotogrammi tratti dal film protagonista dell'Incantesimo. Andiamo dunque a cominciare...

Post 1. The Pleasure of Pain wants You!


ANNUNCIAZIONE, ANNUNCIAZIONE!

Lo speciale The Pleasure of Pain non termina qui, ma continuerà, per tutto il mese di settembre, sul blog Cronache del Tempo del Sogno di Ivano Landi. Chiunque sia interessato a partecipare anche a questa seconda fase dello speciale può contattare Ivano direttamente al suo indirizzo di posta elettronica. Ivano stesso provvederà così a fornire agli interessati le linee guida del progetto settembrino.

Così si concludeva, un paio di settimane fa, lo speciale di The Obsidian Mirror, The Pleasure of Pain. Alcuni hanno già risposto all'invito e mi hanno contattato in privato, ma poiché non tutti coloro che leggono questo blog hanno anche letto il succitato speciale, ho pensato bene di rinnovare qui l'appello:
Se siete interessati a partecipare al seguito settembrino di The Pleasure of Pain, di cui la seconda parte di questo post vi fornisce un primo assaggio, scrivetemi pure all'indirizzo 

ivano.landi@gmail.com

Vi invierò in risposta le istruzioni per partecipare all'iniziativa. Naturalmente, come nel caso di The Obsidian Mirror, senza nessun tipo di impegno e con possibilità di recesso in qualunque momento di qui a settembre.


* * *

Post 2. Incantesimi cinemusicali 10: Marquis De Sade's Justine (1969)


Continuo, dopo il post che ho dedicato al film Inhibition e ai fratelli Guido e Maurizio De Angelis (Incantesimo cinemusicale 9), con il mio lavoro di recupero dall'oblio dei grandi musicisti italiani del passato anche compositori di colonne sonore. E' il turno stavolta di Bruno Nicolai (1926-1991), autore, tra le molte altre, anche di questa splendida soundtrack per Justine, ovvero le disavventure della virtù, il film di Jesús Franco tratto dall'omonimo romanzo del Marchese De Sade.

Quando il produttore del film (oltre che autore della sceneggiatura), il britannico Harry Alan Towers, interpellò il famoso regista spagnolo su a chi affidare la realizzazione della colonna sonora, Franco non ebbi dubbi: Bruno Nicolai, con cui aveva di recente collaborato anche per il film 99 donne. Il direttore americano della sede londinese della American International Pictures, Deke Heyward (Louis Mortimere Heyward, 1920-2002), si oppose inizialmente all'idea, poiché temeva, affidando le musiche a un italiano, di ottenere qualcosa "spaghetti style". Gli bastò, per fortuna, ascoltare le esecuzioni al piano di alcuni dei pezzi che Nicolai aveva preparato, per completamente ricredersi nel giro di cinque minuti.

Anche stavolta, come di regola faccio con gli Incantesimi cinemusicali, ho preparato un paio di brevi estratti dal film. Nel primo video, Sade (Klaus Kinski, 1926-1991), viene trasportato e rinchiuso in una cella, presumibilmente nel castello di Vincennes, dove viene visitato dalle prime apparizioni dei suoi "fantasmi" letterari Justine (Romina Power) e Juliette (Maria Rohm, 1945-2009). Il secondo video coglie invece Sade nel mezzo del fluire rapidissimo, quasi automatico, della sua scrittura, qui nel momento in cui racconta le vicissitudini di Justine nel convento di Sainte-Marie, dove lei si ritrova preda dei capricci di quattro monaci libertini. Da notare inoltre, nel finale dell'estratto, come Jack Palance (1919-2206), nell'interpretare uno dei quattro monaci, restituisca alla perfezione con la sua mimica l'essenza, insieme atroce e disperata, dell'esperienza del libertinaggio.





The Studio Section Six - 1976-79: Gli anni di The Studio /6

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Marcel Proust, in una sua straordinaria riflessione contenuta ne La prigioniera, quinto volume di Alla ricerca del tempo perduto, parla dell'artista come del "cittadino di una patria sconosciuta", diversa da ogni altra patria di ogni altro artista che sia salpato o salperà, come lui, per la Terra. Questa loro patria perduta, gli artisti non la ricordano, ma vi rimangono comunque "inconsciamente accordati in un certo unisono". E sebbene possa a volte tradirla "per amore della gloria" (o del denaro, aggiungo io), quando l'artista canta in accordo con il suo luogo di origine, la monotonia del suo canto, identico a se stesso qualunque sia il soggetto trattato, rivela "la fissità degli elementi che compongono la sua anima".

Ho voluto sintetizzare questo brano del grande scrittore francese perché mi sembra stabilire alcuni fondamentali punti fermi, utili anche per questa mia ricerca sui quattro componenti di The Studio. E' infatti facile vedere quanto l'ispirazione di ognuno di loro lo renda unico e diverso dai suoi tre compagni e gli garantisca, in più, una "monotonia" di stile e tematiche che lo accompagna dagli esordi fino all'esperienza di The Studio e oltre.
Così come appare chiaro, sempre secondo le considerazioni espresse da Proust, che la stessa partecipazione all'esperienza di The Studio, che significa prima di tutto operare secondo una maggiore autonomia e libertà di intenti, conduce ognuno dei quattro a un più alto livello di accordo con la propria patria dimenticata (ma inconsciamente ricordata).

Abbiamo del resto imparato a conoscere in questo lungo percorso, post dopo post, proprio questa unicità e, insieme, monotonia di "canto" che ho appena evocata. Grazie a determinate caratteristiche di ognuno dei quattro artisti di The Studio, che balzano subito all'occhio. Come non vedere, per esempio, che tutta l'opera di Bernie Wrightsonè percorsa in lungo e in largo dal suo spiccato gusto per il macabro e il grottesco? O che nel "medievalista" Barry Smith predominano i temi eroici, il simbolismo e il mito? Oppure che in Jeff Jones, il più "naturalista" dei quattro, tutto ruota attorno a una vera e propria ossessione per la figura femminile? E che Mike Kaluta si inebria ora dell'Art Nouveau ora delle atmosfere dei film e dei romanzi degli anni trenta?
Basta inoltre prendere quasi qualunque albo a fumetti disegnato da ciascuno di loro negli anni precedenti la creazione di The Studio, e vi rinveniamo senza problemi gli stessi elementi che, tra il 1976 e il 1979, saranno alla base del loro lavoro creativo all'interno della piccola congrega artistica.

Ma ogni comunità, per esistere, ha anche bisogno che accanto alle differenze sussista una certa condivisione di interessi e di intenti. A legare tra loro i quattro di The Studio sono principi come l'inattualità e il distacco dalla società, l'ossessione per la bellezza, quasi sempre avvolta in un'aura decadente e a tratti funerea, l'amore per il fantastico inteso come genere.
E a proposito di questi punti di contatto, vi è uno uno scrittore del passato che forse li riassume meglio di ogni altro e che sembra inoltre essere il solo entrato nel curriculum di tutti e quattro i nostri artisti nel percorso che dagli esordi li ha portati fino alla nascita di The Studio, sebbene in misura molto diversa per ognuno di loro: assolutamente dominante in Barry Smith, marginale in Bernie Wrightson, abbastanza significativo in Jess Jones e Mike Kaluta. Il suo nome? E' presto detto: Robert Ervin Howard.


* * *


Sappiamo come, prima di diventare Barry Windsor-Smith, Barry Smith aveva costruito tutta la propria fama sulle pagine del fumetto MarvelConan the Barbarian. E sullo  personaggio, o su altri meno noti di R.E. Howard, o ancora su personaggi anonimi a lui chiaramente ispirati, imposta anche i suoi esordi di illustratore, dalle prime stampe d'arte: The Ram and the Peacock, The Sepia Horsemen, Something Ic Waes, fino ai vari portfolio: Tupenny Conan, The Four Ages, e in particolare, come indica chiaramente il titolo, REH. Tutte opere prodotte tra il 1974 e il 1975.


Barry Windsor-Smith, Something Ic Waes (Gorblimey Press, 1974)


E i suoi tre compagni di avventura?

Proprio nell'anno di fondazione di The Studio, il 1976, Berni Wrightson affida ai tipi della Christopher Enterprises un Conan the Cimmerian (immagine a sinistra), che uscirà come prima stampa della serie Heroic Fantasy Print*. L'interpretazione del personaggio da parte di Wrightson appare decisamente grottesca, al limite della caricatura, soprattutto se confrontata con la versione solenne che ne offre, in contemporanea, l'amico Barry Smith.
Non va inoltre dimenticato che Wrightson, nella prima metà degli anni '70, oltre ad aver prodotto disegni a tema howardiano per varie fanzine, aveva anche iniziato, e subito terminato, la sua collaborazione con la Marvel, disegnando la storia The Skull of Silence, di cui era protagonista un altro personaggio di R.E. Howard: King Kull.

In quanto a Mike Kaluta, il suo rapporto con l'opera di R.E. Howard si spinge certamente più in là rispetto a Wrightson. Ultimo dei quattro ad arruolarsi, dopo una serie di resistenze, nelle fila di The Studio, aveva già legato il suo nome a due raccolte di racconti di R.E. Howard pubblicate, rispettivamente nel 1974 e nel 1976, dalla FAX Collector’s Editions: The Lost Valley of Iskander e The Swords of Shahrazar.


Oltre alla copertina, ciascuno dei due volumi contiene, a firma Kaluta, varie illustrazioni in bianco e nero e tre illustrazioni a colori fuori testo. Delle tre pubblicate qui sotto, le prime due sono relative a due racconti del volume The Lost Valley of IskanderThe Daughter of Erlik Khan e The Lost Valley of Iskander; la terza, al racconto The Curse of the Crimson God, contenuto in The Swords of Shahrazar. Già a colpo d'occhio è facile notare il netto cambio di stile che separa il primo volume dal secondo.



Manca a questo punto, all'appello, solo Jeff Jones, che accettò l'invito di Bernie Wrightson e Barry Smith a entrare nelle fila di The Studio nella primavera del 1976, proprio nel momento in cui stava portando a termine una serie di quattordici copertine per la collana di libri di Robert E. Howard della Zebra Books. Erano, per lui, solo le ultime di una lunga serie di copertine per i paperbacks, almeno centocinquanta in tutto, concentrate però in gran parte nella fase iniziale della sua carriera, visto che Jones, almeno fino alla sua uscita dal mondo del fumetto, quando ha potuto guadagnarsi di che vivere con le storie disegnate ha sempre contemporaneamente ridotto il suo lavoro nel settore delle copertine.
Ma ha anche avuto, nel frattempo, modo di cambiare e affinare il suo approccio all'illustrazione, così che le copertine realizzate per la collana della Zebra Books risentono più dell'influenza dei grandi illustratori del passato, Newell Convers Wyeth in testa, e della pittura simbolista e preraffaellita, che di quella dei maestri del fantastico suoi contemporanei. E questo è soprattutto vero quando al centro della scena vi sono delle figure femminili, che appaiono allora come tante diverse versioni pittoriche della sua Idyl.


Jeff Jones, The Undying Wizard (front and back cover)


Ed ecco per finire, l'elenco completo dei quattordici tascabili Zebra Books di Robert E. Howard, o ispirati al suo universo narrativo, di cui Jeff Jones ha realizzato le copertine tra il 1975 e il 1976. La data che segue i titoli è quella di edizione.

Opere di Robert E. Howard:
  • The Sowers of the Thunder (Mar 1975)

  • Tigers of the Sea (featuring Cormac Mac Art #1) (Maj 1975)

  • Worms of the Earth (featuring Bran Mak Morn) (Jul 1975)

  • A Gent from Bear Greek (featuring Breckinridge Elkins) (Sep 1975)

  • The Vultures of Whapeton (Nov 1975)

  • The Incredible Adventures of Dennis Dorgan (Dec 1975)

  • The Lost Valley of Iskander (Jan 1976)

  • The Book of Robert E. Howard (Feb 1976)

  • The Iron Man (Mar 1976)

  • The Second Book of Robert E. Howard (Maj 1976)

  • Pigeons from Hell and other weird and fantastic adventures (Jun 1976)
Opere di altri autori:
  • Andrew J. Offutt, Sword of the Gael (featuring Cormac Mac Art #5) (1975)

  • Andrew J. Offutt, The Undying Wizard (featuring Cormac Mac Art #6) (1976)

  • Karl Edward Wagner, Legion from the Shadows (featuring Bran Mak Morn) (1976)

* * *

The Studio - Complete Comics Chronology X: September - December 1971


Barry Windsor-Smith: Cover + "The Garden of Fear"* (19 pg.)
Conan the Barbarian #9 - Marvel Comics group, September 1971 (Comic-book)
Editor: Stan Lee
Writer: Roy Thomas (adaptation from an original story by Robert E. Howard); Inker: Sal Buscema
* Colored by Barry Smith w/ Mimi Gold
Bernard Albert 'Bernie' Wrightson: 1 illustration
Phase #1 - S.Q.P. Inc., September 1971 (Fanzine)
Editor: Doug Foley, Sal Quartuccio
Jeffrey Catherine Jones: "Home" (4 pg.)
Phase #1 - S.Q.P. Inc., September 1971 (Fanzine)
Editor: Doug Foley, Sal Quartuccio
Michael William Kaluta: "As Night Falls" (2 pg.)
Phase #1 - S.Q.P. Inc., September 1971 (Fanzine)
Editor: Doug Foley, Sal Quartuccio
Barry Windsor-Smith: Cover* + "Beware the Wrath of Anu"** (23 pg.)
Conan the Barbarian #10 - Marvel Comics group, October 1971 (Comic-book)
Editor: Stan Lee
Writer: Roy Thomas; Inker: Sal Buscema
* W/ Marie Severin (Kull vignette); ** Colored by Barry Smith w/ Mimi Gold
Bernard Albert 'Bernie' Wrightson: Cover + "Things Old... Things Forgotten"(10 pg.)
House of Mystery #195 - DC Comics, October 1971 (Comic-book)
Editor: Joe Orlando
Michael William Kaluta: "Trick Or Treat" (2 pg.)
House of Mystery #195 - DC Comics, October 1971 (Comic-book)
Editor: Joe Orlando
Bernard Albert 'Bernie' Wrightson: "There's More Than One Way to Get Framed" (9 pg.)
The Unexpected #128 - DC Comics, October 1971 (Comic-book)
Editor: Murray Boltinoff
Writer: Len Wein
Jeffrey Catherine Jones: "Explored" (3 pg.)
Imagination #1 - Imagination Publishing Co., 1971 (Fanzine)
Editor: David Jablin
Bernard Albert 'Bernie' Wrightson: "Conjure Woman" (3 pg.)
Imagination #1 - Imagination Publishing Co., 1971 (Fanzine)
Editor: David Jablin
Michael William 'Mike' Kaluta: "Necromancy" (3 pg.)
Imagination #1 - Imagination Publishing Co., 1971 (Fanzine)
Editor: David Jablin
Barry Windsor-Smith: Cover + "Rogues In the House"* (34 pg.)
Conan the Barbarian #11 - Marvel Comics group, November 1971 (Comic-book)
Editor: Stan Lee
Writer: Roy Thomas; Inker: Sal Buscema
* Colored by Barry Smith w/ Mimi Gold
Bernard Albert 'Bernie' Wrightson: Cover + Inking w/ Alan Weiss on "A Bottle of Incense --
A Whiff of the Past!" (8 pg.)
House of Secrets #94 - DC Comics, November 1971 (Comic-book)
Editor: Joe Orlando
Writer: Gerry Conway; Penciler: Alan Weiss
Jeffrey Catherine 'Jeff' Jones: Assist to Dick Giordano on "Computed to Kill" (10 pg.)
Superman's Girl Friend, Lois Lane #116 - DC Comics, November 1971 (Comic-book)
Editor: E. Nelson Bridwell
Writer: Robert Kanigher
Artist: Dick Giordano
(From an idea of) Bernie Wrightson (and Harlan Hellison): "Night of the Reaper!" (25 pg.)
Batman #237 - DC Comics, December 1971 (Comic-book)
Editor: Julius Schwartz
Writer: Denny O'Neil
Penciler: Neal Adams; Inker: Dick Giordano
Barry Windsor-Smith: "The Dweller in the Dark"* (16 pg.)
Conan the Barbarian #12 - Marvel Comics group, December 1971 (Comic-book)
Editor: Stan Lee
Writer: Roy Thomas
* Colored by Barry Smith w/ Mimi Gold
Bernard Albert 'Bernie' Wrightson: Inking on "The Blood of the Dragon"* (7 pg.)
Conan the Barbarian #12 - Marvel Comics group, December 1971 (Comic-book)
Editor: Stan Lee
Writer: Roy Thomas
Penciler: Gil Kane
* Only on pages 4-5
Jeffrey Catherine 'Jeff' Jones: Cover
Nightmare #6 - Skywald, December 1971 (Magazine)
Editors: Sol Brodsky, Herschel Waldman
Michael William Kaluta: "Medea" (1 pg.) + "The Cosmos Strain"* (6 pg.)
Nightmare #6 - Skywald, December 1971 (Magazine)
Editors: Sol Brodsky, Herschel Waldman
* Written by Mike Kaluta as Steve Stern

Clicca sulla scritta blu per vedere in grande formato, se disponibili, copertine e pagine interne degli albi in lista.



* * *

Note

* La serie Heroic Fantasy Print continuerà e si concluderà poi con la riproduzione di un'altra opera: The Sacrifice di Mike Kaluta (indicata talvolta come Conan: the Sacrifice), che nella sua prima edizione sarà però erroneamente attribuita, dalla Christopher Enterprises, sempre a Wrightson.

L'immagine di apertura del post è di Jeff Jones ed è l'immagine di copertina (fronte e retro) di The Book of Robert E. Howard, 1976

Il primato della visione: Picnic at Hanging Rock TV series

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Questa breve premessa è per avvisarvi che questo post non consiste di una recensione vera e propria della serie televisiva Picnic at Hanging Rock, appena trasmessa anche da alcuni canali italiani, bensì soltanto della trascrizione, a seguito della visione dei sei episodi, di una mia reazione a caldo a una "scoperta" che è forse più che altro una conferma, di qualcosa che avevo finora registrato, in qualche modo, solo inconsciamente. Vi invito a leggere il seguito di questo breve testo per capire che cosa intendo dire, sperando di non apparire, alla fine, ugualmente troppo nebuloso.


* * *


Come confido che alcuni di voi già sappiano, la mia fruizione di Picnic at Hanging Rock, sia nella versione filmica di Peter Weir del 1975, che ho scoperto prima, sia nella versione originale del romanzo di Joan Lindsay del 1967 da cui la pellicola è tratta, è ormai pluridecennale, e si può ben dire ininterrotta. E ricordo bene, a questo proposito, di aver pure scritto una volta, presumo in risposta a qualcuno che mi chiedeva se preferissi l'una o l'altra delle due versioni, che sarebbe come costringermi a dire quale tra i miei due nipotini (due gemelli) preferisco - qualcosa cioè di neanche pensabile. Devo però ora anche aggiungere che la visione delle sei puntate di questa versione televisiva della storia qualcosa ha smosso sotto questo aspetto, sebbene non proprio fino al punto di condurmi a una scelta netta e dichiarata.




E' infatti grazie a questa serie tv se ho adesso del tutto chiaro perché la fama del film di Peter Weir abbia sempre sopravanzato di gran lunga quella del libro da cui è tratto, mentre non è così in moltissimi altri casi di film tratti da opere letterarie. E' una questione, e lo dico senza più nessuna esitazione, di primato della visione, nel senso che la storia di Picnic at Hanging Rock non può prescindere, per un'insufficienza intrinseca alla scrittura, dal prerequisito di un supporto visivo. E mi riferisco a un'insufficienza generale, non specifica di Joan Lindsay, che fa sì che la pagina scritta non possa in alcun modo richiamare la "qualità fisica" (che è tutt'uno con quella "magica") assolutamente fuori dell'ordinario del paesaggio di Hanging Rock.
Mentre lo stesso discorso non vale, per esempio, per l'Appleyard College, o per altri ambienti descritti nel libro. In questo caso, nessun problema: il College ricostruitelo pure a vostro piacere nella vostra immaginazione, anche con i mattoncini Lego se preferite, non è importante. Ma il luogo del picnic no; quello può essere solo com'è e qualunque immagine rievochi la (sola) lettura del libro nella vostra mente non è un semplice falso involontario (che è cosa non solo accettabile, ma intrinseca al gioco della letteratura), bensì un falso involontario assoluto, nel senso di una negazione, una riduzione a (quasi) nulla. Neanche il dio della scrittura in persona potrebbe infatti restituire, con il solo ausilio delle parole, la particolare "qualità" di cui parlo, associata alla tipografia di Hanging Rock e dei suoi immediati dintorni. Soltanto le immagini dal vero, in assenza di una visita diretta sul luogo, sono in grado di farlo.




Posso quindi solo ringraziare la circostanza di aver visto prima il film, ed essere così stato esonerato dal cimentarmi poi in rievocazioni improbabili/impossibili durante la lettura del libro. Certo, in questo modo mi sono anche impedito di fare prima di adesso la scoperta di cui ho appena detto, e mi sono anzi chiesto perché la serie televisiva sia invece riuscita a "sbloccarmi" laddove avrebbe potuto benissimo lasciare tutto com'era.
Dipende forse dal fatto che nei suoi quasi trecento minuti di durata ripercorre più e più volte, aggiungendo ogni volta qualcosa, l'ascesa delle ragazze sulla roccia? Mentre nel film di Weir è invece tutta questione di pochi, per quanto miracolosi, minuti? Potrebbe essere. Come potrebbe entrarci la circostanza che la serie televisiva, a differenza del film, ha avuto la possibilità di attingere anche al famoso ultimo capitolo scomparso del libro, il XVIII, della cui possibile esistenza nel 1975 non si aveva il minimo sentore. Vi attinge in particolare - seppure con grande discrezione, quasi di soppiatto - nella meravigliosa seconda metà dell'episodio finale, sesto di una serie che parte sottotono ma che acquista poi puntata dopo puntata, in un crescendo quasi ininterrotto, intensità e plausibilità narrativa. Ma poiché, come ho scritto nella premessa, questa non vuole essere una recensione, mi fermo qui (almeno per ora) con le parole dedicate alla serie tv.




Vi segnalo invece, nel caso voleste saperne di più sul libro Picnic at Hanging Rock, sulla sua versione filmica del 1975 e sul famoso Capitolo XVIII, il mio articolo Percorrendo i Sentieri del Sogno, che potete leggere (e anche scaricare) da pagina 40 del Numero 5 di Terre di Confine Magazine. Potreste anzi considerare questo post come una coda all'articolo, un breve invito a non intraprendere la lettura del pur ottimo libro di Joan Lindsay senza aver prima visto il film e/o la miniserie televisiva, così da sapere poi, in fase di lettura, dove collocare passo passo le varie Miranda, Marion, Irma, ecc. nella loro ascesa verso il Tempo del Sogno.



“Perché non ci liberiamo tutte di questi assurdi indumenti?” chiese Marion. “Dopo tutto abbiamo un sacco di costole a disposizione per tenerci verticali”.
Ma prima ancora che le quattro paia di corsetti eliminati volassero giù dalla Roccia e un senso di freschezza e libertà si facesse strada in loro, Marion si dichiarò offesa nel suo senso dell’ordine. “Tutto nell’universo ha il suo posto designato, a cominciare dal vegetale. Sì, Irma, intendevo dire proprio questo. È inutile che sghignazzi! Perfino i nostri corsetti su Hanging Rock”.
“Be’ non troverai un armadio” disse Irma. Non importa quanto lo cerchi. Dove possiamo metterli?”.
Miranda suggerì di lanciarli oltre il precipizio. “Dateli a me”.


The Studio Section Six - 1976-79: Gli anni di The Studio /7

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L’incidente occorso con la serie Heroic Fantasy Print, ossia l'errore di attribuzione della stampa Sacrifice, realizzata da Mike Kaluta ma indicata come di Berni Wrightson (ne ho già accennato un paio di volte in questa serie di post), fece ritenere più prudente alla casa editrice Christopher Enterprises separare le opere dei due artisti in due serie distinte: la Horror & Fantasy Print per Wrightson e la Romantic Fantasy Series per Kaluta.
Questa stessa suddivisione aveva inoltre il vantaggio di assegnare ai due artisti quel che più confà a loro, così da sottolineare meglio la loro unicità e differenza di stile e di intenti. Non più quindi l'heroic fantasy indistintamente per l'uno e l'altro, ma l'horror (e il fantasy) per Wrightson e il fantasy (non più heroic ma romantic) per Kaluta. Era un po', per entrambi loro, come rimettersi sulla strada di casa.

La Horror & Fantasy Print, assegnata a Wrightson, consisterà alla fine di undici stampe a colori che sono all'incirca tutto quel che separa le due stampe di esordio dell'artista - Bad Doin's In Knuckledown Lonesome  e  Conan  the Cimmerian, prodotte anch'esse dalla Christopher Enterprises  - dalla nascita di The Studio, i disegni con i dinosauri e la fondazione della Tyrannosaurus press con i relativi  portfolio di Frankenstein.
Intanto, la prima delle undici stampe della nuova serie, Siegfried (a sinistra), sembra facilmente dimostrare, considerato il soggetto e lo stile di rappresentazione, che l'intento originale fosse stato in realtà solo quello di continuare con la serie Heroic Fantasy Print, e che non è quindi implausibile ritenere che proprio l'incidente di percorso che ho appena rievocato abbia fatto sì che le cose siano andate diversamente.

Comunque sia, già dalla seconda illustrazione la virata verso il gotico e l'horror è netta e destinata a mantenersi anche nelle altre stampe della serie - tutte datate 1976 e tutte diffuse, prima come stampe a tiratura limitata di 100 copie numerate e autografate e poi in versione poster.

Ecco il loro elenco completo:
  • Siegfried (#1),

  • Freaks (#2)

  • Hunter (#3)

  • Visitor (#4)

  • Loggerhead (#5) *

  • Change (#6)

  • Council to a Minion (#7) *

  • Breakfast (#8)

  • Taking no Chances (#9)

  • Waiting (#10)

  • Mementos (#11) *
* Opera anche ristampata come poster dalla Big O nel 1979.


Berni Wrightson, Change (H&FP #6, a sinistra) e Counsel to a Minion (H&FP #7, a destra)


Kaluta si è invece occupato, come dicevo, della Romantic Fantasy Series, destinata alla fine a comprendere solo quattro stampe, tutte prodotte nelle stesse quantità e con le stesse caratteristiche della serie di Wrightson, compreso l'essere riproposte in versione poster:
  • Behind Neptune's Throne (#1) *

  • Icarus Had a Sister (#2) *

  • Why He Doesn't Sleep At Night (#3) **

  • I Don't Know, What Do You Want to Do? (Print #4) *
* Opera anche ristampata come poster dalla Big O nel 1979.
** Opera anche ristampata, insieme a Sacrifice, come poster dalla Portal Publications nel 1978.


Michael Wm. Kaluta, Why He Doesn’t Sleep at Night (RFS #3, a sinistra)
I Don’t Know, What Do You Want to Do? (RFS #4, a destra)


La pubblicazione, sempre nello stesso anno, di un ultimo set di due stampe di argomento fantasy, intitolato Dragon Print Set, conclude infine la collaborazione di Mike Kaluta con la Christopher Enterprises.

Neanche Kaluta, però, come Barry Smith con il suo Conan, si era dimenticato del personaggio che gli aveva dato la fama come autore di fumetti: The Shadow. Così, dopo le copertine per i numeri 10 e 12 del comic-book che lui aveva contribuito a far grande agli esordi, vedono anche la luce, nello stesso 1976, due sue illustrazioni legate a The Shadow e pubblicate dalla Showcase Art Production secondo la stessa formula, stampe a tiratura limitata e poster, sperimentata con la Christopher Enterprises: Lamont Cranston and Margo Lane (in basso a sinistra) e The Master of Men (in basso a destra).




E questo ci riconduce dritto all'altra grande passione di Kaluta (una sorta di suo lato oscuro, si potrebbe forse dire): il pulp degli anni '30 e '40 - decenni dominati dalla figura, tra le altre, proprio di The Shadow, che da ospite delle pagine di Detective Story passa, nell'aprile 1931, ad avere un magazine a suo nome. Da quel momento, grazie anche all'accoppiata magazine/programma radiofonico (Street and Smith's Detective Story Hour), The Shadow diviene una delle icone pulp della cultura popolare americana.
Abbastanza inevitabile, quindi, che la casa editrice FAX pensi a lui non solo per le illustrazioni dei due volumi di R.E. Howard citati nel precedente post, ma anche per i primi due numeri di una rivista antologica destinata a breve vita, Famous Fantastic Classics, e per la copertina del volume di Robert Kenneth Jones, The Shudder Pulps: A History Of The Weird Menace Magazines of the 1930's, che ripercorre la storia delle concorrenti "degeneri" di Weird Tales




Il 1977 e il 1978 continuano per Kaluta all'insegna delle stampe d'arte e dei poster, non più però a cura della Christopher Enterprises, bensì della Woola Boola Wonder Books (che nel 1975 aveva già pubblicato come stampa d'arte l'illustrazione Ayisha) e, per quel che riguarda i poster, dalla Portal Publications. Si tratta di nove illustrazioni complessive in cui Kaluta porta avanti e sviluppa temi e stili inaugurati con la Romantic Fantasy Series. Ma non manca di ricomparire anche Conan il barbaro (in basso a destra).


Michael Wm Kaluta: Fate of Dollies Lost in Dreams (stampa, Woola Boola Wonder Books 1977) e
In a Twinkling of a Eye (poster, Portal Publications 1978)


Oltre alle due appena riprodotte, le altre stampe e i poster del periodo comprendono le seguenti illustrazioni:

  • Moonrise (stampa, Woola Boola Wonder Books 1977)

  • Sunrise (stampa, Woola Boola Wonder Books 1977)

  • Sentry (stampa, Woola Boola Wonder Books 1977)

  • Solo (stampa, Woola Boola Wonder Books 1977)

  • She’s Leaving Home (poster, Portal Publications 1978)

  • The Wedding Guest (poster, Portal Publications 1978)

  • Intolerance (stampa, Woola Boola Wonder Books 1978)

Ma il 1978 è un anno caratterizzato anche da altro. Dall'apparizione, per esempio, di un discreto numero di copertine a firma Kaluta per i comic-book della DC (National Periodics). Tra le più accattivanti, figurano senza dubbio le otto realizzate per la collana Doorway to Nightmare che ritraggono per la prima volta l'affascinante Madame Xanadu, una cartomante maestra delle scienze occulte, proprietaria di un piccolo negozio di curiosità esoteriche in Greenwich Village, a cui Kaluta, nel corso della sua carriera artistica, non riuscirà mai a rinunciare definitivamente. La collana durò però soltanto cinque numeri e le tre illustrazioni rimanenti finirono per apparire l'anno successivo, nei numeri 190, 191 e 194 di The Unexpected, non più come copertine ma come pagine interne.


Madame Xanadu sulla copertina del secondo numero di Doorway to Nightmare (feb-mar 1978)
e in una ex copertina trasformata in pagina interna di The Unexpected #194 (nov-dec 1979).


Ma il ritorno in grande stile alle copertine dei comic-books, sebbene non ancora alle storie a fumetti, non è la sola novità del 1978. Vede anche la luce, a distanza di cinque anni da Monster Mash, un secondo disco con il contributo artistico di Mike Kaluta. Della grafica interna stavolta, con dieci immagini di introduzione ai dieci capitoli/tracce del disco (il preludio rappresenta una sorta di capitolo 0). Ognuna delle tracce, tutte strumentali, descrive una diversa tappa di un'avventura fantascientifica concepita da Lenny White sia in forma di testo scritto che sonora.
Secondo quel che riporta il sito All Music,The Adventures of Astral Pirates, questo il titolo del disco, "è un capolavoro jazz-fusion a tema futuristico-fantascientifico. Star Wars era primo al box office quando, nel 1977, White produsse l'album con Al Kooper, e forse la [casa discografica] Elektra sperava di far soldi sfruttando la popolarità del film".




* * *

The Studio - Complete Comics Chronology XI: 1972/1

Bernard Albert 'Bernie' Wrightson: Cover + Contents page + "The Last Hunters" (7 pg.) +
"Ain't She Sweet?" (7 pg.) + The Task (8 pg.) + "King of the Mountain, Man" (8 pg.) +
no title ("Is the kid asleep yet?", 8 pg.) + Uncle Bill's Barrel" (8 pg.) + Back cover

Badtime Stories - Graphic Masters Publishers, 1972 (Tradepaperback)
Editor: Ron Barlow
Bernard Albert 'Bernie' Wrightson: Illustration
Comic Crusader #12 - Martin L. Greim, 1972 (Fanzine)
Editor: Martin L. Greim
Bernard Albert 'Bernie' Wrightson: Cover
Comicology #6 - 1972 (Fanzine)
Michael William 'Mike' Kaluta: "Flash Gordon: Crash Landing" (4 pg.)
Heritage #1 [a] - Heritage Publications, 1972 (Fanzine)
Bernard Albert 'Bernie' Wrightson: Illustration
Heritage #1 [a] - Heritage Publications, 1972 (Fanzine)
Jeffrey Catherine Jones: Cover art
Infinity #3 [2] - Adam Malin, Gary Berman, 1972 (Fanzine)
Editors: Adam Malin, Gary Berman
Bernard Albert 'Bernie' Wrightson: Back cover art
Infinity #3 [2] - Adam Malin, Gary Berman, 1972 (Fanzine)
Editors: Adam Malin, Gary Berman
Barry Windsor-Smith: Cover + "Web of the Spider God!"* (22 pg.)
Conan the Barbarian #13 - Marvel Comics group, January 1972 (Comic-book)
Editor: Stan Lee
Writers: Roy Thomas, John Jakes; Inker: Sal Buscema
* Colored by Barry Smith w/ Mimi Gold
Barry Windsor-Smith: "The Widow Accused" (21 pg.)
Daredevil #83 - Marvel Comics group, January 1972 (Comic-book)
Editor: Stan Lee
Writer: Gerry Conway
Inker: Bill Everett
Jeffrey Catherine Jones: Idyl (1 pg.)
National Lampoon #22 - NL Communications, Inc, January 1972 (Magazine)
Editor: Doug Kenney, Henry Beard
Barry Windsor-Smith: Cover + "To End in Flame" (21 pg.)
Astonishing Tales #10 - Marvel Comics group, February 1972 (Comic-book)
Editor: Stan Lee
Writers: Roy Thomas, Gerry Conway
Inker: Sal Buscema
Barry Windsor-Smith: Illustration (Silver Surfer)
Fantastic Fanzine Special #2 - Alan Light, February 1972 (Fanzine)
Editor: Gary Groth
Bernard Albert 'Bernie' Wrightson: Illustration
Fantastic Fanzine Special #2 - Alan Light, February 1972 (Fanzine)
Editor: Gary Groth
Jeffrey Catherine Jones: Cover art
The Dark Mansion of Forbidden Love #3 - DC, February 1972 (Comic-book)
Editor: Carmine Infantino
Bernard Albert 'Bernie' Wrightson: Illustration
The House of Secrets #96 - DC, February 1972 (Fanzine)
Editors: Joe Orlando, Mark Hanerfeld
Barry Windsor-Smith: Cover + "A Sword Called Stormbringer!"* (21 pg.)
Conan the Barbarian #14 - Marvel Comics group, March 1972 (Comic-book)
Editor: Stan Lee
Writers: Roy Thomas, Michael Moorcock (plot), James Cawthorn (plot); Inker: Sal Buscema
* Colored by Barry Smith
Michael William 'Mike' Kaluta: Cover art + "The Beast's Revenge" (8 pg.)
The House of Mystery #200 - DC, March 1972 (Comic-book)
Editor: Joe Orlando
Writer: John Albano
Jeffrey Catherine Jones: Idyl (1 pg.)
National Lampoon #24 - NL Communications, Inc, March 1972 (Magazine)
Editors: Doug Kenney, Henry Beard
Jeffrey Catherine Jones: "Super Human" (1 pg.)
Esquire #200 - Hearst Communications, Inc., March 1972 (Comic-book)
Editor: Jay Fielden
Barry Windsor-Smith: "Soldier Hero" (1 pg.)
Esquire #200 - Hearst Communications, Inc., March 1972 (Comic-book)
Editor: Jay Fielden
Bernard Albert 'Bernie' Wrightson: "It's Red-Neck" (1 pg.)
Esquire #200 - Hearst Communications, Inc., March 1972 (Comic-book)
Editor: Jay Fielden

Clicca sulla scritta blu per vedere in grande formato, se disponibili, copertine e pagine interne degli albi in lista.



* * *


L'immagine di apertura del post è: Michael William Kaluta, Listening (2018, detail).

Un, due, tre... meme! - La mia prima volta

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Ed ecco che, dopo aver scritto a destra e a manca, nei commenti ai post altrui, che non avevo tempo di aderire a nessun meme, vengo subito a smentirmi. E per smentirmi ancor meglio, ho scelto di aderire non a uno, non a due, ma a tre meme di recente conio che più degli altri sento essere nelle mie corde e per questo avevo messo da parte in attesa di tempi migliori. Che non sono certo arrivati, mentre in compenso è arrivata, a sorpresa, la voglia di tornare un po' a giocare in questo blog.
Dei tre meme, o tag che dir si voglia, i due che presento in questo e nel prossimo post sono La mia prima volta (che mi auguro ormai tutti sappiate non essere "quella" prima volta) e Le mie estati del passato. Io li ho scoperti entrambi sul blog di Miki Moz, Moz'O'Clock, sebbene in realtà il primo sia stato partorito dalla mente di Marco Contin del blog La stanza di Gordie. Moz vi ha in ogni caso aggiunto varie voci, eliminandone al contempo una (la prima volta allo stadio), mentre io, che per il resto ho ripreso pari pari la versione Moziana, mi sono limitato a sostituire la voce relativa alla "prima birra" con un'altra similare ma a me più consona (la foto in alto nel post è, al proposito, un ragguardevole indizio). Per quel che riguarda invece il terzo meme, ne parlerò al momento dovuto, che credo sarà a breve.
Comunico infine, a chiusura della premessa, quella che ad alcuni di voi suonerà certamente come la notizia più bella: il presente meme/tag sulla prima volta non prevede nomination, ma solo un semplice invito ad aggregarvi e "raccontare le vostre prime volte, nelle categorie che più vi aggradano!" (cit. Moz)

Orsù, dunque: aggregatevi, aggradatevi... e raccontate!


* * *


IL MIO PRIMO LIBRO
Ho già risposto come minimo una volta a questo punto. I primi veri libri che ho memoria di aver acquistato, in edicola, e letto, sono quelli della collana “La stella d’oro”. E tra questi il più probabile candidato a primo libro è Avventure in campagna, insidiato nel primato da un altro libro della stessa collana: Racconti d’autunno

LA MIA PRIMA GITA SCOLASTICA
In prima o seconda media. Costa ligure e Val d’Aosta, anche se le uniche due località che sono in grado di citare a memoria sono Rapallo e Saint-Vincent.

IL MIO PRIMO CD
Questo lo ricordo senza problemi: Music for Airports di Brian Eno, acquistato nel 1995 insieme al mio primo lettore cd, nonostante lo avessi già anche in vinile.

LA PRIMA VOLTA AL CINEMA
Potrebbe essere stato quando ho visto Paperino & C. nel Far West, nel corso di una vacanza estiva in montagna (Appennino tosco-romagnolo) alla probabile età di sei anni.


All'età di sei anni, sugli Appennini con mia madre.


LA PRIMA VOLTA AL CINEMA CON GLI AMICI
Credo sia stato in occasione del re-release del Natale 1972 di Biancaneve e i sette navi.

LA PRIMA VOLTA IN AEREO
1991, destinazione Los Angeles.

LA MIA PRIMA VHS
Anche qui, come nel caso del primo cd nessuna difficoltà: Nosferatu di Werner Herzog, acquistato al prezzo di 29.900 lire in contemporanea con il mio primo videoregistratore.

IL MIO PRIMO DVD
Heavy Metal, il film di animazione. Acquistato quando di dvd in Italia ne erano stati pubblicati sì e no una decina e pagato quindi una cifra spaventosa: 59.900 lire. E chi se lo dimentica più di averli tirati fuori di tasca?

LA MIA PRIMA VOLTA ALL'ESTERO
Escludendo San Marino, nel mio primo viaggio all’estero sono stato a Parigi, nel 1979. Fatto tutto in autostop all’andata, in treno al ritorno.

LA MIA PRIMA VOLTA IN UN PARCO DIVERTIMENTI
Alla "Città della domenica" di Perugia, quando avevo otto anni.


Aprile 1969. Con mio fratello e i nostri amici alla "Città della domenica" di Perugia.


IL MIO PRIMO CAPPUCCINO
Questa voce sostituisce “La mia prima birra”, della quale non conservo nessuna traccia mnemonica. Il primo cappuccino me lo offrì invece mia nonna, in un bar della piazza centrale del Galluzzo, frazione di Firenze dove lei abitava. Fu un’autentica esperienza mistica, impossibile da dimenticare. 

IL MIO PRIMO CONCERTO
Vale se dico Lo schiaccianoci di Tchaikovsky visto con la scuola? È in primo luogo un balletto, ma anche una ricca e arricchente esperienza musicale.

IL MIO PRIMO SUSHI
Nel 1990. Il primo di una lunga serie, posso dire, visto che ho lavorato per venti mesi in un ristorante giapponese e per tutto quel tempo è stato per me un piatto pressoché quotidiano.

LA MIA PRIMA VOLTA SUL WEB
Deve essere stato poco dopo la metà degli anni ’90, quando ho cominciato a collaborare, con degli articoli scritti sotto pseudonimo, allo statunitense The Nagualist Newsletter.
Poi, nel 2000 ho fondato il mio primo sito, Highnoon, sulla pittura realista americana, e la mia prima, e unica, rivista on-line, Il monte analogo, sulla ricerca esoterica. Ambedue i siti, ahimè, sono defunti da molti anni.

All'età di cinque anni, a lezione di
pesca alla trota con mio padre.
LA MIA PRIMA VACANZA DA SOLO
È stata una vacanza-studio di due settimane, per la preparazione dell’esame di fine liceo, trascorsa con un mio amico e compagno di classe a Vicchio nel Mugello. La maggior parte del tempo, però, anziché a studiare la passavamo a pescare nel vicino torrente e a leggere le riviste di fantascienza e i fumetti che acquistavamo ogni mattina in edicola.

LA MIA PRIMA VOLTA AL MC DONALD'S
Mai entrato in vita mia in un Mc Donald’s né in alcun altro fast food.

IL MIO PRIMO GIORNO DI ASILO
Primo e unico, perché mi rifiutai di tornarci il giorno dopo e per tutti i giorni a venire. Fu una vera tortura, soprattutto dover fingere di dormire dopo pranzo, io che ho sempre detestato dormire di giorno.

IL MIO PRIMO GIORNO DI SCUOLA
Memore dell’esperienza dell’asilo, mi ci dovettero trascinare a forza. I primi giorni, poi, ero un sorvegliato speciale causa tendenza all’evasione dalle mura del “carcere”.

Forse che, senza saperlo, ero pasoliniano già allora?
La scuola d'obbligo è una scuola di iniziazione alla qualità di vita piccolo borghese: vi si insegnano delle cose inutili, stupide, false, moralistiche, anche nei casi migliori (cioè quando si invita adulatoriamente ad applicare la falsa democraticità dell'autogestione, del decentramento ecc.: tutto un imbroglio).
(P.P.Pasolini, dal Corriere della sera del 18/10/1975)

Tuttavia, una volta placato (anche se per poco) l’istinto ribellista, alla fine alle elementari mi ci sono pure divertito. Non così purtroppo alle medie e non, soprattutto, alle superiori.


* * *


La foto di apertura del post, Cappuccino cremoso, l'ho presa dal blog Ricette per Bimby.

The Studio Section Six - 1976-79: Gli anni di The Studio /8

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Non mi godo particolarmente l’atto di dipingere. Jeffrey [Jones] è in grado di produrre un quadro per mezzo di una serie di felici incidenti di percorso, e funziona. Il mio approccio è diverso; è molto difficile fare di un dipinto un’occasione di felicità quando lavori un centimetro alla volta.
Barry Windsor-Smith


Nel periodo compreso tra la fondazione della sua casa editrice Gorblimey Press e la fine dell'esperienza di The Studio, Barry Smith pubblicò oltre quaranta immagini, o singolarmente, in forma di stampa d'arte o poster, oppure raccolte a gruppi tematici in veste di portfolio.
Molte di queste immagini, come ho accennato in un recente post, rimangono legate al personaggio che lo ha reso famoso come autore di fumetti, Conan il barbaro, e, per estensione, al mondo di Robert E. Howard e barbarico in genere; tutte le altre, con poche eccezioni, affrontano o il mito greco o il ciclo arturiano. Cercherò adesso, come ho fatto con Bernie Wrightson e Mike Kaluta, di elencare almeno le principali di queste opere, suddividendole stavolta in quattro sezioni: a tema barbarico; sul mito greco;  sul ciclo arturiano; di genere vario. Il colore verde che contraddistingue alcuni titoli serve a far risaltare le opere realizzate negli anni dell'esperienza di The Studio.

1. Opere a tema barbarico

Barry Windsor-Smith, Conan Cimmerian Death (1977)
  • The Four Ages (GbP 1974; portfolio con 4 stampe b/n) *
  • Judgement of the Dead by the Living (Gorblimey Press, 1974; stampa in mezzatinta)
  • The Ram and the Peacock (GbP, 1974; stampa a colori)
  • The Sepia Horseman (GbP, 1974; stampa monocromatica)
  • Something Ic Waes (GbP, 1974; stampa a colori) **
  • Tupenny Conan (GbP/Middle Earth 1974; portfolio con 6 immagini b/n)
  • The Enchantment (GbP 1975; stampa a colori) **
  • Moon & Stars Bookmarks (GbP 1975; 2 set di 5 segnalibri cad.)
  • REH (GbP 1975; portfolio con 5 immagini a colori: Conan of Cimmeria; Valeria of the Red Brotherhood; Solomon Kane; Thoth Amon; Bran Mack Morn)
  • Conan Cimmerian Death (GbP/Dark Eagle 1977; poster b/n)
  • Lord of The Black Corsairs (GbP/Supergraphics 1977; poster a colori) ***
  • Fantastic Islands (GbP 1978; portfolio con 4 stampe b/n) ****

* Colorate a mano e firmate in un'edizione limitata a 30 copie
** Opera ristampata in forma di poster dalla Big O nel 1979
*** In origine la stampa III del portfolio Tupenny Conan (1974), poi riproposta come copertina di Marvel Treasury Edition #4 (06/75)
**** Colorate a mano e firmate in un'edizione limitata a 25 copie


Barry Windsor-Smith, Lord of the Black Corsair (1974)
versione copertina di MTE #4 (a sinistra) e versione poster GbP/Fantagraphics (a destra).


2. Opere a tema mitologico

Barry Windsor-Smith, Mitras (1979)
  • Pandora (Gorblimey Press 1975; stampa) *
  • Fate Sowing The Stars (GbP 1977; stampa e poster)
  • Mitras (GbP/Black Lotus 1979;  stampa a colori)
  • Sibyla (GbP/Black Lotus 1979; portfolio con 4 stampe a colori)

* Opera ristampata in forma di poster dalla Big O nel 1979


3. Opere sul ciclo arturiano

Barry Windsor-Smith
Morgana (1978)
  • Morgana (Gorblimey Press 1978; stampa)
  • Nimue the Enchantress (GbP 1978; stampa)
  • Six Drawings (GbP 1978; portfolio con 6 stampe b/n: King Arthur; Queen Guinevere; Sir Launcelot; Merlyn Ambrose; Elaine of Shalott; Sir Galahad) *

* Riedito con il titolo Excalibur, con differenze di titoli e formato delle stampe


4. Altre opere

  • Devil's Lake (GbP 1975; stampa a colori) *
  • Whithering (GbP 1975; stampa b/n)
  • The Book of Samothrace (GbP 1977; stampa a colori) *
  • The Witch in: National Cartoonists Society Portfolio of Fine Comic Art #1 (1978, stampa b/n)

* Opera ristampata in forma di poster dalla Big O nel 1979




E' anche possibile rendersi conto, scorrendo gli elenchi di opere appena presentati, di quanto la presa di Conan, e più in generale dell'universo narrativo di R.E. Howard, sull'artista Barry Smith (o meglio, a questo punto, Barry Windsor-Smith) sia ancora dominante nel biennio 1974-75, quello cioè immediatamente successivo al suo abbandono del medium fumetto, per poi quasi scomparire nel triennio circa di The Studio, quando prendono il sopravvento le opere di carattere mitologico o dedicate al ciclo arturiano. Riguardo invece alla diminuzione sostanziale del numero di opere prodotte in questo secondo periodo, va probabilmente addebitata alla progressiva crescente immersione dell'artista nella lunga fase di preparazione della sua opera più ambiziosa e complessa: Artemis and Apollo, alla cui storia ho dedicato un intero post di questa Section Six.

Ma non è naturalmente solo Artemis and Apollo ad avere una storia da raccontare. Prendiamo, per esempio, un altro quadro a tema mitologico: il bellissimo Pandora, che presenta, al pari dell'altra immagine citata, un'affollata collezione di oggetti. Si tratta, in questo caso, di una summa del mondo artistico-culturale di Windsor-Smith, che comprende, oltre a una statuetta di Conan il barbaro, molti riferimenti alla cultura della madre patria inglese, compreso un biglietto da visita della "Lega dei socialisti" del pittore preraffaellita William Morris.




Vi sono poi le opere di carattere più generico, che essendo sganciate da riferimenti immediati richiedono a maggior ragione un minimo di spiegazione in più.
A cominciare da The Devil’s Lake (l'immagine di apertura del post), dipinto del 1975 che Barry Smith, ancora negli anni di The Studio, considerava la sua opera più riuscita (senza contare che aveva anche venduto otto volte di più di qualunque altra opera pubblicata dalla Gorblimey Press). Un'opera che rappresenta, nelle parole di Windsor-Smith:
...un’allegoria della libertà e degli ostacoli. Di fatto è su di un tipo che conoscevo all’epoca ed era caduto nella trappola dell’eroina. Ho scelto di mettere la donna alata dell’immagine anziché il tipo in questione per lo stesso motivo per cui la canzone dei Beatles su Maharishi Mayesh Yogi si chiama (e sembra essere su) Sexy Sadie.

Originariamente concepita come sovracopertina, era stata rifiutata dall’editore in termini dai risvolti tragicomici, come racconta sempre l'artista:
...uno dei problemi è che loro, per qualche assurdo motivo, volevano stamparla in bianco e nero; dopo averne discusso per un po’, solo per dargli la prova di quanto ci tenevo a che fosse stampata a colori, mi offrii di dargli l’opera gratis così che potessero usare il mio compenso per coprire i costi di stampa. Ammetterai che è una cosa insolita. Pensavo che avrebbero rifiutato e si sarebbero arresi. Santo cielo, niente del genere… accettarono la mia offerta!

A quel punto, però, lui ne ebbe abbastanza. Ritirò la sua generosa offerta e se ne andò, giurando a se stesso di non accettare mai più commissioni da un editore commerciale. The Devil’s Lake finì comunque ugualmente, alcuni anni dopo, per impreziosire una copertina, quella del terzo numero di Ariel, the Book of Fantasy, che è probabilmente da considerarsi il più lussuoso magazine mai dedicato all'arte e alla narrativa di genere fantastico, e anche per questo destinato a sopravvivere solo per quattro numeri, pubblicati tra il 1976 e il 1978.

Ma perfino più particolare è la storia di Withering, che nel progetto iniziale di Windsor-Smith doveva essere un disegno a china di soli alberi "ispirato a un meraviglioso dipinto di John Constable della vecchia Hampstead Heath":

A quel tempo non pensavo che il mio pubblico fosse pronto a – o diciamo interessato in – una mia nuova opera che raffigurasse solo alberi. Lo stesso Constable aveva una battuta a proposito del dipingere alcuni suoi quadri con il collirio. Quel che voleva dire era che cercava di realizzare un’immagine più commerciale possibile se aveva necessità di venderla. Poiché volevo che il mio pubblico abituato al fantastico vedesse il mio disegno di alberi, presi spunto da Constable e applicai un piccolo fantastico balsamo per gli occhi: proprio al centro dell’immagine disegnai una figura della Morte col mantello – un uomo dal volto di teschio – e sullo sfondo una magione oscura e minacciosa. Questo fa sembrare gli alberi non essenziali. L’ho intitolato Withering… un deliberato non sequitur. Una notte, ricevetti una chiamata concitata da un mio consociato di Londra. Aveva appena mostrato una riproduzione dell’immagine a un collega artista molto stimato che io non avevo mai incontrato e il mio socio aveva appena conosciuto. Al di sopra della gracchiante linea transatlantica lo sentii dire: "Hey, indovina cosa!... Ho appena mostrato Withering al tal dei tali e indovina cosa ha detto – ha detto: ‘Ahh, Constable; questi alberi. Barry ha piazzato quel tipo morto soltanto per potersi permettere di dipingere gli alberi, vero?’. Lo sapeva!". Ci fu qualche scoppio di risa, poi lui riappese. Fu la fine della chiamata. Soffrivo di insonnia in quel periodo e ricordo che quella notte dormii e il giorno dopo ero raggiante.

E osserviamo infine, a conclusione di questa rapida carrellata, The Book of Samothrace, un dipinto in cui Windsor-Smith ha voluto specchiare la natura della propria personalità, da lui sempre definita come fortemente duale. Così scrive per esempio in Opus, la sua autobiografia umana e artistica:
Non ho un particolare interesse nell’astrologia, a dispetto del libero uso di simboli arcani che ha accompagnato tutta la mia carriera, ma resta il fatto che io sembro personificare tutto dei Gemelli. Sono duale in tutto: due gemelli che risiedono in un solo corpo.



* * *

The Studio - Complete Comics Chronology XII: 1972/2


Barry Windsor-Smith: Love is Strange (3 pg.)
Shazam #7 - Neal Pozner, 1972 (Fanzine)
Editor: Neal Pozner
Jeffrey Catherine Jones: ???
Infinity #4 - Adam Malin, Gary Berman, 1972 (Fanzine)
Editors: Adam Malin, Gary Berman
Michael William 'Mike' Kaluta: "The Deer" (3 pg.)
Infinity #4 - Adam Malin, Gary Berman, 1972 (Fanzine)
Editors: Adam Malin, Gary Berman
Bernard Albert 'Bernie' Wrightson: Inside back cover + 3 illustrations
Infinity #4 - Adam Malin, Gary Berman, 1972 (Fanzine)
Editors: Adam Malin, Gary Berman
Barry Windsor-Smith: Cover (inks only) + "Let Slip the Dogs of War!" (21 pg.)
The Avengers #98 - Marvel Comics group, April 1972 (Comic-book)
Editor: Stan Lee
Writer: Roy Thomas
Inker: Sal Buscema
Michael William 'Mike' Kaluta: Cover
House of Mystery #201 - DC, April 1972 (Comic-book)
Editor: Joe Orlando
Bernard Albert 'Bernie' Wrightson: Title page (1 pg.)
House of Mystery #201 - DC, April 1972 (Comic-book)
Editor: Joe Orlando
Jeffrey Catherine 'Jeff' Jones: Idyl (1 pg.)
National Lampoon #25 - NL Communications, Inc, April 1972 (Magazine)
Editors: Doug Kenney, Henry Beard
Jeffrey Catherine 'Jeff' Jones: Cover
Wonder Woman #199 - DC, April 1972 (Comic-book)
Editor: Denny O'Neil
Barry Windsor-Smith: Cover (inks only) + "--They First Make Mad!" (21 pg.)
The Avengers #99 - Marvel Comics group, May 1972 (Comic-book)
Editor: Stan Lee
Writer: Roy Thomas
Inker: Tom Sutton
Bernard Albert 'Bernie' Wrightson: Cover (Inks only)
Batman #241 - DC, May 1972 (Comic-book)
Editor: Julius Schwartz
Barry Windsor-Smith: Cover + "The Green Empress of Melnibone"* (21 pg.)
Conan the Barbarian #15 - Marvel Comics group, May 1972 (Comic-book)
Editor: Stan Lee
Writers: Roy Thomas, Michael Moorcock (plot), James Cawthorn (plot)
Inkers: Sal Buscema, Barry Smith; * Colored by Barry Smith
Michael William 'Mike' Kaluta: Cover
Detective Comics #423 - DC, May 1972 (Comic-book)
Editor: Julie Schwartz
Michael William 'Mike' Kaluta: Cover + Introduction (1 pg.)
House of Mystery #202 - DC, May 1972 (Comic-book)
Editor: Joe Orlando
Jeffrey Catherine 'Jeff' Jones: Idyl (1 pg.)
National Lampoon #26 - NL Communications, Inc, May 1972 (Magazine)
Editors: Doug Kenney, Henry Beard
Jeffrey Catherine 'Jeff' Jones: Sleep (5 pg.)
Psycho #6 - Skywald Publishing Corporation, May 1972 (Magazine)
Editor: Sol Brodsky; Jeff Rovin (assistant)
Jeffrey Catherine 'Jeff' Jones: "A Peel" (2 pg.)
Swank - Hearst Communications, Inc., May 1972 (Magazine)
Editor: Jay Fielden
Barry Windsor-Smith: Cover + "Whatever Gods There Be!" (23 pg.)
The Avengers #100 - Marvel Comics group, June 1972 (Comic-book)
Editor: Stan Lee
Writer: Roy Thomas
Inkers: Joe Sinnott; Syd Shores; Barry Windsor-Smith
Michael William 'Mike' Kaluta: Cover
Detective Comics #424 - DC, June 1972 (Comic-book)
Editor: Julie Schwartz
Barry Windsor-Smith: "Why Must There Be an Iron Man?" (21 pg.)
Iron Man #47 - Marvel Comics group, June 1972 (Comic-book)
Editor: Stan Lee
Writer: Roy Thomas
Inker: Jim Mooney

Clicca sulla scritta blu per vedere in grande formato, se disponibili, copertine e pagine interne degli albi in lista.



* * *

Note

Dove non diversamente indicato, le citazioni sono tratte dal volume The Studio. Dragon's Dream, 1979. A cura di J.S. Traduzioni mie.

L'immagine di apertura del post è: Barry Windsor-Smith, Devil's Lake, Gorblimey Press 1975.


Un, due, tre... meme! /2 - Le mie estati da bambino

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E così il secondo meme
a cui voglio partecipare
è quello delle Mie Estati da Bambino.
Al mondo antico
chiuso nel loro cuore
la gente del duemila ormai non crede più...

(da cantare sull'aria de La storia di Serafino di Adriano Celentano) *


L'estate è, da sempre, la mia stagione di gran lunga preferita. E poiché in questo meme, o tag, vi è pure collegato il sapore antico dell'infanzia, non potevo proprio esimermi dal partecipare, anche se non formalmente invitato a farlo.
Ecco, per cominciare, l'elenco delle regoluzze da rispettare, che per l'occasione sono in numero di tre, da me prelevate direttamente dal post di lancio di Miki Moz, il fantasioso e iperattivo blogger ideatore del tag (trovate il link al suo post subito sotto, al punto 2):

Detto ciò, non indugio oltre e passo subito a proporvi un assaggio de

LE MIE ESTATI DA BAMBINO


GIOCO IN CORTILE
I giochi classici da cortile li ho fatti un po’ tutti. Uno forse un po’ meno classico degli altri, e che è sempre stato tra i miei preferiti, è un gioco il cui nome credo vari a seconda delle regioni d’Italia ma che io ho sempre conosciuto come gioco della muriella.
Noto in effetti che tutti e tre i dizionari online che ho consultato: Treccani, Garzanti e Hoepli, circoscrivono il termine alla sola Toscana. Anche se poi la traduzione italiana di Shining di Stephen King riporta al capitolo 33, "Il gatto delle nevi":
In un angolo c'era una pila di dischi per il gioco della muriella...
Ma è davvero lo stesso gioco che ho praticato io? Quello cioè che Sapere.it così descrive alla voce "piastrèlla"?:

Al pl., gioco (detto anche muriella a li bocci) per ragazzi simile alle bocce. Di origine molto antica (lo menziona Omero nell'Iliade), è tuttora in uso in molte parti del mondo. Il gioco consiste nel lanciare da una determinata distanza le piastrelle, avvicinandole il più possibile a una più piccola, detta piastrino. Chi si è avvicinato di più al piastrino vince un punto; se una piastrella si ferma sul piastrino si vincono due punti. Vince il giocatore che ha raggiunto per primo il numero fissato di punti.

Il nome nazionale del gioco potrebbe quindi essere "piastrelle", mentre, in compenso, "muriella a li bocci" non suona molto toscano. Difficile, insomma, capirci qualcosa.
Di certo c'è che, riguardo al gioco in sé, io e i miei amici non giocavamo affatto ai punti, bensì con una posta in gioco che consisteva di albi a fumetti o figurine.

GIOCO IN SPIAGGIA
Anche in questo caso ritengo di non aver saltato nessun classico, ma il mio preferito, insieme alla pista delle biglie, era senza dubbio il gioco delle bocce, che altro non è in definitiva che un'altra versione del gioco della muriella. (A quanto pare propendo nettamente per questo tipo di giochi, visto che poi, da più grandicello, mi sono appassionato anche al biliardo).
Si prendeva un'asse di legno in due, ciascuno a un'estremità, e la si trascinava sulla sabbia fino a formare un rettangolo di superficie piana che serviva da campo di gioco.

FUMETTO
Tantissimi e di tutti i generi, sebbene l'emblema dei fumetti da vacanza sia per me rappresentato dagli erotici della Ediperiodici, i cosiddetti fumetti per adulti, che spopolavano al campeggio mentre non si vedevano molto in spiaggia, dove dominavano i più classici Tex e Topolino. Poi c’erano le fantastiche buste sorpresa, di cui ricordo, con un misto di ribrezzo e commozione, quelle economicissime con Lupettino e soci, versioni povere dei vari TiramollaSoldino, eccetera.
Assimilabili al fumetto, e quasi altrettanto emblematici delle mie estati al mare, erano inoltre i fotoromanzi Lancio, che io vedevo sempre in mano a mia zia e mia cugina. A me di regola non interessavano, sebbene non disdegnassi di leggerli nel caso delle avventure di Jacques Douglas o di Lucky Martin, nelle cui trame il disgustoso elemento sentimentale era ampiamente controbilanciato da quello giallo/thriller/spionistico.


CIBO
Il pesce, i frutti di mare in particolare. Poi la pizza, il gelato e il cappuccino. Quest’ultimo, al mare, avevamo l’abitudine di prenderlo la sera, nel dopocena, in un bar poco distante dal campeggio.

CANZONE
Una canzone su tutte, collegata in modo indissolubile a una particolare estate della mia vita, l'estate del 1972, ha finito per diventare per me una sorta di inno delle mie estati in generale. E' la nota Montagne verdi cantata da Marcella Bella.

LIBRO
Sarà che fin da piccolo ho sempre letto costantemente tutto l’anno, ma non mi vengono in mente letture di libri collegate alle estati della mia infanzia.

FILM
Idem come sopra.

LUOGO
In montagna, un luogo magico era lo stabilimento per l'ittiocoltura riprodotto nella foto, un labirinto di canali e vasche utilizzate per l'allevamento delle trote da destinare ai laghi per la pesca sportiva, da me praticata sia da bambino che da adolescente (vedi il precedente post della serie). Una struttura che oggi altro non è, purtroppo, che un desolato paesaggio di cemento in stato di totale abbandono.



Mentre per il mare scelgo senza dubbio il campeggio e per la campagna la stalla delle mucche da latte.

GIOCO DA TAVOLO
Sempre e solo le carte. Al mare la scala quaranta, in campagna la briscola.

GIOCATTOLO
Il badminton. Il calcio balilla. Le biglie con le foto dei ciclisti. Le palline clic-clac, fonti di inauditi dolori per le dita. Il pallone pon pon.

TELEVISIONE
Ricordo in particolare il Rischiatutto del luglio 1970 con la Signora Longari come concorrente e il super classico televisivo dell'estate Giochi senza frontiere, di cui il nostro campeggio organizzava ogni estate una versione dal vivo che comportava inevitabilmente lunghi preparativi. Che io ricordi, ho sempre figurato tra i concorrenti di ogni edizione.

LIFE
Le mie villeggiature lontano da casa cominciavano a metà giugno, subito dopo la fine dell'anno scolastico, e si protraevano in genere, con poche interruzioni, fino all'ultimo giorno di agosto. Le prime di cui ho memoria, quelle del 1965 e del 1966, sono state per me divise tra montagna (ai piedi del Falterona) e campagna mugellana. La successiva l'ho trascorsa invece divisa tra montagna e mare (Follonica). Dall’estate del '68 in poi, l’alternanza è sempre stata tra mare e campagna. Al mare andavo con gli zii, in campagna con i miei genitori.
Sempre alle vacanze estive, sono inoltre legate le mie prime cotte. La più antica che ricordo è quella montana per una femminella meridionale di nome Miria, mentre in genere al campeggio mi invaghivo delle nordiche. Mi si sono incise nel cuore l’olandesina Mary e le due gemelle austriache Petra e Andrea.

FOTO DI UN'ESTATE PASSATA
Luglio 1969, con i miei genitori, in una foto presa, credo, su una sponda del Lago Trasimeno.



Per la designazione dei cinque fortunatissimi mi sono anch'io affidato, come Moz, a un sistema random, sorteggiando tra i commentatori dei miei sette post più recenti.
Così ha decretato il sacro Caso (casomai, prendetevela con lui):
  • Clementina di L'angolo di Cle
  • Mr Ink di Diario di una dipendenza
  • Giulia Mancini di Liberamente Giulia
  • Nick Parisi di Nocturnia
  • Luz di Io, la letteratura e Chaplin
Un grazie a chi vorrà partecipare.


* * *


* Ecco come recita invece il testo originale della canzone:
E così la seconda storia
che vi voglio raccontare,
è quella del pastore Serafino.
Al mondo antico, chiuso nel suo cuore,
la gente del duemila ormai non crede più.
L'immagine in apertura del post, una foto del lungomare di Follonica, l'ho trovata nel sito Il Puntone Vecchio affittacamere.

The Studio Section Six - 1976-79: Gli anni di The Studio /9

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Gli esseri umani tendono a comunicare con metafore, così una visualizzazione non astratta può essere fuorviante. Disegnare un albero può etichettare in modo troppo specifico il pensiero espresso, può definire troppo chiaramente quel particolare albero. Perciò l’espressione deve veicolare un contenuto emozionale. Qualcosa che non parli solo di che cosa significa per me quell’albero ma anche di che cosa gli alberi significano per tutti noi. Io provo a coinvolgere lo spettatore nel processo creativo. So che se provo a dirgli qualcosa non ascolterà. E del resto io non ho davvero niente da dire a nessuno. Lo spettatore deve arrivare da solo alla verità.
(Jeffrey Jones)

Dei quattro artisti di The Studio, va probabilmente a Jeffrey Jones il primato del più intransigente nel non scendere a compromessi con la sua arte. Come ebbe a raccontare una volta, in una delle sue tante interviste, a proposito del suo primo periodo di attività professionale:
Vivevo nella paura. Cosa mi era successo? Avevo scoperto che più mi sedevo al tavolo da disegno o al cavalletto per fare del lavoro che odiavo e meno volevo essere lì. Stavo perdendo la mia gioia e alla fine scoprii che la mia gioia era più importante dell'approvazione degli altri. Iniziai così a essere uno con cui era difficile avere a che fare e a perdere commissioni. Divenni determinato a, be', non tanto a "fare a modo mio", quanto piuttosto a fare il lavoro che amavo. Non è facile perseguire quel che davvero vuoi nel tuo profondo, o anche solo capire cosa vuoi.
E' stato poi il pittore, illustratore e fumettista George Pratt a tornare in tempi più recenti sull'argomento, nel suo post commemorativo Jeff Jones: 1944-2011, in cui rievoca un episodio specifico raccontatogli una volta dal suo collega, amico e mentore:
Mi raccontò una volta che gli avevano offerto di realizzare le copertine della serie di paperbacks di Nick Carter, il che sarebbe stata una buona opportunità di guadagno per lui in quegli anni, oltre che un importante punto di merito nel suo curriculum professionale. Disse che mentre rincasava in treno, con la mente rivolta alle copertine, pensò che tutto quel lavoro garantito, anche se di per sé era una buona cosa, gli avrebbe impedito di dipingere quanto avrebbe voluto. Che si sarebbe trovato con le mani legate. Disse che aveva sentito quelle copertine succhiargli via la vita prima ancora di averne cominciata una. Arrivato a casa, rifiutò il lavoro.

* * *

Abbandonata la produzione sui comic-book e poi anche quella sui magazine, ridotta al minimo l'attività di copertinista, negli anni di The Studio Jones può finalmente permettersi di inseguire i suoi sogni pittorici, sebbene gli echi della sua produzione precedente, almeno quella relativa ai magazine e all'illustrazione, non manchino di riaffiorare a più riprese, come ben dimostra questa rapida rassegna che vi propongo di alcune delle sue opere più importanti del periodo.

1974 - Vampire Mother

La prima di queste opere, Vampire Mother, risale in realtà a un paio di anni prima della nascita di The Studio, ma la reputo comunque interessante come opera di transizione. Chiaramente influenzata dal lavoro svolto in contemporanea dall'artista per i magazine horror della Warren PublishingVampirella in particolare, la si può tuttavia già considerare un ghiotto anticipo delle opere a venire.
Il soggetto raffigurato potrebbe essere Lilith, già protagonista di una tavola realizzata da Jones nel 1970 per il numero 9 di Vampirella. Oltre infatti a comparire nel mito biblico come l'originale donna di Adamo, da lui rifiutata, Lilith è anche considerata il primo vampiro della storia e l'antenata di tutti i vampiri.


Vampire Mother (1974, a sinistra) e Lilith (1970, a destra)


Per la prossima opera, e per un paio delle successive, lascerò invece parlare il più possibile direttamente l'artista (con la sigla J.J.), attraverso una serie di estratti, in mia traduzione, dal volume The Studio (Dragon's Dream, 1979).

1977 - In a Sheltered Corner

Idyl Impress, 1977 (Stampa in 1200 copie b/n e 50 colorate a mano)

J.J.: Una donna è nell'angolo tra due muri, circondata, imprigionata quasi, da rovi e spine; all’improvviso si rende conto che qualcuno la sta guardando.


Il contenuto è sempre nella mente di chi guarda, ed è sempre diverso. Mentre stavo disegnando quest'immagine accadde qualcosa di strano. Le macchinazioni della mente inconscia, suppongo. Mi ritrovai con un terzo uccello in volo con il secondo. Un giorno osservai il mio quadro da un passo di distanza e pensai: «O mio Dio! Perché, sai cosa avevo fatto? Avevo disegnato un uccello nella mano e due nel cespuglio!

1977 - Blind Narcissus

Big O, 1979 (poster)

J.J.: Ho intitolato un mio dipinto Blind Narcissus (Narciso cieco). Volevo che la figura fosse a dimensioni naturali. Era una reazione, credo, alla nascita di The Studio. In un posto con il soffitto alto quasi cinque metri, disponevo all’improvviso di abbastanza spazio per creare qualcosa di grande formato. Finii per farlo così grande che non entrava nell’ascensore [dovettero issarlo al dodicesimo piano con delle funi]. Era importante per me che la figura umana fosse a dimensione naturale. Presi i pennelli e iniziai a dipingere, e mi resi conto che dipingendo in dimensioni reali si incontrano problemi che non si hanno con gli altri formati. Volevo una ragazza alta poco meno di 170 cm, ma quando iniziai a farne lo schizzo mi accorsi che era troppo grande. Sembrava troppo grande. Ma com’era possibile? Allora compresi che, ovviamente, una figura in dimensioni reali è davvero "in dimensioni reali” solo nel momento in cui ci posi gli occhi sopra. Ma allora è anche infinita – talvolta sono abbastanza intelligente da essere imbarazzato da quanto sono stupido – e quando ti allontani non è più in dimensioni reali, così come la luna è delle dimensioni di una moneta da dieci o venticinque centesimi a seconda della lunghezza del tuo braccio.
Se dipingevo la figura "in dimensioni reali", allora qualunque cosa più vicina rispetto alla figura sarebbe stata di necessità più grande delle dimensioni reali. Così dissi: Aha, è solo una questione di matematica. E saltò fuori la matematica. Cominciai a spargere diagrammi ovunque nello Studio. Arrivò Barry [Windsor-Smith] e cercò di venirne a capo Anche lui si era trovato con un problema simile. Penso che Michael [Kaluta] se la stesse ridendo di noi. Se una figura è, diciamo, 185 cm sulla superficie della tela – o alla lettera 185 cm nella realtà – quanto è grande? Non riuscivamo ad arrivarci. Se tieni un righello a una certa distanza è come con la monetina. Non riuscivo a trovare nulla in nessun libro, così dovetti dipingere “in dimensioni reali” usando solo l’istinto.
[...]
L’ambientazione è una foresta spoglia e brulla prima del sorgere del sole. Andavo a Central Park alle sei del mattino, poi tornavo di corsa allo Studio per dipingere prima di dimenticarmi i colori e l’aspetto degli alberi. Penso sia per questo che gli artisti si portano i loro cavalletti all’aperto. Se cerchi il realismo devi essere sul posto. Io ho provato a dipingere all’aperto, ma mi irrita; è ventoso, o freddo o caldo, e gli insetti finiscono nei colori; ma non è davvero questo… Cerco di mettere così tanta immaginazione nel mio lavoro che la realtà è un’intrusa. Anche se nel lavoro allo Studio sembra che io cerchi il realismo, il mio realismo è più che semplicemente “ciò che esiste".

1977 - Sleep

1977 - Descent

Big O 1979 (poster)

Detto in breve: una via di mezzo tra un tarzanide e un barbaro stile Conan da un lato, una chiara reminiscenza delle strisce di Idyl dall'altro.


1978 - Chastity

Big O, 1979

1978 - Belling the Slayer

Peter & Pan Graphic Production, 1987

J.J.: A volte mi sembra di sapere consciamente ciò che faccio, altre volte no, e mi arrangio come posso. Lo stato creativo sembra spesso raggiungermi quando non provo a ottenerlo; a volta arriva quando non penso a niente, molto spesso quando sono a letto e per metà addormentato. Il dipinto intitolato Chastityè nato così. Quando mi misi davanti alla tela vuota sapevo esattamente cosa metterci sopra e feci tutto molto in fretta e facilmente. Ma succede raramente… raramente. Il più delle volte devi confrontarti con te stesso giorno dopo giorno e non è facile. A volte è una vera sgobbata e la nebbia si alza all’improvviso. È successo con il disegno di alcune ragazze che appendono campane su una figura mortifera. Iniziai con la testa di uno scheletro e non avevo idea di come avrei proseguito. Continuavo a disegnare e cancellare, ma mi stava piacendo. Disegnai una ragazza e mi dissi: interessante, ho una ragazza che abbraccia uno scheletro. Poi mi dissi che allo scheletro servivano delle corna, come mani che ghermiscono – e all’improvviso compresi che la figura era quella del triste mietitore, con la falce tra le mani. E la cosa divertente è che le ragazze che ho disegnato non sembrano temerlo. Forse lo stanno decorando, come un buffone di corte – come un folle. Così iniziai a mettergli delle campane e chiamai il quadro Belling the Slayer, un gioco di parole con i campanelli da slitta, e all’improvviso era come se avessi saputo dall’inizio che cosa stavo facendo. Forse lo sapevo. Per Chastityè stato l’opposto, l’immagine c’era già ancor prima che gli dessi inizio.




Belling the Slayer di Jeff Jones è poi servito anche da ispirazione per un balletto dallo stesso titolo, variazione sul tema tradizionale della vergine e la morte. Dal sito del Ballet-Dance Magazine:
"Belling the Slayer", con le coreografie di Kirk Peterson e messo in scena per la prima volta dal BalletMet di Columbus, Ohio, nell'aprile 1989, trae la sua storia dall'omonima stupefacente serie di opere create dall'artista e illustratore Jeffrey Jones. All'interno di un lessico gestuale rigidamente strutturato, "Belling the Slayer" si focalizza sul vasto e melanconico tema del rapporto della vita con la morte.

1978 - The Doorway

In: National Cartoonists Society Portfolio of Fine Comic Art #1

Questa splendida immagine a china, che riecheggia in parte il soggetto di In a Sheltered Corner, trova posto nello stesso portfolio che comprende anche The Witch di Barry Windor-Smith (che ho presentato nel precedente post della serie).

* * *


Ma poiché, salvo eccezioni, non si vive di sola arte, Jeff Jones non poteva astenersi completamente dall'accettare lavori di natura più commerciale. Per fortuna, la fama ormai consolidata gli permise di limitarsi al minimo indispensabile e di scegliere ciò che più gli consentiva di esprimersi al meglio delle sue capacità. Il 1977 lo vede così all'opera su un magnifico set di illustrazioni per l'ultimo romanzo scritto da Thomas Burnett Swann (1928-1976), un autore di opere di historical fantasy scomparso l'anno prima.
Il contributo di Jones all'opera - una riscrittura della storia di amore tra Didone e Enea intitolata Queens Walk in the Dusk - comprende, oltre alla testa di elefante del frontespizio riprodotta qui a fianco, otto illustrazioni che rimprendono, ma con maggior finezza, il percorso stilistico già avviato in alcune copertine della collana di paperbacks della Zebra Books dedicati alle opere e ai personaggi di Robert E. Howard. Le tre che presento qui di seguito sono le mie preferite del volume.


Da sinistra a destra: Nereid / Trees / Dido and Aeneas.
Da: Queens Walk in the Dusk di Thomas Burnett Swann. Heritage Press, 1977; pg 41, 69, 97.


Il frontespizio dell'edizione del 1978
L'anno successivo è poi la volta di Red Shadows, raccolta di quindici racconti con protagonista Solomon Kane. Di nuovo Robert E. Howard, in altre parole. Ma si tratta in realtà, per Jeff Jones, di un ritorno, insolito per un illustratore, su un'opera da lui già affrontata nel 1968 e con lo stesso editore, Donald M. Grant.
Una nuova edizione di una vecchia opera, quindi. Che non solo presenta però tutte illustrazioni nuove di zecca, a cominciare dall'immagine di copertina, ma anche un numero maggiore di tavole a colori (otto invece di quattro) rispetto all'edizione precedente. E cosa di meglio di un confronto per dare un'idea degli enormi progressi stilistici compiuti da Jones nel settore, nell'arco di tempo che separa i suoi esordi frazettiani dagli anni della maturità artistica di The Studio?

Ecco, per cominciare, tre delle quattro illustrazioni a colori dell'edizione del 1968 di Red Shadows:


Ed ecco, per il confronto, tre delle otto illustrazioni a colori dell'edizione del 1978. Come è facile accorgersi, il predominio dei toni freddi della vecchia edizione (ma anche della molto più recente Queens Walk in the Dusk), lascia qui il posto a una sovrabbondanza di toni caldi dal sapore autunnale.*

Da sinistra a destra: The Hut of old Ezra the miser stood by the road / "My work here is done" / Kane Gazes somberly
at the scattered bones and grinning skulls
- Da: Red Shadows. Donald M. Grant, 1978; pg 32, 160, 241


* * *

The Studio - Complete Comics Chronology XIII: 1972 /4


Jeffrey Catherine 'Jeff' Jones: Idyl (1 pg.)
National Lampoon #26 - NL Communications, Inc, May 1972 (Magazine)
Editors: Doug Kenney, Henry Beard
Barry Windsor-Smith: "Norman the Barbarian: Gomorrah, the World!" (6 pg.)
National Lampoon #26 - NL Communications, Inc, May 1972 (Magazine)
Editors: Doug Kenney, Henry Beard
Jeffrey Catherine 'Jeff' Jones: Sleep (5 pg.)
Psycho #6 - Skywald Publishing Corporation, May 1972 (Magazine)
Editor: Sol Brodsky; Jeff Rovin (assistant)
Jeffrey Catherine 'Jeff' Jones: "A Peel" (2 pg.)
Swank - Hearst Communications, Inc., May 1972 (Magazine)
Editor: Jay Fielden
Barry Windsor-Smith: Cover + "Whatever Gods There Be!"* (23 pg.)
The Avengers #100 - Marvel Comics group, June 1972 (Comic-book)
Editor: Stan Lee
Writer: Roy Thomas
Inkers (*): Joe Sinnott; Syd Shores; Barry Windsor-Smith
Michael William 'Mike' Kaluta: Cover
Detective Comics #424 - DC, June 1972 (Comic-book)
Editor: Julie Schwartz
Barry Windsor-Smith: "Why Must There Be an Iron Man?" (21 pg.)
Iron Man #47 - Marvel Comics group, June 1972 (Comic-book)
Editor: Stan Lee
Writer: Roy Thomas
Inker: Jim Mooney
Michael William 'Mike' Kaluta: Cover
Batman #242 - DC, June 1972 (Comic-book)
Editor: Julie Schwartz
Bernard Albert 'Bernie' Wrightson: Title page (1 pg.)
House of Mystery #203 - DC, June 1972 (Comic-book)
Editors: Joe Orlando; Mark Hanerfeld
Michael William 'Mike' Kaluta: "Mars - - Or Bust!" (9 pg.)
Korak, Son of Tarzan #46 - DC, June 1972 (Comic-book)
Editor: Joe Orlando
Writer: Len Wein
Jeffrey Catherine 'Jeff' Jones: Idyl (1 pg.)
National Lampoon #27 - NL Communications, Inc, June 1972 (Magazine)
Editors: Doug Kenney, Henry Beard
Jeffrey Catherine 'Jeff' Jones: "Chivalry" (1 pg.) + "Bias" (1 pg.)
Swank - Hearst Communications, Inc., June 1972 (Magazine)
Editor: Jay Fielden
Jeffrey Catherine 'Jeff' Jones: Cover
Wonder Woman #200 - DC, June 1972 (Comic-book)
Editor: Denny O'Neil
Barry Windsor-Smith: Cover + "The Frost Giant's Daughter" (12 pg.)* +
"The Sword and the Sorcerers!" (7 pg.)**
Conan the Barbarian #16 - Marvel Comics group, July 1972 (Comic-book)
Editor: Stan Lee; Writer: Roy Thomas
* Reprint from Savage Tales #1 (modified) - Colored by Barry Smith
** Reprint from Chamber of Darkness #4 - Colored by Barry Smith
Bernard Albert 'Bernie' Wrightson: Cover
Detective Comics #425 - DC, July 1972 (Comic-book)
Editor: Julie Schwartz
Bernard Albert 'Bernie' Wrightson: Cover + "All in the Family..." (9 pg.)
House of Mystery #204 - DC, July 1972 (Comic-book)
Editor: Joe Orlando
Writers: Mary Skrenes [as Virgil North] (script); Bernie Wrightson (plot)
Michael William 'Mike' Kaluta: Cover + Title page* + "Born Losers" (8 pg.)** 
House of Secrets #98 - DC, July 1972 (Comic-book)
Editor: Joe Orlando
Writers: Mark Hanerfeld (*); John Albano (**)
Barry Windsor-Smith: Cover* + "While the World Spins Mad!" (20 pg.)**
Marvel Premiere #3 - Marvel Comics group, July 1972 (Comic-book)
Editor: Stan Lee
Writers: Barry Smith (plot); Stan Lee (dialogue)
Inkers: Dan Adkins (**); Frank Giacoia (*)
Jeffrey Catherine 'Jeff' Jones: Idyl (1 pg.)
National Lampoon #28 - NL Communications, Inc, July 1972 (Magazine)
Editors: Doug Kenney, Henry Beard
Jeffrey Catherine 'Jeff' Jones: "Stumped" (1 pg.) + "In Deep" (1 pg.)
Swank - Hearst Communications, Inc., July 1972 (Magazine)
Editor: Jay Fielden

Clicca sulla scritta blu per vedere in grande formato, se disponibili, copertine e pagine interne degli albi in lista.



* * *

Note

* La prima immagine a sinistra e l'immagine centrale del trittico sono riprodotte, nel volume The Studio, rispettivamente con i titoli Early moon e Withdrawn. Questa seconda immagine è inoltre stata riproposta, sempre col titolo Withdrawn, in forma di poster dalla Big O nel 1979.

L'immagine di apertura del post è: Jeff Jones, The Wall (1977)

The Studio Section Three - Berni Wrightson /11

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Nota introduttiva: La Section Six di The Studioè ormai vicina al suo epilogo. Ancora uno, al massimo due post, e potrò dichiararla conclusa. Nel frattempo tuttavia, mentre mi muovevo all'interno di quel periodo ibrido per i nostri quattro artisti che si situa grossomodo tra la primavera del 1974 e la primavera del 1976, sono nate in me delle piccole storie che chiedono ora a gran voce di essere raccontate. Ho deciso di esaudire almeno due di queste richieste, con un paio di post extra: il primo, che state leggendo, dedicato a Bernie Wrightson, il secondo, che leggerete presto, a Barry Smith. E poiché né l'uno né l'altro dei due post ha la caratteristica dell'intermezzo, o si situa bene nel contesto della Section Six, ho optato alla fine per la diretta prosecuzione delle Sezioni iniziali dedicate ai due artisti, la Section Three per Wrightson e la Section One per Smith, finora costituite rispettivamente di 10 e 5 post. Non ho idea se si tratti di una tantum o se la cosa sarà destinata a ripetersi in futuro, magari per gli altri due artisti. Di certo non accadrà in tempi brevi, poiché, dopo l'imminente conclusione della Section Six, la serie The Studio riprenderà la sua corsa solo nel 2019.


* * *


Ho già avuto modo di raccontare, in altri momenti di questa lunga serie di post, di come la disavventura da lui vissuta con la storia di Kull, The Skull of Silence, abbia spinto Bernie Wrightson a interrompere, fin dal 1972, ogni collaborazione con la Marvel di Stan Lee. Una circostanza che non impedirà tuttavia al Maestro del Macabro di tornare a collaborare, seppure in termini minimali, a nuove iniziative della "casa delle idee". E questo nei primi mesi del 1976, cioè proprio alle soglie della svolta di The Studio

Abbastanza misteriose appaiono le circostanze, a cui non sono riuscito in alcun modo a risalire, della prima di tali iniziative. Un'opera a china di Wrightson, raffigurante Star-Lord, appare nel numero 4 di Marvel Preview del gennaio 1976, albo in cui il succitato agente interplanetario fa la sua prima apparizione. Dell'immagine, insolitamente non firmata, esistono due versioni: una proposta inizialmente dall'artista (sotto a sinistra) e una da lui corretta in base alle indicazioni dei redattori Marvel (sotto a destra). A essere pubblicata è stata naturalmente la seconda, ma Wrightson ha tuttavia continuato a preferirgli la prima.




Più decifrabili appaiono, come vedremo, le motivazioni che spinsero Wrightson ad altre due collaborazioni, una riguardante la copertina del numero 197 di The Incredible Hulk e l'altra... be', all'altra ci arriveremo fra un po'. Per ora basti sapere i nomi dei due autori di fumetti che in quelle due occasioni richiesero il suo prezioso, e non scontato, contributo: Len Wein e Steve Gerber.

Il secondo dei due, Steve Gerber, aveva sceneggiato tutte le storie di Man-Thing dal numero 11 di Adventure Into Fear del dicembre 1972 a quel momento; l'altro, Len Wein, non solo a un certo punto del 1975 era subentrato a Roy Thomas come editor delle storie di Man-Thing di Gerber, ma a suo tempo aveva anche contributo a creare, insieme a Wrightson, l'essere metà umano e metà vegetale Swamp Thing, che altro poi non è che l'equivalente, nell'universo DC, del marvelliano Man-Thing. (Tutto abbastanza poco chiaro, lo so, ma avendo io già dedicato un intero post - il Primo Intermezzo di The Studio - alla storia, incredibile ma vera, della creazione in simultanea e per vie indipendenti dello stesso personaggio da parte delle due case editrici rivali per eccellenza, a quello vi rimando per qualsiasi chiarimento).
Le due ipotesi di gran lunga più probabili, sul coinvolgimento di Wrightson nella realizzazione della copertina di The Incredible Hulk del marzo 1976, sono quindi due: o che sia stato Wein a chiamarlo, in nome della loro antica collaborazione, a contribuire a un albo in cui lui (Wein) si cimenta nella doppia veste di editor e sceneggiatore, o che la decisione sia stata invece presa di comune accordo da ambedue gli artefici delle storie di Man-Thing, Wein e Gerber. Ma comunque siano andate le cose, quel che più conta, alla fine, è il risultato di poter godere della vista di una bella copertina wrightsoniana.

E' invece sicuro che fu Steve Gerber a chiedere a Wrightson, in nome della loro amicizia, un aiuto per portare a buon fine una sua iniziativa, la terza e ultima che rimane da prendere in esame qui... Ma diventa obbligatorio, a questo punto, anteporre una premessa, piuttosto lunghetta ma necessaria a introdurre uno dei personaggi a fumetti più controversi della storia del fumetto mainstream: Howard the Duck. Personaggio che in America ha vissuto fasi alterne di popolarità - attirandosi, tra l'altro, anche un'invettiva di Stephen King in una pagina del romanzo The Stand (L'ombra dello scorpione) - il papero Howard è arrivato da noi nel suo periodo di maggior fortuna, cioè quello iniziale, approdando sulle pagine del mensile di fumetti e umorismo Eureka con il disgraziato nome di "Orestolo il papero" (come dire: piove sul bagnato).

Ma cominciamo dalle origini del fenomeno, che guarda caso hanno luogo proprio in un episodio di Man-Thing, The Enchanter's Apprentice, pubblicato sul numero 19 di Adventure Into Fear del dicembre 1973. E' allora che il papero extradimensionale fa il suo esordio (nella pagina 15 della storia, riprodotta qui a lato).
Si cerca da subito di fare del proprio meglio per rendere plausibile il tutto, ma è evidente che l'intromissione di un elemento così sfacciatamente cartoonistico all'interno di una storia "realistica" richieda inevitabilmente al lettore, salvo forse il lettore bambino, un altissimo grado di sospensione dell'incredulità, che gli stessi ideatori del personaggio faticano del resto a raggiungere.
Come ha raccontato Steve Gerber, Howard the Duck nacque totalmente per scherzo e sull'impulso del momento, e pare che quando Val Mayerick (il disegnatore di The Enchanter's Apprentice) gli mise davanti agli occhi il disegno del papero che fa il suo ingresso in una storia di sword & sorcery cosmica inserita in una storyline che ha per oggetto la dimensione del Nesso di tutte le realtà, la sua reazione a caldo sia stata qualcosa del tipo: "Mi sa che ho un problema grosso come una casa!".

In realtà Steve Gerber, senza ancora poterlo sapere, aveva appena tirato fuori dal suo cappello, con la complicità di Val Mayerik, il papero dalle uova d'oro. Intimato dai dirigenti Marvel di farlo sparire dalle avventure di Man-Thing (e presumibilmente da tutto il Marvel Universe), bastò che Gerber ubbidisse perché si scatenasse la reazione dei fan che rivolevano indietro a ogni costo il loro papero. Al punto che divenne infine inevitabile intitolargli una testata da protagonista.
Il primo numero di Howard the Duck uscì nel gennaio 1976, accompagnato dalla tagline "Trapped in a World He Never Made" (che richiamava subito alla mente uno dei personaggi più di culto della Marvel, Silver Surfer), e fece il botto esattamente come nelle previsioni. Divenuto presto una rarità da collezionisti, fu riproposto, già lo stesso anno, in Marvel Treasury Edition numero 12, albo che presenta anche (a pag. 62, riprodotta qui a lato) un'arguta intervista di Steve Gerber al papero Howard sulla sua (del papero) corsa alle presidenziali americane del Novembre 1976.

Già, le presidenziali. Lo scherzo era iniziato ad aprile, nel numero 4 di Howard the Duck, dove una pubblicità annunciava che l'ormai famoso papero era il primo personaggio della Marvel candidato alla presidenza degli USA. Per finanziare la campagna, i lettori potevano acquistare, alla modica cifra di 1.25 dollari, l'Howard election kit, che includeva un distintivo con lo slogan "Get Down, America!", al quale fece poi seguito, a luglio, un'elegante stampa presidenziale prodotta anche in una versione limitata a 80 esemplari autografi. In entrambi i casi, distintivo e stampa, l'autore altri non era che...

Mr. Bernie Wrightson!




Come siano andate effettivamente le cose, lo spiega lo stesso Gerber, coadiuvato dall'ottimo disegnatore Gene Colan, nei numeri 7 e 8 della collana. Il papero, assoldato inizialmente come membro della security alla convention di un partito, finisce per prendere il posto del candidato presidenziale dopo il suo ritiro. Considerato però, in seguito, pericoloso dall'establishment per le sue idee radicali, la corsa di Howard sarà infine interrotta da una compromettente foto taroccata che lo ritrae nella vasca da bagno insieme alla sua compagna di avventure, la rossa Beverly Switzer. Da quel momento in avanti, Jimmy Carter si ritrova la strada spianata per la vittoria.


L'ultima pagina di Howard the Duck #7 (a sinistra), dove Howard si ritrova candidato per acclamazione popolare,
e la copertina del #8 (a destra), che ufficializza la sua candidatura.


Dopodiché, il resto è leggenda. Nel 1991, il patron della Marvel Stan Lee, alla pagina 174 del volumone Marvel. Five Fabolous Decades of the World's Greatest Comics, dichiara che i voti di migliaia delle 33.975 schede elettorali dichiarate nulle alle elezioni del 1976 erano di fatto andati a Howard the Duck: Sarà vero? Non sarà vero? Impossibile deciderlo qui. Ma già la sola possibilità è l'esito delizioso di un gioco tra finzione e realtà spinto fino agli estremi del paradosso: un gioco in cui un personaggio di fantasia che stenta perfino a trovare una vera cittadinanza nei confini dell'universo fittizio cui appartiene, valica gli stessi per diventare una nota a piè di pagina nella vera storia delle elezioni di un paese che ha visto in lui un modo come un altro per dar voce alla propria protesta e sete di cambiamento.
A seguire, il lento declino di un personaggio: declino la cui sanzione ufficiale si può dire arrivi nel 1986, con il film live-action a lui dedicato, a tutti gli effetti il primo vero film con protagonista un character del Marvel Universe. E invito chiunque voglia approfondire questo aspetto specifico, a leggersi questi ottimi post di amici blogger:


Howard e il destino del mondo di Silverfish Imperetrix



* * *

The Studio - Complete Comics Chronology XIV: 1972 /V


Bernard Albert 'Bernie' Wrightson: Inks on "A Time to Die!" (4 pg.)
Weird Western Tales #12 - DC, July 1972 (Comic-book)
Editors: Joe Orlando; Mark Hanerfeld
Writer: Cary Bates
Penciler: Neal Adams
Michael William 'Mike' Kaluta: Cover
Detective Comics #426 - DC, August 1972 (Comic-book)
Editor: Julie Schwartz
Bernard Albert 'Bernie' Wrightson: Cover (Ad by National Periodical Publications)
Etcetera & The Comic Reader #88 - Paul Levitz, August 1972 (Fanzine)
Editor: Paul Levitz
Bernard Albert 'Bernie' Wrightson: Title page (1 pg.)
House of Mystery #205 - DC, August 1972 (Comic-book)
Editors: Joe Orlando; E. Nelson Bridwell
Michael William 'Mike' Kaluta: Cover 
House of Secrets #99 - DC, August 1972 (Comic-book)
Editors: Joe Orlando; E. Nelson Bridwell
Bernard Albert 'Bernie' Wrightson: Title page (1 pg)
House of Secrets #99 - DC, August 1972 (Comic-book)
Editors: Joe Orlando; E. Nelson Bridwell
Writer: E. Nelson Bridwell
Michael William 'Mike' Kaluta: "The Girl in the Garden" (6 pg.)
Korak, Son of Tarzan #47 - DC, August 1972 (Comic-book)
Editor: Joe Orlando
Writer: Len Wein
Jeffrey Catherine 'Jeff' Jones: Idyl (1 pg.)
National Lampoon #29 - NL Communications, Inc, August 1972 (Magazine)
Editors: Doug Kenney, Henry Beard
Jeffrey Catherine 'Jeff' Jones: "Dingus Kan" (1 pg.) + "Courting Death" (1 pg.)
Swank - Hearst Communications, Inc., August 1972 (Magazine)
Editor: Jay Fielden
Michael William 'Mike' Kaluta: Cover
Weird Mystery Tales #1 - DC, August 1972 (Comic-book)
Editors: E. Nelson Bridwell; Marv Wolfman
Bernard Albert 'Bernie' Wrightson: Destiny figure in
"Horoscope Phenomenon or Witch Queen of Ancient Sumeria?" (1 pg.)
Weird Mystery Tales #1 - DC, August 1972 (Comic-book)
Editors: E. Nelson Bridwell; Marv Wolfman
Michael William 'Mike' Kaluta: Cover
From Beyond the Unknown #18 - DC, September 1972 (Comic-book)
Editor: Julie Schwartz
Bernard Albert 'Bernie' Wrightson: Title page (1 pg.)
House of Mystery #206 - DC, September 1972 (Comic-book)
Editors: Joe Orlando; E. Nelson Bridwell
Bernard Albert 'Bernie' Wrightson: Cover
House of Secrets #100 - DC, September 1972 (Comic-book)
Editors: Joe Orlando; E. Nelson Bridwell
Writer: E. Nelson Bridwell
Barry Windsor-Smith: Cover* + "The Spawn of Sligguth" (20 pg.)**
Marvel Premiere #4 - Marvel Comics Group, September 1972 (Comic-book)
Editor: Roy Thomas
Writers: Archie Goodwin; Roy Thomas (plot)
Inkers: Toma Palmer (*); Frank Brunner (**)
Jeffrey Catherine 'Jeff' Jones: "Hung Up" (1 pg.) + "Wholly Holy" (1 pg.)
Swank - Hearst Communications, Inc., September 1972 (Magazine)
Editor: Jay Fielden
Barry Windsor-Smith: Cover + "Hawks from the Sea!" (20 pg.)
Conan the Barbarian #19 - Marvel Comics Group, October 1972 (Comic-book)
Editor and writer: Roy Thomas
Inker: Dan Adkins
Colorist: Barry Smith
Bernard Albert 'Bernie' Wrightson: Cover + Title page (1 pg.)
House of Mystery #207 - DC, October 1972 (Comic-book)
Editors: Joe Orlando; E. Nelson Bridwell
Michael William 'Mike' Kaluta: Cover
House of Secrets #101 - DC, October 1972 (Comic-book)
Editors: Joe Orlando; E. Nelson Bridwell
Michael William 'Mike' Kaluta: "Battle Cry!" (6 pg.)
Korak, Son of Tarzan #48 - DC, October 1972 (Comic-book)
Editor: Joe Orlando
Writer: Len Wein

Clicca sulla scritta blu per vedere in grande formato, se disponibili, copertine e pagine interne degli albi in lista.



* * *


L'immagine di apertura del post, di Berni Wrightson, è l'illustrazione interna di copertina di Marvel preview #4 colorata da Scott Dutton (Catspaw Dynamics).

The Studio Section Six - 1976-79: Gli anni di The Studio /10

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Quel libro cambiò la mia vita. Non c'è davvero modo di descrivere le emozioni da cui ero attraversato mentre guardavo le opere di quei quattro tipi in quel periodo della mia esistenza. E' una delle sensazioni più esaltanti e confortanti che abbia mai provato. E non sono il solo. Se chiedi a molti degli artisti della mia generazione, quel libro ha rappresentato per le loro vite un evento seminale.
George Pratt, a proposito del volume The Studio


Nessuno di noi aveva mai lavorato con qualcun altro vicino e ci servì un po’ di tempo per farci l’abitudine. Mi servirono otto mesi per poter riprendere a lavorare davvero; a Michael ne servirono sei. Barry ha sempre dipinto poco qui. Solo Berni si sentiva abbastanza a suo agio da disegnare come d’abitudine. In realtà, neanche adesso riusciamo a lavorare quando ci sono gli altri...
Jeff Jones, a proposito della situazione nello Studio


Già intorno alla metà del 1978, dopo appena un paio di anni la sua nascita, The Studio manifesta evidenti cenni di cedimento strutturale. E non mi riferisco alla sua sede fisica al dodicesimo piano di un vecchio edificio di Manhattan, ma alla piccola comunità di artisti, in realtà mai a tutti gli effetti tale, che lo compone. Nell'agosto del 1978, Bernie Wrightson sgombera per primo il suo quarto di stanza e si trasferisce in Florida; un mese dopo, Barry Windsor-Smith si trova a dover fare i conti con un blocco creativo, che risolverà soltanto tornando per alcuni giorni a dipingere nella sua casa nell'upper west-side di Manhattan, dove in un solo giorno di frenesia creativa abbozza tutte le immagini destinate a comporre il portfolio Sybila.


Copertina del Portfolio Sybila di Barry Windsor-Smith


Da quel momento, l'artista passerà sempre meno tempo nello Studio, finché arriva anche per lui il tempo di smantellare il suo angolo. E' il 1979, e la breve ma intensa esperienza di The Studio è arrivata al suo capolinea.


Lo Studio è morto, lunga vita allo Studio! Può sembrare una banalità, ma è difficile trovare una frase che meglio descriva l'ostinata vitalità post-mortem di qualcosa che già in vita, a causa dei quattro grossi calibri coinvolti, godeva di una considerazione fuori della norma e per certi aspetti paradossale. Ho già accennato ai paradossi dell'esperienza di The Studio, piccola bizzarra comunità-non comunità di artisti rivoltosi che continuano però a essere idolatrati dallo stesso popolo di professionisti o semplici appassionati che animava quel mondo dei comics da cui loro si erano, in modo più o meno convinto o convincente, dissociati.
Si aggiungevano poi, quasi altrettanto numerosi, gli appassionati di illustrazione fantastica. In questo settore, tra il 1977 e il 1979, la presenza dei quattro si affermò in modo decisivo, grazie a una serie di eleganti volumi. A volte, per esempio The Flights of Icaro, questi volumi comprendevano opere di tutti e quattro, altre volte solo quelle di uno o due di loro.


The Flights of Icaro (Paper Tiger, 1977) racchiude, nelle sue 160 pagine,
opere di Jones, Kaluta, Windsor-Smith e Wrightson accompagnate
a quelle di altri ventotto illustratori. Nulla di strano se, guardando la
copertina, avete l'impressione di trovarvi davanti a un disco degli Yes.
E' solo perché il suo autore si chiama Roger Dean.


In effetti, lo Studio cessò di esistere proprio nel suo momento di massima popolarità, come dimostra per esempio la copertina del programma dell'annuale Comic Art Convention di Phil Seuling del 1978. Se già, nel 1977, in occasione del suo decennale, il programma aveva in copertina una bella immagine di Berni Wrightson che rinverdiva i fasti di Swamp Thing, in quello della successiva edizione vi è riunito tutto il collettivo di The Studio.




Ma fu soprattutto il volume-intervista celebrativo The Studio, pubblicato dalla Dreagon's Dream nel 1979 ma compilato quando l'esperienza del collettivo era ancora attiva, a far sì che tutto si chiudesse in modo spettacolare, con un canto del cigno comprensivo anche di un tour europeo dei quattro artisti.
In più, in contemporanea alla sua pubblicazione, la casa editrice specializzata Big O pubblicò, in collaborazione con la Dragon's Dream, un'intera serie di poster che riproducevano alcune delle immagini del libro, immagini riproposte poi anche collettivamente in piccolo, in un unico poster double-face.*


E voi, potendo scegliere l'uno o l'altro, quale dei due lati del poster appendereste in vista?


Non vanno infine sottovalutati, accanto ai fan del fumetto e dell'illustrazione fantastica, tutti quegli ignari che, trovandosi magari per caso davanti a una stampa o poster che riproduceva l'opera di uno dei quattro, pensavano che avrebbe ben figurato nel salotto di casa. In fin dei conti non era soprattutto a questo che miravano gli artisti di The Studio? A innalzare il quotidiano, infiltrando nelle sue pieghe qualcosa che con il quotidiano aveva poco o nulla a che vedere, come cartoline spedite da un mondo lontano. O meglio: da quattro mondi lontani.

E ora, per concludere, uno di quei piccoli ma saporiti aneddoti che, non so a voi leggere, ma a me piace tanto scrivere e pubblicare:

Nel corso del succitato tour europeo, era previsto che la tappa nei locali della filiale londinese di Forgotten Planet, la famosa catena di librerie specializzate nella fantascienza e nel fumetto, comprendesse una sessione di autografi. Era stato approntato, all'uopo, un volantino con quattro immagini di drago, ognuna disegnata da uno dei quattro artisti. Andò tuttavia a finire che Mike Kaluta non riuscì a consegnare in tempo il suo disegno e quello che avrebbe dovuto essere il suo drago fu disegnato in realtà da Barry Windsor-Smith. La firma rimase però, come è comprensibile, quella di Kaluta.

* * *

The Studio - Complete Comics Chronology XV: 1972/V


Jeffrey Catherine 'Jeff' Jones: Idyl (1 pg.)
National Lampoon #31 - NL Communications, Inc, October 1972 (Magazine)
Editors: Doug Kenney, Henry Beard
Bernard Albert 'Bernie' Wrightson: "The Thing in the Alley" (Back cover)
Nightmare #9 - Skywald Publishing Corporation, October 1972 (Magazine)
Editor: Al Hewetson
Writer: Al Hewetson
Michael William 'Mike' Kaluta: Illustration (Inside front cover)
Realm #5 - Art Nouveau Publications, October 1972 (Fanzine)
Editor: Ed Romero
Jeffrey Catherine 'Jeff' Jones: "Dingus Kan" (1 pg.) + "Courting Death" (1 pg.)
Swank - Hearst Communications, Inc., October 1972 (Magazine)
Editor: Jay Fielden
Barry Windsor-Smith: Cover + "The Black Hound of Vengeance!" (20 pg)
Conan the Barbarian #20 - Marvel Comics Group, November 1972 (Comic-book)
Editor: Roy Thomas
Writer: Roy Thomas
Inker: Dan Adkins
Colorist: Barry Smith
Michael William 'Mike' Kaluta: Cover
From Beyond the Unknown #19 - DC, November 1972 (Comic-book)
Editor: Julie Schwartz
Michael William 'Mike' Kaluta: Illustration (1 pg)
Hemoglobin #1 - Scott Harris, November 1972 (Fanzine)
Editor: Scott Harris
Michael William 'Mike' Kaluta: Cover
House of Secrets #102 - DC, November 1972 (Comic-book)
Editors: Joe Orlando; E. Nelson Bridwell
Jeffrey Catherine 'Jeff' Jones: Back cover w/ Vaughn Bodé
Junkwaffel #4 - Print Mint, November 1972 (Comic-book)
Editors: Adam Malin, Gary Berman
Jeffrey Catherine 'Jeff' Jones: Idyl (1 pg.)
National Lampoon #32 - NL Communications, Inc, November 1972 (Magazine)
Editors: Doug Kenney, Henry Beard
Jeffrey Catherine 'Jeff' Jones: "All the Ways and Means to Die" (6 pg.)
Psycho #9 - Skywald Publishing Corporation, November 1972 (Magazine)
Editor: Al Hewetson
Michael William 'Mike' Kaluta: Cover
Secrets of Sinister House #7 - DC, November 1972 (Comic-book)
Editor: Julie Schwartz
Bernard Albert 'Bernie' Wrightson: Cover + "Dark Genesis!" (24 pg)
Swamp Thing #1 - DC, November 1972 (Comic-book)
Editors: Joe Orlando; E. Nelson Bridwell
Writer: Len Wein
Jeffrey Catherine 'Jeff' Jones: "Dingus Kan" (1 pg.) + "Courting Death" (1 pg.)
Swank - Hearst Communications, Inc., November 1972 (Magazine)
Editor: Jay Fielden
Bernard Albert 'Bernie' Wrightson: Partial inking on "Slaves of the Mahars" pg 1 and 2
Weird Worlds #2 - DC, November 1972 (Comic-book)
Editor: Dennis O'Neil
Writer: Len Wein
Penciler: Alan Weiss
Inker: C. Bunker
Barry Windsor-Smith: Cover + "The Monster of the Monoliths!" (20 pg)*
Conan the Barbarian #21 - Marvel Comics Group, December 1972 (Comic-book)
Editor: Roy Thomas
Writer: Roy Thomas
Inkers: Dan Adkins; Sal Buscema; P. Craig Russell; Val Mayerik; Mark Kersey
* With: P. Craig Russell; Val Mayerik
Michael William 'Mike' Kaluta: Cover + Title page (1 pg)*
Forbidden Tales of Dark Mansion #8 - DC, December 1972 (Comic-book)
Editor: Joe Orlando; E. Nelson Bridwell
Writer: E. Nelson Bridwell (*)
Bernard Albert 'Bernie' Wrightson: Cover + Title page (1 pg.)
House of Mystery #209 - DC, December 1972 (Comic-book)
Editors: Joe Orlando; E. Nelson Bridwell
Bernard Albert 'Bernie' Wrightson: Cover
House of Secrets #103 - DC, December 1972 (Comic-book)
Editors: Joe Orlando; E. Nelson Bridwell
Writer: E. Nelson Bridwell
Michael William 'Mike' Kaluta: "Gathering Tarel" (7 pg.)
Korak, Son of Tarzan #49 - DC, December 1972 (Comic-book)
Editor: Joe Kubert
Writer: Len Wein

Clicca sulla scritta blu per vedere in grande formato, se disponibili, copertine e pagine interne degli albi in lista.



* * *

Note

* Basti dire, a riprova della vitalità postuma di cui parlavo sopra, che la Glimmer Graphics nel 1987 pubblicherà anche un'edizione extra-luxe di The Studio, non più in brossura ma cartonato e con una custodia protettiva, limitata a sole quaranta copie firmate dai quattro artisti. 

The Studio Section One - Barry Smith /6

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Nota introduttiva: Pochi giorni fa la Section Six di The Studio è giunta al suo epilogo con il post numero 10. Nel frattempo ho anche pubblicato un nuovo post, l'undicesimo, della Section Three dedicata a Bernie Wrightson. Mi mancava ancora, per chiudere il discorso per il 2018, un ultimo capitolo relativo alla Section One su Barry Smith. Diviso in due parti unicamente per ragioni di lunghezza, la parte che presento in questo primo post riprende e approfondisce elementi già trattati in precedenza, ma che ritengo necessario riproporvi come premessa al seguito dell'articolo.


* * *


A dispetto della sua crescente insofferenza per il modo di operare della Marvel (date di consegna, tempi di pagamento... quasi tutto, temo) Barry agì sempre da consumato professionista per tutto il tempo della nostra collaborazione all'adattamento delle storie barbariche di Robert E. Howard. In compenso, il crescente impegno che lui metteva in ogni albo stava avendo un costo. I mesi non diventano più lunghi, le scadenze di lavoro non si allontanano nel tempo solo perché un artista decide di rendere le sue vignette sempre più meditate, sempre più ricche di dettagli. A Barry, in realtà, doveva piuttosto sembrare che il tempo tra un albo e l'altro diventasse sempre più ristretto. Forse rimpiangeva i tempi in cui Conan the Barbarian arrancava con la sua periodicità bimestrale, prima che il successo di vendite motivasse l'editore Martin Goodman - senza consultare l'assillato artista, o lo sceneggiatore/redattore associato (io) e forse neanche il redattore capo Stan Lee - a riportare l'albo alla periodicità mensile con il numero 16.

Queste parole di Roy Thomas provengono dall'introduzione al quarto volume di The Chronicles of Conan, l'edizione Dark Horse di tutte le storie, ricolorate in digitale, apparse sul periodico Marvel Conan the Barbarian nel suo lungo arco di vita.

Barry Windsor-Smith, Belît (1974).
Ancora pochi paragrafi, e Roy Thomas entra poi nei dettagli della storia che apre il volume - The Shadow of the Vulture, ripresa da Conan the Barbarian #23  del febbraio 1973 - e della creazione di Red Sonja, che in questa storia fa la sua prima apparizione:

Era da un po' che volevo inserire una donna guerriera negli anni della giovinezza di Conan, un'equivalente delle piratesse Belît e Valeria, che lui avrebbe però entrambe incontrato in anni più tardi. Sapevo anche che colore di capelli doveva avere questa sua nuova compagna d'avventure; Belît aveva capelli nero corvino, Valeria era bionda... così la nuova donna doveva essere una rossa.
Mi piacerebbe poter dire che avevo ormai una tale familiarità con l'opera di Howard extra-Conan da aver subito pensato a The Shadow of the Vulture... ma la verità è che fu un ammiratore di Conan di nome Allan Howard - senza nessuna parentela conosciuta con Robert E. - a indirizzarmici.

Allan Howard aveva infatti scritto un articolo, "Conan on Crusade" - sulla narrativa di R.E. Howard ambientata appunto nel periodo delle crociate o subito dopo - che Roy Thomas aveva avuto modo di leggere nel volume The Conan Sword-Book di L.Sprague de Camp,  raccolta di articoli apparsi sulla fanzine specializzata Amra. Così si conclude il paragrafo d'articolo che tratta di The Shadow of the Vulture:

Von Kambalch, a volte in tempi diversi in simultanea, se la spassava e combatteva, in entrambi i casi magnificamente, in compagnia di una gattina russa dai capelli rossi che sarebbe stata la compagna ideale di Conan. In realtà, avrebbe potuto perfino essere un po' troppo per lui.

Ne fui conquistato all'istante - continua Roy Thomas -. Questo personaggio, che Allan chissà perché non citava per nome, sembrava chiedere di diventare parte della saga di Conan. Così mi misi subito in contatto con Glenn Lord, l'agente letterario che curava gli interessi della REH Estate [a cui la Marvel pagava all'epoca 200 dollari ad albo], che mi inviò le fotocopie di The Shadow of the Vulture.
Vidi così che il nome del personaggio era Red Sonya di Rogatino, e che nella storia era la sorella gemella guerriera di Sophia, un personaggio storico reale dei tempi dell'assedio, un'amante dello stesso Solimano, se ricordo bene. Amai la storia, amai il personaggio, e amai il nome.

Che lui muta però in Red Sonja, per sottolineare che il personaggio delle sue avventure di Conan non corrispondeva al 100% a quello creato da Robert E. Howard per una storia di genere diverso ambientata in un'epoca diversa.
Sebbene, in realtà - precisa Thomas - quel che Conan e Red Sonja fanno nella storia a fumetti ricalchi al 99% ciò che von Kambalch e Red Sonya fanno nel racconto di Howard.

La sexy evoluzione del costume di Red Sonja negli anni '70.
Barry Smith, dal canto suo, si mostra entusiasta sia della storia che della nuova "fiamma" del giovane Conan, protagonista con lui di una delle migliori storie in assoluto del ciclo di Roy Thomas e Barry Smith (del ciclo di Conan in generale, quindi), anche comprensiva però di una pagina, la quinta, che non è opera di Smith ma di Sal Buscema, che nel resto della storia fa solo da inchiostratore.


Quando ricevetti la prima mandata di tavole - spiega Roy Thomas -, la sua [di Barry Smith] introduzione di Mikhal Oglu era una vignetta a campo medio di lui che parla al principe Yezdigerd, in quella che è poi diventata la pagina 6. Mi sembrava un'introduzione dell'Avvoltoio troppo poco drammatica, così mi misi alla scrivania e scrissi una nuova pagina 5 con sei vignette da far precedere a quella di Barry. Inviai lo scritto con il resto delle pagine all'inchiostratore Sal Buscema, lui stesso un disegnatore nient'affatto male... che la disegnò e la inchiostrò. Il risultato è l'unica pagina della serie di albi di Conan di Barry a cui lui non abbia messo mano.

Nel frattempo, però, Barry Smith, di crisi in crisi, aveva deciso, e stavolta sul serio, di smettere di disegnare gli albi di Conan the Barbarian. L'ultimo suo numero è il 24, che presenta nelle sue pagine The Song of Red Sonja, altra storia capolavoro che affianca per la seconda volta a Conan la guerriera rosso chiomata. Testi a parte, che restano appannaggio di Roy Thomas, per il resto Barry Smith richiede e ottiene di fare tutto da solo: disegno, inchiostrazione, colorazione (dopo che già da tempo aveva ottenuto di poter realizzare di sua mano le grafiche dei titoli).

Accadde così che un giorno Stan Lee chiamò Roy Thomas nel suo ufficio, per chiedergli quale sarebbe stato, secondo lui, il futuro di Conan the Barbarian senza più Barry Smith.

Penso che vinceremo un po' meno awards e che venderemo più albi,

gli rispose Thomas. E così andò: i premi della critica uscirono di scena, mentre in compenso le vendite degli albi della collana raggiunsero e mantennero, ancora per un paio di anni, un apice.


Le prime tre vignette della famigerata pagina 6 di The Song of Red Sonja
nella versione (censurata) di Conan the Barbarian #24 (in alto)
e nella versione disegnata in origine da Barry Smith (in basso).


Ma come sapete, o dovreste sapere, se avete letto con attenzione tutta la Section One di The Studio, non era ancora finita. Roy Thomas e Barry Smith si erano già accordati per realizzare insieme Red Nails e allo stesso tempo resuscitare, a due anni e mezzo di distanza, Savage Tales, il magazine in bianco e nero (e non soggetto alle censure della Comics Code Authority) che l'editore Martin Goodman aveva scelto di chiudere dopo un solo numero. Molte cose erano infatti cambiate da allora: la Marvel era stata acquistata da un colosso editoriale e Stan Lee da caporedattore era diventato editore, lasciando il suo posto vacante proprio a Roy Thomas.
E di nuovo, la meticolosità di Barry Smith - unita alle vicissitudini esistenziali delle quali senza dubbio lui non faceva parola al suo sceneggiatore - crea ritardi nelle date di consegna, al punto da costringere Roy Thomas a ricorrere a un altro disegnatore, Pablo Marcos, per completare i disegni e le chine delle ultime tre-quattro pagine della prima parte di Red Nails.
Meglio andarono le cose con la seconda parte, grazie ai quattro mesi di separazione tra il secondo e il terzo numero di Savage Tales. Al punto che Barry Smith si concesse anche il lusso di adattare la poesia di Howard Cimmeria, sebbene variandola, con grande costernazione di Roy Thomas, in un paio di punti.

Se non fosse stato per la difficoltà di reperire lo stesso carattere tipografico usato da Barry - ricorda Thomas - lo avrei probabilmente costretto a ritornare sui suoi passi. C'è un limite a tutto.

Dopo i primi cinque numeri, poi, a Savage Tales viene affiancata una nuova rivista, The Savage Sword of Conan, tutta dedicata a Conan e più in generale al mondo di R.E. Howard, mentre Savage Tales ritorna alla formula proposta nel suo primo numero, senza Conan e con Ka-Zar come personaggio principale.

Non fu tuttavia per niente facile, per la Marvel di Stan Lee, rinunciare nei suoi albi al binomio Barry Smith-R.E. Howard, e si cercò per questo di mantenerlo in vita il più a lungo possibile, anche dopo la fuga verso altri lidi dell'ormai celebre artista anglo-americano. Vedremo come nella seconda parte di questo articolo, il Capitolo settimo e ultimo della Section One.


* * *

The Studio - Complete Comics Chronology XVI: 1972/VI - 1973/I


Barry Windsor-Smith: Cover
Ragnarok #3 - Fandom Enterprises, 1972 (Fanzine)
Editors: Mark Collins; Eli Friedman
Jeffrey Catherine 'Jeff' Jones: "Dingus Kan" (1 pg.) + "Courting Death" (1 pg.)
Swank - Hearst Communications, Inc., November 1972 (Magazine)
Editor: Jay Fielden
Bernard Albert 'Bernie' Wrightson: Partial inking on "Slaves of the Mahars" pg 1 and 2
Weird Worlds #2 - DC, November 1972 (Comic-book)
Editor: Dennis O'Neil
Writer: Len Wein
Penciler: Alan Weiss
Inker: C. Bunker
Barry Windsor-Smith: Cover + "The Monster of the Monoliths!" (20 pg)*
Conan the Barbarian #21 - Marvel Comics Group, December 1972 (Comic-book)
Editor: Roy Thomas
Writer: Roy Thomas
Inkers: Dan Adkins; Sal Buscema; P. Craig Russell; Val Mayerik; Mark Kersey
* With: P. Craig Russell; Val Mayerik
Michael William 'Mike' Kaluta: Cover + Title page (1 pg)*
Forbidden Tales of Dark Mansion #8 - DC, December 1972 (Comic-book)
Editor: Joe Orlando; E. Nelson Bridwell
Writer: E. Nelson Bridwell (*)
Bernard Albert 'Bernie' Wrightson: Cover + Title page (1 pg.)
House of Mystery #209 - DC, December 1972 (Comic-book)
Editors: Joe Orlando; E. Nelson Bridwell
Bernard Albert 'Bernie' Wrightson: Cover
House of Secrets #103 - DC, December 1972 (Comic-book)
Editors: Joe Orlando; E. Nelson Bridwell
Writer: E. Nelson Bridwell
Michael William 'Mike' Kaluta: "Gathering Tarel" (7 pg.)
Korak, Son of Tarzan #49 - DC, December 1972 (Comic-book)
Editor: Joe Kubert
Writer: Len Wein
Jeffrey Catherine 'Jeff' Jones: Idyl (1 pg.)
National Lampoon #33 - NL Communications, Inc, December 1972 (Magazine)
Editors: Doug Kenney, Henry Beard
Michael William 'Mike' Kaluta: Cover
Adventure Comics #425 - DC Comics, January 1973 (Comic-book)
Editors: Joe Orlando; E. Nelson Bridwell
Barry Windsor-Smith: Cover + "The Coming of Conan" (19 pg)* + Pin-up
Conan the Barbarian #22 - Marvel Comics Group, January 1973 (Comic-book)
Editor: Stan Lee
Writer: Roy Thomas
Inker: Dan Adkins
* Reprint from Conan the Barbarian #1
Michael William 'Mike' Kaluta: Cover
Detective Comics #431 - DC, January 1973 (Comic-book)
Editor: Joe Orlando; E. Nelson Bridwell
Writer: E. Nelson Bridwell
Michael William 'Mike' Kaluta: Cover
House of Mystery #210 - DC Comics, January 1973 (Comic-book)
Editors: Joe Orlando; E. Nelson Bridwell
Michael William 'Mike' Kaluta: "Terror from the Sky!" (6.5 pg.)
Korak, Son of Tarzan #50 - DC, January 1973 (Comic-book)
Editors: Joe Kubert; Jeff Rovin
Writer: Len Wein
Bernard Albert "Bernie" Wrightson: Cover + "The Man Who Wanted Forever" (24 pg)
Swamp Thing #2 - DC Comics, January 1973 (Comic-book)
Editors: Joe Orlando; E. Nelson Bridwell
Writer: Len Wein
Barry Windsor-Smith: "The Shadow of the Vulture!" (21 pg)
Conan the Barbarian #23 - Marvel Comics Group, February 1973 (Comic-book)
Editor: Roy Thomas
Writer: Roy Thomas
Inkers: Sal Buscema; Dan Adkins; Chic Stone
Michael William 'Mike' Kaluta: Title page
Forbidden Tales of Dark Mansion #9 - DC, February 1973 (Comic-book)
Editors: Joe Orlando; E. Nelson Bridwell
Bernard Albert "Bernie" Wrightson: Cover + Title page
House of Mystery #211 - DC Comics, February 1973 (Comic-book)
Editors: Joe Orlando; E. Nelson Bridwell
Jeffrey Catherine 'Jeff' Jones: Idyl (1 pg.)
National Lampoon #35 - NL Communications, Inc, February 1972 (Magazine)
Editors: Doug Kenney, Henry Beard
Michael William 'Mike' Kaluta: "The Spawn of Frankenstein part I" (7.5 pg)
The Phantom Stranger #23 - DC Comics, February 1973 (Comic-book)
Editors: Joe Orlando; E. Nelson Bridwell
Writer: Marv Wolfman

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* * *

Note

Tutte le citazioni di Roy Thomas provengono da The Chronicles of Conan Volume 4, Dark Horse 2004.

L'immagine di apertura del post è: Barry Windsor-Smith, The Last Atlantean (1981, detail).

The Studio Section One - Barry Smith /7

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Nonostante alla Marvel la preoccupazione principale rimanesse il fare cassa, perdere Barry Smith, che da questo punto di vista incideva poco o niente, non fu comunque del tutto indolore. Stan Lee, che sapeva pur riconoscere un talento artistico quando gliene ne capitava uno sottomano, l'avrebbe voluto a vita nella sua casa editrice, e la nuova rivista, Savage Sword of Conan, nasceva già orfana del suo nome più prestigioso.
Unica soluzione possibile, in mancanza di alternative, si rivelò dare avvio a una serie di recuperi - un paio dei quali veri e propri contentini - il cui primo atto consistette nella pubblicazione, nel numero 3 di Savage Sword del dicembre 1974, di una selezione di otto pagine tratte da un progetto abortito del duo Thomas-Smith: un paperback a fumetti dedicato alla giovinezza di un altro personaggio nato come Conan dalla penna di Robert Ervin Howard, King Kull. Il progetto, come appare subito chiaro dai disegni, risale al periodo iniziale della collaborazione tra i due, ma la qualità è tale da far comunque rimpiangere che non abbia avuto un esito positivo.


La seconda e le settima delle otto tavole proposte su The Savage Sword of Conan #3.


Altri due recuperi - quelli che poco sopra ho definito contentini - appaiono sui numeri 7 e 13 della collana, rispettivamente dell'agosto 1975 e del luglio 1976.

In particolare, nel numero 7 viene riproposta, in bianco e nero e con un diverso montaggio delle vignette, una pagina (quella qui a sinistra) già apparsa nel gennaio 1973,  a colori, su Conan the Barbarian #22, e lì presentata come un esercizio di riscaldamento di Barry Smith, risalente a due-tre anni prima. In Savage Swordè invece utilizzata a commento visivo di una poesia di R.E. Howard dal titolo Versi scritti nella consapevolezza che devo morire (in basso a sinistra).
Ma già nella sua prima versione a colori, la pagina servì da contentino, o meglio ancora da consolazione ai lettori di Conan the Barbarian, dopo che tredici tavole di The Shadow of the Vulture (la storia prevista in origine per il numero 22) andarono perdute a causa di un disservizio postale e al suo posto venne riproposta The Coming of Conan, dal primo numero della collana.



Nel numero 13 trovano invece posto una illustrazione (qui sopra a destra) e alcuni schizzi del primo Smith, a corredo di un articolo di Fred Blosser intitolato "When the Little People Strike": un'introduzione a tre importanti racconti di R.E. Howard - The Children of the NightPeople of the Dark e Worms of the Earth* - che lo stesso Blosser riunisce, insieme ad altri due racconti minori - The Little People e The Secret of Lost Valley** - in un ciclo howardiano "del Piccolo Popolo".

E proprio al racconto Worms of the Earth è riferibile un altro dei possibili epiloghi del primo periodo di permanenza di Barry Smith alla Marvel, con la pubblicazione, nei numeri 16 e 17 di The Savage Sword of Conan (del dicembre 1976 e febbraio 1977), di un adattamento della storia che nelle intenzioni originali avrebbe dovuto proseguire il discorso inaugurato quattro anni prima con Red Nails. L'artista disegnò però alla fine soltanto una manciata di tavole, forse una decina su un totale di trentotto, prima di lasciar perdere ogni cosa. Toccherà così a un altro artista, Tim Conrad, disegnare le tavole mancanti e inchiostrare il tutto.
Conrad ha studiato a fondo la lezione del suo predecessore e il risultato finale è più che dignitoso, ma già la visione della doppia pagina di apertura da sola, lascia immaginare le meraviglie che avrebbe potuto regalare questa storia se fosse rimasta per intero nelle mani di Smith.




Rimane tuttavia da citare ancora un'opera, che è veramente l'ultima del primo periodo Marvel di Smith: un'altra immagine di Conan, sganciata però stavolta dalle pagine a fumetti. Realizzata nel 1974 per il Mighty Marvel Calendar 1975, primo di una serie di calendari con gli eroi Marvel arrivata al 1981, l'illustrazione accompagna la pagina di maggio, mese di nascita dell'artista (vedi, in basso a sinistra, la casella del giorno 25).




E a lui direttamente lascio l'onere di commentare l'immagine (e il calendario):

Nonostante le pecche, c'è qualcosa di accattivante in quest'opera. La usarono per il Calendario Marvel 1975, che oggi presumo sia un pezzo da collezione. Ma si trattò, in realtà, di una produzione frettolosa. Impiegarono dei caratteri ombreggiati per il titolo, ma non avendo a disposizione il 9 sul foglio Letraset usarono un 6 rovesciato, il che significa che l'ombra del presunto 9 è invertita. La trovo una cosa imbarazzante. Uno immagina che avrebbero dovuto arrivarci... che razza di coglioni!***




E proprio la parte conclusiva del commento di Smith che avete appena letto: ...what wankers! mi ispira a congedarmi da voi, anche stavolta, con un grazioso aneddoto finale.
E' di nuovo Roy Thomas che parla, a proposito di un tiro che gli giocò Barry Smith in fase di produzione della storia The Song of Red Sonja:

[Realizzare questa storia] fu un vero spasso, con così tanti simboli fallici nella seconda metà da poterci brindare su con una bottiglia di viagra. Mentre nella prima parte, il Comics Code ci obbligò a cambiare alcuni dettagli della sesta pagina...
...a pagina 3 fui vittima di uno scherzetto di Barry, che mi chiese di far sì che una persona, nella quarta vignetta, si rivolgesse a un'altra con l'appellativo "wank". A quel tempo, questa parola dello slang inglese che sta per "masturbazione" (o "uno che si masturba") non era ancora di uso comune negli Stati Uniti e io non la conoscevo. Fui comunque abbastanza sospettoso da chiedere a Barry di avere la sua assicurazione che quel termine non ci avrebbe causato problemi perché in Inghilterra era una parola sporca. Lui insistette che non lo era. Mi fidai, e presto seppi (grazie a una lettera dall'Inghilterra) che ero stato giocato. Naturalmente mi infastidì scoprire che Barry mi aveva mentito, e da quel giorno, se lui mi dice che il cielo è blu, prima apro la finestra e guardo fuori.****


* * *

The Studio - Complete Comics Chronology XVII: 1973/II


Michael William 'Mike' Kaluta: Cover
Star Spangled War Stories #167 - DC, February 1973 (Comic-book)
Editor: Archie Goodwin
Michael William 'Mike' Kaluta: Cover
Strange Adventures #240 - DC, February 1973 (Comic-book)
Editor: Julius Schwartz
Michael William 'Mike' Kaluta: Title page (Destiny)
Weird Mystery Tales #4 - DC Comics, February 1973 (Comic-book)
Editors: Joe Orlando; E. Nelson Bridwell
Writer: E. Nelson Bridwell
Barry Windsor-Smith: "The Song of Red Sonja" (20 pg)
Conan the Barbarian #24 - Marvel Comics Group, March 1973 (Comic-book)
Editor: Roy Thomas
Writer: Roy Thomas
Colorist: Barry Windsor-Smith
Michael William 'Mike' Kaluta: Cover
House of Mystery #212 - DC Comics, March 1973 (Comic-book)
Editors: Joe Orlando; E. Nelson Bridwell
Bernard Albert "Bernie" Wrightson: Cover + Title page
House of Secrets #106 - DC Comics, March 1973 (Comic-book)
Editors: Joe Orlando; E. Nelson Bridwell
Jeffrey Catherine 'Jeff' Jones: Idyl (1 pg.)
National Lampoon #36 - NL Communications, Inc, March 1973 (Magazine)
Editors: Doug Kenney, Henry Beard
Bernard Albert "Bernie" Wrightson: Cover + "The Patchwork Man" (23 pg)
Swamp Thing #3 - DC Comics, March 1973 (Comic-book)
Editors: Joe Orlando; E. Nelson Bridwell
Writer: Len Wein
Michael William 'Mike' Kaluta: Cover
Sword of Sorcery #1 - DC Comics, March 1973 (Comic-book)
Editor: Denny O'Neil
Michael William 'Mike' Kaluta: Cover
Weird War Tales #12 - DC Comics, March 1973 (Comic-book)
Editors: Joe Orlando; E. Nelson Bridwell
Michael William 'Mike' Kaluta: Cover* + "Jubal the Ugly One" (12 pg)
Weird Worlds #4 - DC Comics, March 1973 (Comic-book)
Editor: Denny O'Neil
Writer: Denny O'Neil
Inker: Joe Orlando (*)
Michael William 'Mike' Kaluta: Cover
Batman #248 - DC Comics, April 1973 (Comic-book)
Editor: Julius Schwartz
Michael William 'Mike' Kaluta: Cover
Detective Comics #434 - DC Comics, April 1973 (Comic-book)
Editor: Julius Schwartz
Michael William 'Mike' Kaluta: Title page
Forbidden Tales of Dark Mansion #10 - DC, April 1973 (Comic-book)
Editors: Joe Orlando; E. Nelson Bridwell
Bernard Albert "Bernie" Wrightson: Cover
House of Mystery #213 - DC Comics, March 1973 (Comic-book)
Editors: Joe Orlando; E. Nelson Bridwell
Michael William 'Mike' Kaluta: "Mutiny at Sea" (6+1/3 pg.)
Korak, Son of Tarzan #51 - DC, April 1973 (Comic-book)
Editors: Joe Kubert; Allan Asherman
Writer: Len Wein
Jeffrey Catherine 'Jeff' Jones: Idyl (1 pg.)
National Lampoon #37 - NL Communications, Inc, April 1973 (Magazine)
Editors: Doug Kenney, Henry Beard
Michael William 'Mike' Kaluta: "The Spawn of Frankenstein part II" (5.5 pg)
The Phantom Stranger #24 - DC, April 1973 (Comic-book)
Editors: Joe Orlando; E. Nelson Bridwell
Writer: Marv Wolfman
Michael William 'Mike' Kaluta: Title page
Secrets of Sinister House #11 - DC, April 1973 (Comic-book)
Editors: Joe Orlando; E. Nelson Bridwell
Writer: Marv Wolfman
Jeffrey Catherine 'Jeff' Jones: Cover + 4 illustrations + 9 comic stories
Spasm! - Last Gasp, April 1973 (Comic-book)

Clicca sulla scritta blu per vedere in grande formato, se disponibili, copertine e pagine interne degli albi in lista.



* * *

Note al testo

* Pubblicati per la prima volta, nell'ordine, su Weird Tales dell'aprile 1931, Strange Tales del giugno 1932, e Weird Tales del novembre 1932, i tre racconti sono stati di recente ristampati in italiano in Urania horror n. 8 (I figli della notte e Il popolo delle tenebre) e Urania horror n. 10 (Vermi della terra). Mondadori, febbraio e novembre 2015. Traduzioni di Laura Serra.

** Apparsi in origine in Coven 13 del gennaio 1970, e Startling Mystery Stories della primavera 1967, sono stati ristampati in Urania horror n. 8 (Il piccolo popolo) e Urania horror n. 10 (La valle perduta).

*** Barry Windsor-Smith, Opus volume 2. Fantagraphics Book, 2000. Pag. 70.

**** The Chronicles of Conan Volume 4, Dark Horse 2004.

L'immagine di apertura del post è di Barry Windsor-Smith ed è un dettaglio della copertina di Conan Saga #4 (Marvel Comics Group, august 1987).

Ricordo breve di Guido Ceronetti

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Interrompo brevemente la mia pausa estiva dopo aver sentito oggi alla televisione della scomparsa, all'età di 91 anni, del filosofo e scrittore Guido Ceronetti - il "fustigatore mite", come lo ha ben definito il curatore del servizio del TG1, accostando insieme l'uomo, pacifico e vegetariano, e lo scrittore, l'acceso polemista dal pensiero libero e quasi sempre contro corrente. Affioratomi subito alla mente, all'apprendere la notizia, il ricordo di uno scambio di parole che ebbi con lui un pomeriggio di quasi venti anni fa, mi è venuto adesso voglia di condividerlo con i lettori di questo blog così come mi è rimasto inciso nella memoria.
Lavoravo, all'epoca, come commesso in una libreria del centro di Firenze visitata occasionalmente da Ceronetti, in veste di cliente. Ma non di acquirente di libri, che aveva tutta l'aria di non potersi permettere, bensì di biglietti illustrati, di quelli che presentano un aforisma più o meno celebre accompagnato da un'immagine più o mena bella e pertinente.
Caso volle che quel giorno, in quell'ora del pomeriggio, io fossi completamente da solo in libreria, senza né colleghi  né clienti intorno a me, e avessi approfittato della circostanza per immergermi nella lettura dell'introduzione di Guido Almansi all'edizione BUR de L'arcobaleno della gravità di Thomas Pynchon. E caso ancora volle che Ceronetti facesse il suo ingresso proprio dopo che avevo appena letto di lui nell'introduzione di Almansi, dove, se la memoria non mi inganna, si faceva un confronto tra l'apocalittismo postmoderno di Pynchon e quello di Ceronetti, tutto a svantaggio di quest'ultimo.
"Sa che ho appena letto male di lei?" dissi a Ceronetti dopo il normale scambio di saluti.
"Nell'introduzione a questo libro", gli spiegai mostrandogli L'arcobaleno della gravità, che lui mi fece capire di non conoscere minimamente.
Quando poi però gli dissi chi era l'autore dell'introduzione, allora il suo volto si accese della luce della comprensione. "Ah! Almansi!" replicò, all'apparenza più divertito che adirato. "Sì, questo tipo ce l'ha sempre con me, anche se non ho mai capito bene il perché".
Così io avevo subito immaginato che Ceronetti, a quel punto, mi avrebbe chiesto di leggergli il passo incriminato, anche solo per sapere cosa si diceva in giro di lui. Invece... niente, sorvolò come se nulla fosse e si diresse come sempre all'espositore dei biglietti illustrati per cercare quello che più gli aggradava in quel momento. E sarei stato anche pronto a scommettere che aveva già rimosso dalla memoria ogni ricordo della parvenza del libro che gli avevo mostrato.   

The Pleasure of Pain II - Breve invito alla seconda parte dello Speciale

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Fra una settimana esatta prenderà il via la seconda parte dello speciale The Pleasure of Pain, parte che ambisce a proseguire il discorso sul rapporto tra piacere e dolore avviato a maggio sul blog The Obsidian Mirror ma da un punto di vista diverso, in un certo senso rovesciato, perché se allora tutto ruotava attorno al tema del masochismo, stavolta l'accento cadrà invece su quello che può essere considerato, con un po' di approssimazione, il suo opposto e complementare: il sadismo. I confini tra questi due differenti regni dell'esperienza erotica, sempre in bilico tra immaginazione e realtà, sono in realtà tutt'altro che netti (tanto è vero che compaiono spesso compresi insieme nel termine unico di "sadomasochismo"), ma si può comunque considerare allo stesso tempo valida la distinzione di principio tra il ricavare piacere dal ricevere dolore proprio del masochismo e il ricavare piacere dal dare dolore peculiare al sadismo.

E tuttavia, al di là di questa distinzione basilare, che potremmo definire di dominio pubblico, ne esistono altre, meno immediate ma non per questo meno fondamentali. Per cominciare, l'esperienza del masochismo prevede sempre, tra le parti in gioco, una relazione di tipo consensuale, e basterebbe il venir meno di questa a farla subito sfociare nel sadismo. Si tratta cioè, nei due casi, del contrasto tra una affermazione e una negazione apparenti (o comunque limitate) tipiche del masochismo e una affermazione e una negazione reali tipiche del sadismo, per mezzo delle quali il sadico si afferma come una totalità che non accetta la costrizione di alcun limite interiore o esteriore. Nei termini di Maurice Blanchot (e di Georges Bataille), il sadico è l'Unico, e il suo esercizio è quello di una sovranità illimitata che ottiene dalla sua controparte la stessa obbedienza cieca dovuta al dominatore o alla dominatrice nel masochismo, ma sempre attraverso la forza e in modo criminoso. E sempre sentendosi nel diritto di superare ogni possibile limite nella quantità e durata di dolore da infliggere, così che la condizione della vittima nel sadismo è, al di là delle apparenze, la più lontana immaginabile dalla condizione del soggetto dominato nell'esperienza masochistica.

Vero è che anche l'agente sadico è spesso e volentieri disponibile ad accogliere a sua volta su di sé una certa parte di dolore, più o meno elevata a seconda delle preferenze individuali, ma ciò che lo separa senza eccezioni dal masochista è l'assenza di una qualsiasi dimostrazione di sottomissione: cura sempre lui di persona ogni dettaglio del quadro e il suo "padrone" non è in realtà che un burattino nelle sue mani, oltre che, in molti casi, la sua futura vittima designata. Se il sadico prova piacere nell'essere oggetto di violenza, è solo nei tempi e modi da lui stabiliti e guai se il suo momentaneo, e non volontario, carnefice si azzardasse a decidere qualcosa di sua iniziativa: ne pagherebbe subito le conseguenze.

Su questi temi qui solo accennati, e altri ancora, si appunterà, nel corso di questo Speciale, la mia personale indagine sul marchese de Sade e sulla sua prodigiosa creazione letteraria, grande come un mondo e tesa come un arco tra il mostruoso e la soglia del sublime. Prenderò, per condurla, le mosse da alcuni spunti offerti dai già citati Blanchot e Bataille, e da altri autori ancora, tra i quali il grande Pierre Klossowki, ma mi baserò soprattutto, per mantenere uno sguardo il più possibile personale, sulle opere dello stesso Sade. E non potendo certo io ripassarmi, in neanche due mesi, tutta la sterminata produzione dello scrittore, ho scelto di concentrarmi su tre opere che ricordavo tra le più adatte al mio scopo. Oltre naturalmente a La filosofia nel boudoir, mi sono riletto in particolare La nuova Justine, versione ampliata di molte pagine del più noto Justine o le sventure della virtù, e Le centoventi giornate di Sodoma, al cui titolo si ispira, manco a dirlo, quello della presente parte di Speciale.
Inoltre, proprio come a maggio, anche stavolta si avrà a che fare con un lavoro collettivo, che vede coinvolti, insieme a me, un certo numero di guest-blogger, tutti (con una sola ma molto sfumata eccezione) già presenti allora con uno o più articoli. Li trovate tutti elencati nel banner in alto.
Mentre riguardo alla logica che ho seguito nella pubblicazione dei rispettivi post, è stata di distribuire gli stessi lungo l'arco delle quaranta giornate - a loro volta equamente divise tra i due mesi di ottobre e novembre - in modo tale da iniziare con gli articoli di carattere più letterario e spostarmi poi man mano verso le altre modalità espressive, fino ad arrivare ad avere la seconda ventina di giorni, quella del mese di novembre, tutta dedicata al cinema.

E adesso, prima di chiudere e mantenere così fede al titolo del post, due parole sulle due ragioni della mia scelta dei quaranta giorni di durata dello Speciale al posto dei "normali" trenta. La prima è puramente fonetica, nel senso che in qualche modo Le quaranta giornate di Sade all'orecchio mi suona meglio de Le trenta giornate di Sade; la seconda, meno di superficie, ha invece a che vedere con la circostanza che Sade ha fondato l'architettura di quel prodigioso edificio letterario che è Le centoventi giornate di Sodoma tutta o quasi sulla base del numero quattro e dei suoi multipli.
Salga dunque a bordo chiunque abbia il piacere e il coraggio di imbarcarsi in quest'avventura forse non proprio per tutti, un lungo viaggio su un mare tempestoso che ci terrà compagnia fin quasi alla soglia d'inizio del sesto anno di vita di Cronache del tempo del Sogno. Vi raccomando solo di equipaggiarvi a dovere, contro le onde alte e il mal di mare!


Foto da un allestimento di Madame de Sade di Yukio Mishima (Teatro Stabile di Torino, 1986).

The Pleasure of Pain II: Dal sadismo a Sade /1

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Léonor Fini, L'ange de la anatomie (1949)
Chiedo che sulla mia fossa vengano seminate delle ghiande, affinché in seguito il terreno della suddetta non resti sguarnito e il bosco torni a essere bello come prima: in tal modo le tracce della mia tomba scompariranno dalla faccia della terra come mi auguro che il ricordo di me si cancelli della memoria degli uomini.
(Dal testamento del marchese de Sade)


Doppiamente beffato perciò il marchese de Sade, se teniamo fede a questa citazione, visto che il suo nome non solo è stato accolto laddove gli compete di diritto, la storia della letteratura da un lato e dell'erotismo dall'altro, ma pure, declinato a sua volta in un -ismo, all'interno di una disciplina che, beffa delle beffe, ha come obbiettivo il bene dei singoli individui e, di riflesso, della società tutta. Questo almeno a partire dal 1886, anno di pubblicazione di Psychopathia sexualis, nelle cui pagine lo psichiatra tedesco Richard von Krafft-Ebing propone per la prima volta il termine "sadismo", all'interno di un catalogo di perversioni sessuali che comprendono il masochismo (un altro derivato da nome proprio, o deonimo, per dirla con Lucius Etruscus), il feticismo, il voyeurismo, l'esibizionismo, il frotteurismo, la ninfomania, la zoofilia, la necrofilia, la gerontofilia, la masturbazione compulsiva e la pedofilia. Inizialmente von Krafft-Ebing vi aveva incluso anche l'omosessualità, per poi però cambiare opinione e derubricarla, nelle edizioni più tarde, dall'elenco delle parafilie. E si tratta di un passaggio fondamentale, non solo dal punto di vista della morale sessuale, ma anche ai fini di una diversa definizione del rapporto tra sessualità ed erotismo, sempre variabile in base alle normi sociali caratteristiche di un paese e di un'epoca. Una distinzione tra le sfere della sessualità e dell'erotismo è in realtà altrettanto sfumata di quanto può esserlo quella tra erotismo e pornografia, ma si è rivelata comunque necessaria all'elaborazione di un adeguato modello concettuale dell'erotismo, del genere di quello che troviamo espresso, forse meglio che da qualunque altra parte, nelle pagine de Le lacrime di Eros, opera-testamento del filosofo e letterato francese Georges Bataille (1897-1962), che dell'erotismo ha fatto il suo campo d'indagine privilegiato.
L'erotismo appare, secondo Bataille, in coincidenza dell'acquisizione da parte dell'uomo, in un determinato momento della preistoria, della conoscenza della morte; il che è come dire che l'erotismo nasce con l'uomo, giacché è la consapevolezza di dovere un giorno morire a stabilire se non la prima almeno la più fondamentale di tutte le linee di separazione dall'animale, quella da cui originano tutte le altre, compresa la separazione della sessualità umana dalla sessualità animale. E' infatti dal momento dell'acquisizione di tale consapevolezza che la vita sessuale dell'uomo comincia a trascendere (anche se Bataille parla in realtà di opposizione) quella dell'animale e a far emergere un eccesso di forza e intensità che è esattamente quel "superfluo" che va a formare e alimentare la sessualità umana e in particolare l'erotismo.*


Felix Labisse, La matinée poétique (1944)


L'uomo quindi, come abbiamo appena visto, condivide con l'animale l'esperienza della sessualità ma ha dalla sua l’esclusività dell'esperienza erotica, che dipende a sua volta da un’altra esclusività: la consapevolezza, tipicamente umana, della morte. Per questo, conclude Bataille, non è mai possibile separare del tutto l'esperienza della sessualità umana da quella della morte. O comunque della coscienza della morte. Ed ecco che entra qui in gioco la questione dei tabu attinenti alle sfere della morte e della sessualità e l'esercizio, da parte della società, di una serie di forme di controllo e interdizioni la cui trasgressione è il contenuto stesso dell'erotismo.**
Ma come opera questa trasgressione? Essenzialmente attraverso un'insubordinazione delle forze vitali e la deviazione delle stesse in un senso contrario a quello della costruzione affettiva e/o della perpetuazione e conservazione della specie, che, assieme al lavoro, costituiscono i fondamentali della società. E' dal punto di vista di questo ruolo utilitaristico che la sessualità "animale" - l'eterosessualità in primo luogo, ma poi anche l'omosessualità - diventa bersaglio dell'erotismo. E se è possibile obiettare che l'omosessualità opera in realtà contro-natura nel senso che non è direttamente collegata alla procreazione, è altrettanto possibile ribattere che essa appartiene comunque alla stessa sfera delle forze creative pertinente all'eterosessualità, in quanto artefice di una costruzione affettiva dell'io compatibile con il bene sociale. Per questo, esattamente come l'altra, è materiale "grezzo" dell'erotismo ma al tempo stesso rimane estranea alla gran parte dei suoi eccessi e obiettivi e sicuramente a quelli che richiedono una trasgressione il più possibile sistematica, a tavolino, dei tabu vigenti, per cui non si dà erotismo in assenza di immaginazione e in particolare di una immaginazione che aggiunge mattoni al proprio edificio sottraendoli all'edificio della società, cosicché ogni trasgressione erotica si attualizza attraverso la negazione di qualcosa.
Come ha scritto Alberto Moravia:
...il momento erotico nella cultura, se è accompagnato da consapevolezza, non può che essere distruttivo; e se è inconsapevole non è erotico.***

E poiché, solo una riga prima, Moravia aveva scritto, parafrasando Bataille, che l'erotismo comincia a esistere solo dal momento del passaggio dal livello della natura a quello della cultura, la sua frase, spogliata di tutte le ridondanze, si può ridurre a questa semplice affermazione: L'erotismo non può che essere distruttivo.


Cedric Tanguy, La Fusée de détresse (2007)


Torniamo così alla lista di perversioni comprese in Psychopathia sexualis e vediamo in che senso possano essere definite distruttive e quindi, anche per questo, pertinenti alla sfera erotica. Prendiamole una per una, tralasciando per il momento il sadismo. Possiamo allora dire che il masochismo neghi l'autonomia di almeno uno dei due soggetti coinvolti; che il feticismo neghi la funzione primaria dell'oggetto (per esempio, una scarpa smette di essere soprattutto qualcosa che protegge e sostiene il piede per assolvere a un'altra funzione); che sia il voyeurismo che l'esibizionismo neghino entrambi, sebbene in modi opposti, i confini stabiliti dal pudore; che il froutterismo neghi, o pretenda di negare, la distanza tra i corpi; che la ninfomania neghi il carattere eccezionale dell'atto sessuale; la zoofila e la necrofilia la naturale separazione tra i regni, rispettivamente umano e animale e della vita e della morte; la gerontologia e la pedofilia i confini temporali dell'esperienza sessuale, nelle due diverse direzioni possibili e, infine, che la masturbazione compulsiva neghi, al pari della sodomia, la relazione tra esperienza orgasmica e generazione.
Si tratta, naturalmente, di un'impostazione prettamente schematica del discorso, ma comunque utile al proseguimento dello stesso e che ci permette inoltre di arrivare finalmente a Sade, il quale si pose a questo riguardo, sebbene non in termini così diretti, la domanda fondamentale se una tale opera di distruzione/negazione andasse a incidere sulla natura, sulla società, su entrambe o magari un po' sull'una e un po' sull'altra. La sua risposta, che altro non è che una conseguenza logica di quello che Pierre Klossowski ne La raison de Sade ha definito l'"ateismo integrale" di Sade (per distinguerlo dalla versione attenuata dell'ateismo, che è quella a noi più famigliare) è che la natura non risente minimamente del loro effetto, il quale va invece tutto a carico della società, nel cui orizzonte vi è solo la vita - perfino quando la sua conservazione o la sua crescita richiedono il sacrificio consapevole di una parte dei suoi membri. Appare quindi ragionevole pensare che essa operi in tal senso in conformità alle leggi della natura, che sotto ogni apparenza mirano agli stessi scopi. Ma Sade la pensa appunto diversamente e si pone, da questo punto di vista, decisamente controcorrente: la natura, dice, non ha preoccupazioni del genere e per lei vita e morte sono sullo stesso piano di valori. Anzi, neanche se l'umanità tutta scomparisse da un giorno all'altro, l'ordine naturale ne uscirebbe turbato, come non ne uscirebbe in nulla scalfito il potere creativo della natura.


Clovis Trouille, Dolmancé et ses fantômes de luxure (1958 – 1965)


Ma è forse anche arrivato il momento di far parlare una delle tante creature di Sade e sentire cosa ha da dire al riguardo il libertino Dolmancé, tra i protagonisti principali de La filosofia nel boudoir, che qui in particolare si riferisce all'atto sodomitico:
E' veramente affascinante far perdere così i diritti di riproduzione e ostacolare in tal modo quelle che i folli chiamano leggi di natura.

Per poi aggiungere, alcune righe dopo:
La riproduzione da parte sua [della natura] non è che una concessione. Come potrebbe aver prescritto per legge un atto che la privi della sua ultrapotenza, dal momento che la riproduzione è solo una conseguenza delle sue prime intenzioni e che nuove ricostruzioni, ricreate dalla sua mano, se la nostra specie si distruggesse completamente, ridiventerebbero intenzioni primarie, il cui atto sarebbe ben più lusinghiero per il suo orgoglio e la sua potenza? ****

Salta subito all'occhio la forte antropomorfizzazione di cui è investita la natura in questo come in altri brani di Sade: la natura concede, prescrive e subisce il fascino della lusinga; ma poiché, come ha sottolineato Bataille (citando Klossowski), non vi è nulla di più vano che prendere sul serio, alla lettera, Sade (da qualunque parte ci si accosti a lui, egli ci è già sfuggito *****), tutto ciò va preso per buono soprattutto come indizio della trasgressione di significato, ruoli e valori operata dall'erotismo. Quello che la mentalità comune (cioè dei folli) chiama legge di natura è in realtà, dal punto di vista di Dolmancé e dei filosofi libertini suoi consimili, uno stravolgimento puramente umano concepito a beneficio della società. Per questo si dà anche la possibilità reale della trasgressione, che si rivela viceversa impossibile nel caso delle leggi della natura, le quali operano a un livello precedente l'emergenza della cultura e di conseguenza dello stesso erotismo.
La trasgressione all'imperativo della procreazione, che Sade assegna d'ufficio a tutti i suoi libertini filosofi, sembra tuttavia almeno veicolare, in forma mascherata (cioè nello stile del marchese) un pensiero che con ogni probabilità gli appartenne davvero, visto il suo costante reiterarsi nei suoi scritti: la sovrappopolazione - frutto di abuso, da parte del genere umano, del momentaneo prestito di forza creatrice concessagli dalla natura - finisce per perdere il suo valore positivo e divenire una iattura per la società (ma non altrettanto, ovviamente, per la natura), al punto da far dire al presidente Curval, uno dei quattro libertini filosofi, e supplizianti, de Le centoventi giornate di Sodoma, che anche qualora fosse introdotta in Francia una presunta legge dell'isola di Formosa, in base alla quale ogni donna rimasta incinta prima dei trent'anni viene pestata in un mortaio insieme al proprio frutto, la sua popolazione sarebbe stata pur sempre il doppio del necessario. E si trattava ancora della Francia di fine Settecento! Sade continuerà del resto ad apparirci più volte, nel corso di questa avventura, e pur nella sua mostruosità, moderno e profetico come adesso.


* * *


* ...l'uomo verosimilmente villoso di Neanderthal aveva la conoscenza della morte. Ed è a partire da questa conoscenza che apparve l'erotismo, che oppone la vita sessuale dell'uomo a quella dell'animale.
In: Georges Bataille, Le lacrime di Eros. Bollati Boringhieri, 2004; pag. 16. Traduzione di Alfredo Salsano.

** Ibid. pag. 17: In verità il sentimento di imbarazzo nei confronti dell'attività sessuale ricorda, almeno in un certo senso, il sentimento d'imbarazzo nei confronti della morte e dei morti.

*** Alberto Moravia, Prefazione a Storia dell'occhio. In: Georges Bataille, Storia dell'occhio. Gremese editore, 1980.

**** La filosofia nel boudoir. Sonzogno, 1986; pag. 72. Trad. di Claudio Rendina.

***** Georges Bataille, La letteratura e il male. SE Edizioni, 1987; pag. 101. Trad. di Andrea Zanzotto.

The Pleasure of Pain II: La filosofia nel boudoir (Max)

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La cosa più difficile è cominciare. Mettere giù le prime righe, articolare il primo discorso.
Avete presente quando si ha tutto bene ordinato nella testa, sapete quello che volete scrivere ma non riuscite a partire?
Le dita cercano le lettere giuste sulla tastiera ma le parole restano ancora purtroppo dentro la testa.
E poi, dopo giorni, la soluzione la trovi davanti a te, c’è sempre stata.
Quante volte restiamo affascinati dalle immagini stampate sulle copertine dei nostri libri, dei nostri dischi o cd?
Quante volte nella mente identifichiamo l’opera con il quadro che la rappresenta?
E così è stato anche questa volta.
L’immagine qui accanto, che l’editore ha scelto per richiamare l’attenzione sull’opera è un particolare di un quadro di Fragonard conservato al Louvre che si chiama Il Chiavistello.
Si vedono due amanti, lei è così sensuale nel modo in cui si abbandona fra le braccia dell’amato e lui è così forte, sicuro di sé. Il braccio dell’uomo è teso e la sua mano sembra pronta a chiudere il chiavistello. A chiudere il resto del mondo fuori della porta.
Ma come tutte le opere che si prestano a libera interpretazione a chi ne resta affascinato, anche questa non sfugge a detta legge.
E io ci ho visto l’azione contraria, ho visto l’intenzione nell’uomo di aprire quel chiavistello. Di voler accompagnarci dentro quel luogo nascosto al nostro sguardo.
Quel luogo che possiamo solo immaginare.
Per de Sade il luogo dove consumare le sue voluttuose passioni libertine questa volta non è la cella di un convento, la segreta di un castello o un’isola inaccessibile ma un più confortevole ambiente domestico.
Il boudoir è lo spazio coperto dal salotto e la camera da letto .
Ed è dentro questo spazio che vi invito ad entrare per conoscere con me i voluttuosi personaggi che lo animano.
Perché non farci travolgere dalle loro passioni anche noi?
Perché non essere, a seconda delle bizzarrie della nostra mente, a volte questo o quel personaggio?
O magari, perché non esserli tutti?

E allora entriamo, amici miei, e spogliamoci dei vestiti come del pudore, che è solo una vecchia virtù contraria alla natura, vera sovrana di tutto.
Andiamo a conoscere la padrona di casa, la bella e voluttuosa Madame de Saint-Ange.
Grande puttana come lei stessa ama definirsi. Ma non nel senso spregiativo del termine.
Le donne che si concedono al piacere di tanti uomini sono solo da ammirare. Una donna, spiega lei, che sia figlia, sposa o vedova, non deve avere altro desiderio che farsi fottere dalla mattina alla sera.
È per questo che la natura l’ha creata.
Ha ventisei anni e ha già conosciuto le perversioni del libertinaggio e adesso vuole insegnarle alla sua giovane allieva, Eugénie.
“I suoi seni sono stupendi, mi stanno in una mano…”, dice Mme de Saint-Ange descrivendo la sua allieva al suo incestuoso fratello, il cavaliere di Mirvel.
“Sapessi quante volte li ho baciati, e avessi visto come si eccitava alle mie carezze. Ha gli occhi color d’ebano, lunghi capelli castani, un incarnato di un colorito splendido. Non so altro ma se devo giudicare da quello che già conosco... mai l’Olimpo ha avuto una dea simile”.
“Ah farabutta come godrai ad educare questa giovane fanciulla! A pervertirla, a corromperla, a distruggere quei falsi principi morali con cui è stata cresciuta”.
Sì, perché è questo il compito dei libertini che compongono questo lussurioso quadro: di istruire la bella Eugénie alla loro dottrina.
“Non inquietarti cara amica: ti farò volare di piacere in piacere , ti sazierò di voluttà, angelo mio!” dice la donna rivolta ad Eugénie.
Ma Mme de Saint-Ange non sarà la sola a istruire la ragazza, oltre al fratello ha chiamato anche Dolmancé, precettore e maestro di lussuria.
Impossibile trovare uomo più adatto a questo compito. È il seduttore più straordinario, l’uomo più corrotto, più pericoloso. Le delizie di Sodoma gli sono care tanto in forma attiva che passiva. Vuole soltanto uomini , ma a volte acconsente a gustare le donne. Solo se, naturalmente, acconsentono alla sua particolare inclinazione e siano compiacenti nel cambiare sesso con lui.
Il cavaliere di Mirvel è il fratello della Saint-Ange, amante sia della sorella che di Dolmancé. Dotato di un membro superbo, preferisce i piaceri con le donne e si concede agli uomini solo se lo affascinano.
“Caro fratello” esclama Mme de Saint-Ange al cavaliere, “Ho scelto per te la vergine più bella dell’amore. A te ho riservato i mirti di Citera e a Dolmancé le rose di Sodoma”.
Ecco amici questa è la presentazione dei quattro personaggi principali su cui ruota tutta la Philosophie.




Dolmancé è l’architetto dei vari quadri, passa dalle lezioni di teoria velocemente alla pratica.
“Lasciate che organizzi questo piacere in modo un po’ lussurioso. Augustin, stenditi sul bordo di questo letto ed Eugénie si corichi fra le tue braccia. Il caro cavaliere che senza dir parola si sta masturbando mentre ci ascolta si sistemi sopra le spalle di Eugenie. In modo che possa baciare le sue belle natiche. E voi signora, rivolgendosi alla Saint-Ange, voglio che dopo esser stato vostro marito, voglio che diveniate il mio”.
Augustin è il servo della Saint-Ange e il suo ruolo è marginale. O meglio, è uno strumento importante per l’educazione libertina da impartire alla bella Eugénie, ma a parer mio nella struttura del racconto non ha più importanza dei preziosi Godimeche di svariate misure che la Saint-Ange tiene nel cassetto del letto.
Insomma, è uno di quei personaggi che spesso nei suoi racconti il marchese chiama “fottitori”. Ma nell’economia del racconto, alla fine, se ne potrebbe benissimo fare a meno o sostituirlo con uno di quei strumenti di cui ho scritto sopra. Che probabilmente non se ne accorgerebbe nessuno.
E questo lo si intuisce più avanti nel racconto quando Dolmancé lo invita ad uscire di scena sottolineando che di lui per ora non c’è più bisogno.
È il momento dove entra in scena quella che secondo me è il culmine della filosofia libertina nel racconto che cerco di spiegarvi.
È il momento in cui Dolmancé spiega ad Eugénie, e a noi, quello che nella Filosofia nel boudoir si può intendere come il libro nel libro. Il cuore politico della Philosophie, cioè il pamphlet (opuscolo) ”Francesi, ancora uno sforzo se volete essere repubblicani.”
In questo capitolo (il libro nel libro) c’è il cuore politico del divin Marchese.
L’invito alla Francia ad essere repubblicana fino in fondo, secondo la perversa dottrina di De Sade. A schiacciare sotto i piedi della ragione illuminista che vuole tutti gli uomini liberi e uguali l’ignobile feccia rappresentata dal potere dei re e del clero.

Ma torniamo a quello che sottolineavo con Augustin, cioè l’atteggiamento spesso contraddittorio che ha de Sade nei suoi proclami.
Da una parte invita all’eguaglianza e alla libertà dell’individuo nella società ma con il servo della Saint-Ange si comporta nel modo opposto. Facendolo uscire di scena perché i discorsi troppo filosofici di Dolmancé non devono essere ascoltati da orecchio plebeo.
“Sto per proporvi grandi idee che se verranno ascoltate avrò contribuito al progresso dei lumi e ne sarò pago.”
Ma i lumi hanno accecato de Sade e la sua politica distorta contraddittoria sta tutta in quella decina di pagine che formano il Pamphlet.
Una società, quella descritta da Sade per bocca di Dolmancé, dove tutto è letto al rovescio.
Il principio di rovesciamento, provocatorio e mostruoso, è l’unica coerenza nelle opere di Sade.
Emanando un nuovo codice (il pamphlet) dove ci sia libertà di sanzione per il reato di calunnia, di furto, di incesto, stupro, prostituzione, adulterio, sodomia e omicidio.
Ma come ho scritto, de Sade è contraddizione e nel suo opuscolo contenuto nella Filosofia del boudoir si combatte la pena di morte e poco dopo si celebra l’assassinio. Si magnifica la rivoluzione solo per svelarne le atrocità, è così via.
“Sade, figlio dei lumi, portò la sua torcia filosofica su abissi che per tacito consenso non si dovevano rischiarare, con un effetto accecante che non gli fu perdonato”.
L’illuminismo che abbraccia attraverso questo suo scellerato filosofo la follia. Ragione è pazzia.
E torniamo infine al settimo e ultimo capitolo della Filosofia.
Dopo tutte le dissolutezze, esternazioni filosofiche, quadri lussuriosi perpetrati dai nostri quattro eroi, entra in scena l’odiata virtù, rappresentata dall’altrettanto odiosa madre di Eugénie: Madame de Mistival, giunta a casa della Saint-Ange con l’intenzione di portarsi via Eugénie.
Odiata da quest’ultima poi, e se leggerete l’opera di Sade vi assicuro che non sarà tanto simpatica nemmeno a voi, mes amies.
Il vizio che vince sulla virtù. È questa la morale costante in Sade e alla madre di Eugénie non vengono risparmiati gli stessi trattamenti che i libertini avevano riservato alla figlia.
Ma da parte della poveretta il coinvolgimento sarà diverso.
Capovolta ancora la morale finale, con virtù punita e malvagità trionfante: “La giustizia divina rimarrà sorda alla tua supplica d’aiuto come lo è alla voce di tutti gli uomini; mai la potenza dei cieli si è interessata alla sorte di un culo” dice Dolmancé torturando Madame de Mistival.
Alla fine, la sfortunata donna viene mandata via intimata da Dolmancé di tenere cucita la bocca riguardo le inclinazioni libertine che sua figlia vorrà intraprendere e di non intromettersi mai più, altrimenti la prossima volta non saranno così clementi nei suoi confronti.
Per la verità, di cucito la donna tiene altre parti del corpo meno nobili che la bocca. E il racconto finisce con la donna che si allontana in carrozza e Dolmancé che invita suoi compagni a cenare per poi tornare di nuovo assieme nello stesso letto.
“Ecco una bella giornata (tutto si è svolto nell’arco narrativo di tre ore)! Non mangio mai così bene, non dormo mai così tranquillo come nelle giornate in cui mi infango in quelli che gli sciocchi chiamano crimini”.


* * *


L'autore del guest post che avete appena letto è Max, non un blogger ma un utente che, forse proprio per questo motivo, è solito lasciare commenti lunghi e articolati sui blog che frequenta. A volte sarei quasi tentato di definirlo un tuttologo, ma in realtà non lo conosco ancora abbastanza per decidermi in merito (e neanche poi è detto che uno come lui appartenga al regno del conoscibile). Max non è in ogni caso un completo esordiente, perché già autore di una recensione cinematografica per il blog Il buio in sala, che naturalmente invito anche voi a leggere (basta cliccare sul nome del blog evidenziato in blu e finite dritti sulla pagina della rece).

Devo poi aggiungere che tutte le immagini che trovate a corredo di questo articolo (compreso questa a lato) non sono state scelte da me bensì da Max in persona, e poiché lui, in occasione di un nostro scambio epistolare, mi ha anche richiesto esplicitamente di fare una precisazione al riguardo, credo non gli dispiaccia se copio-incollo qui di seguito un frammento di una sua e-mail in cui dice la sua a proposito delle immagini e del film, L'educazione sentimentale di Eugenie, da cui sono tratte:
Ho scelto le immagini di quel film perché son belle e in un certo senso trovo che alleggeriscano il contenuto di quello che ho scritto. Ma sinceramente non consiglierei a nessuno di andarlo a guardare.
L’educazione sentimentale NON è la Philosophie... assolutamente.
Questo vorrei fosse chiaro a chi leggerà ciò che ho scritto.
E mi pare che così sia abbastanza chiaro.
Ma non finisce neanche qui, perché il mio prossimo intervento, previsto per mercoledì 17 o giovedì 18 (i post nello Speciale si susseguiranno al ritmo di uno ogni due-tre giorni) sarà una specie di appendice a questo post in cui spenderò a mia volta due parole, oltre che su La filosofia nel boudoir, anche sul film citato. Invito così tutti a presenziare all'appuntamento, oltre che, chi volesse, a scrivere e inviarmi un articolo di argomento sadico o sadiano, dato che un paio di seggi del mese di novembre continuano a risultare vacanti. Dopotutto, non c'è neanche grande bisogno di correre, basta che il testo sia pronto per fine ottobre.     

The Pleasure of Pain II: L'educazione sentimentale nel boudoir

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Come avevo anticipato nella mia "postfazione" al post da lui scritto in qualità di primo ospite dello Speciale, questo mio intervento odierno si pone nella scia dell'articolo di Max sul romanzo di Sade La filosofia nel boudoir. Non voglio però cominciare dal libro, ma bensì dal film a esso ispirato, L'educazione sentimentale di Eugenie, le cui immagini, dopo aver fatto da accompagnamento al testo dell'articolo, hanno finito per suscitare in vari commentatori quasi altrettanta curiosità del libro. E comincio col dire che comprendo perfettamente il punto di vista di Max, quando scrive che L'educazione sentimentale di Eugenie NON è La filosofia nel boudoir. Come del resto puntualizza lo stesso regista Aurelio Grimaldi, nei titoli di apertura del suo film, definendolo solo liberamente ispirato al testo di Sade - dettaglio, questo, che è tutto fuorché un'eccezione alla regola, con i film tratti dalle opere del Marchese.
Verrebbe così spontaneo trovarsi d'accordo con Roland Barthes, convinto assertore della non rappresentabilità di Sade su schermo, se solo lui non avesse ribadito il concetto* anche a proposito dell'unico film dell'intera storia del cinema che secondo me testimonia del contrario, cioè di Salò o le centoventi giornate di Sodoma di Pier Paolo Pasolini. E anche stavolta si tratta di un "liberamente ispirato", a dimostrazione che non è questa la vera discriminante. La differenza con tutti gli altri registi è che Pasolini è riuscito a mantenersi allo stesso livello di Sade e a tradurre così, senza tradimenti, un libro "illeggibile" in un film "inguardabile". Mi sento in effetti così sicuro di ciò da poter affermare di aver avuto finora occasione di vedere - nel mio ormai lunghissimo pellegrinaggio di cinefilo - oltre a tutti i film ispirati alle opere di Sade su cui io sia riuscito a mettere le mani, molti film sadici, ma un solo e unico film sadiano, che è appunto il Salò di Pasolini.
Quel che fa invece Grimaldi con la sua Educazione sentimentale è di rendere quasi soave un'opera che è, tra quelle capitali di Sade, forse la più lieve, perfino percorsa com'è per lunghi tratti da una corrente di Joie de vivre rarissima nel tormentato scrittore, e la più abbordabile. Ne risulta un film che riproduce con scansione cronometrica le vicende del libro senza però che questo ne aumenti di un grammo la garanzia di autenticità.
Se poi dovessi anche dire, per gioco, di tre difetti del film da un lato e tre pregi dall'altro, metterei nella prima categoria: 1) la prova di recitazione di almeno parte del cast, che sembra spesso scordarsi di essere dentro un film e non sulla scena di un teatro, 2) la mano tutt'altro che salda del regista nella direzione dei suoi attori, 3) una Sara Sartini che appare più dubbiosa del suo ruolo di Eugénie che delle lezioni del libertino Dolmancé; mentre tra i pregi elenco senz'altro: 1) la grande cura profusa nell'allestimento scenico, 2) una luminosa Antonella Salvucci nel ruolo della marchesa di St. Ange, 3) una colonna sonora da brividi e pure molto ben utilizzata nell'economia del film, composta quasi interamente di brani di musica barocca.
Nel ruolo di titolare della colonna sonora figura in realtà Maria Soldatini, che si limita però a reinventare per il film le Suite per liuto di Bach, mentre il resto delle musiche comprende estratti da Le quattro stagioni (Estate) e dal Lauda Jerusalem di Vivaldi; estratti dagli oratori Solomon (L'arrivo della regina di Saba) e Israel in Aegypto (He smote all the first born of Egypt) di Händel; il celeberrimo Rondò "Alla Turca" di Mozart e, per finire, l'Adagio del Concerto per tromba in Re Maggiore n°1 di Telemann, un brano musicale che molti di voi probabilmente già conoscono senza saperlo, nella versione proposta da un noto cantautore nostrano attraverso una delle sue più belle canzoni. Se guarderete/ascolterete il breve estratto video che vi propongo adesso, credo che non farete nessuna fatica a riconoscere di chi e cosa sto parlando.




Ma voglio anche proporvi un secondo video, stavolta con la parte di film, vicina al finale, in cui Dolmancé (l'attore Valerio Tambone) legge dei passi dal pamphlet rivoluzionario "Francesi, ancora uno sforzo se volete essere Repubblicani", inserito da Sade in forma di libro nel libro all'interno de La filosofia nel boudoir.




Con il suo invito alla libertà dei costumi sessuali, alla parità di genere e con il suo pacifismo a oltranza, il pamphlet non mancò di esercitare il suo fascino, quasi due secoli dopo, sugli attivisti del maggio francese, che se anche non potevano accettare parola per parola il dettato di Sade ne esaltarono tuttavia lo spirito di uomo libero.
Del resto, che la figura di Sade sia da collegarsi agli eventi della rivoluzione, quella ufficiale del 1789, è certo, almeno per quel che riguarda l'evento circoscritto della caduta della Bastiglia, evento in cui lui giocò un ruolo non secondario. Sebbene Georges Bataille non abbia neanche mancato di portare l'attenzione, ne La letteratura e il male, sull'elemento di casualità, di capriccio, insito in un simile collegamento tra un particolare momento della vita di un uomo e delle idee che fino a un momento prima non assomigliavano davvero alle sue:
Il senso della rivoluzione non è espresso nelle idee di Sade; le sue idee non possono essere riportate in alcun modo alla rivoluzione. Queste e la rivoluzione si collegano piuttosto come gli elementi disparati di una figura compiuta, come ad una rovina si collegano delle rocce, o al silenzio la notte.**

Eppure Sade aderì in piena coerenza con le sue idee, se non proprio alla Rivoluzione, almeno agli eventi rivoluzionari. Insofferente verso ogni abuso di potere perpetrato dalle classi elevate ai danni del popolo, salutò con fervore sotto ogni apparenza sincero la caduta dell'Ancien Régime, convinto com'era, in perfetta antitesi a quel che faceva professare ai grandi libertini delle sue opere, che gli oppressi debbano alfine sempre rovesciare la loro sorte e prevalere sui propri oppressori. Ma, ironia della sorte, Sade, che il 2 luglio dalla sua cella, con un megafono improvvisato, aveva sobillato la folla davanti alla Bastiglia gridando, fra le altre provocazioni, che si stavano sgozzando dei prigionieri, non fu tra coloro che la caduta della fortezza-prigione rese uomini liberi. Il governatore M. de Launay si affrettò infatti a richiedere al ministro della giustizia il trasferimento di Sade all'albergo dei pazzi di Charenton, trasferimento che fu eseguito il 4 luglio, dieci giorni prima della presa della Bastiglia.
Ma la cattiva sorte non si limitò neanche a questo e riservò a Sade un trattamento ai suoi occhi forse perfino peggiore. Durante il saccheggio della Bastiglia i manoscritti del marchese, rimasti nella sua cella, andarono dispersi, compreso quello, il più prezioso di tutti, de Le centoventi giornate di Sodoma. Lo trovò e lo raccolse uno tra i tanti curiosi che si misero a frugare tra gli oggetti ammucchiati alla rinfusa nel cortile della Bastiglia, un benefattore dell'umanità di cui non sapremo mai il nome. Da allora, di quel manoscritto non si seppe più niente fino ai primi del '900, quando fu fortunosamente ritrovato negli scaffali di una libreria antiquaria tedesca. Sade morì senza mai sapere nulla neanche del primo ritrovamento, dopo aver versato lacrime di sangue sulla perdita, da lui creduta irrimediabile, di quella che sapeva essere, pur se ancora largamente incompiuta, la sua opera definitiva. Non provò a riscriverla, ma fece tuttavia il tentativo di sommare gli eccessi che vi erano contenuti alla storia della sua Justine, producendo come risultato il romanzo-fiume La nuova Justine. Ma qualcosa nel frattempo, forse una voce interiore che lo guidava, era ormai andata a sua volta perduta, e in questo caso davvero per sempre.


* * *


* In un articolo apparso su Le Monde in data 16 giugno 1976.

** Georges Bataille, La letteratura e il male. SE Edizioni, 1987; pag. 98. Trad. di Andrea Zanzotto.

The Pleasure of Pain II: Il mal d’aurora, ovvero il disfacimento della morale secondo Lautréamont [T.O.M.]

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Io faccio in modo d’usare il mio genio per dipingere le delizie della crudeltà!
Voglia il cielo che il lettore, fatto ardito e un po’ feroce come ciò che leggerà, trovi speditamente l’erta e selvaggia via nella palude atroce di queste cupe pagine, colme di malsania.¹
Aria. Quasi mi manca l’aria. Una sensazione di violenza psicologica mai provata prima. Asfissiante. Ossessiva. Opprimente. Sono settimane ormai che vivo dentro questa gigantesca bolla che comprime letteralmente il mio corpo e soffoca il mio spirito in un’atmosfera di terrore. L’idea che malauguratamente mi è balzata in mente per onorare lo speciale ottobrino di Ivano Landi ne è stata cagione. Ma ormai non posso più tirarmi indietro. Potrei voltare le spalle a ciò che ho visto, ma sarebbe ormai troppo tardi. Non si torna indietro dopo aver guadato l’infernale fiume che bagna Babilonia, la grande prostituta, madre di abomini e di lordure!²
Nevrotico. Isterico. Scrivo e cancello subito via gli interminabili refusi. Sembra quasi che qualcuno si diverta a confondermi. Ma la realtà è che è tutto nella mia mente, in quell’enorme bolgia che è la mia mente. Come dite? Che tipo di droga mi sono preso? Nessuna. Assolutamente nessuna. E adesso potete anche spedirmi al sanatorio. Speranza, piange disfatta, e Angoscia, dispotica e sinistra, pianta sul mio cranio riverso la sua bandiera nera.³
Dicono che il cervello sia in grado di produrre delle endorfine in grado di simulare gli stessi stati di euforia o di sonnolenza di certi alcaloidi. Probabilmente è vero. Anzi, lo è sicuramente. Viceversa non si spiegherebbero gli orgasmi. Viceversa non si spiegherebbe ciò che scrivo.
Leggere, scrivere. Sono le due incognite di questa mia stessa fallimentare equazione. Arduo scrivere e leggere di colui di cui non si sa nulla, morto ventiquattrenne lasciando un solo libro. E che libro! Una vertigine infinita! Altro che Hoffman! Altro che McKenna!
Immergersi nelle morbose pagine di quel poema in prosa, così brutalmente imbevute di maledettismo rimbaudiano, il cui titolo richiama, se letto alla francese, quel “mal d’aurora” di vampirica memoria, è un’esperienza che può devastare o esaltare. Dipende tutto dalla prospettiva. O appunto dall’umore che solo le prime luci del giorno, quelle che precedono il crepuscolo del mattino, possono spostare da una parte all’altra come un interruttore. Vi è mai capitato di chiedervi se tutto ciò che percepiamo è reale? Se ciò che definiamo bene è bene e se ciò che definiamo male è male? La differenza è sarcasticamente sottile. Specie se siete voi il Male. Specie se siete voi Satana. Specie se siete voi la bella donna il cui nome è Prostituzione o se siete voi la Bestia che ricevette potere, trono e prestigio e il cui nome si può tradurre nella misteriosa cifra umana 666.
O forse più semplicemente il Male sono io, il lettore, lo scrittore, il blogger che dall’alto del suo sentenziare non fa altro che aggredire, puntare il suo dito accusatore sul suo prossimo, su chi s’interpone tra sé e la soddisfazione dei suoi desideri, su Dio e sugli uomini, indifferentemente. Proprio come fece Maldoror.


Becchino, è bello contemplare le rovine delle città; ma è più bello contemplare le rovine degli uomini!

È tempo di stringere il freno alla mia ispirazione e d’attardarmi un momento per strada come quando s’osserva la vagina di una donna. Occorre esaminare il cammino percorso per poi slanciarsi, a membra riposate, con un balzo impetuoso.
Sono convinto che, al pari del sottoscritto, siano in molti ad aver sentito nominare per la prima volta il Conte di Lautréamont, pseudonimo di Isidore-Lucienne Ducasse, una dozzina di anni fa, in occasione dell’uscita del primo “Misteri d’Italia”, il celebre dossier allegato al magazine cinefilo Nocturno. Naturalmente, in tale contesto il poeta francese veniva citato solo come autore dei versi che ispirarono l’omonimo film perduto di Alberto Cavallone, il surrealista che tentò di essere più surrealista di Buñuel. Non sono invece certo che siano in molti quelli che hanno tentato di scoprire cosa davvero si cela dietro l’altro grande mistero, ben più grande di quello che avvolge una pellicola che solo pochi eletti hanno visto.
È il mistero Ducasse, il mistero di colui che, insieme a De Sade, ha inferto i più gravi danni all’edificio della letteratura occidentale, ispiratosi in parte all’Apocalisse ma anche, come lui stesso riferisce (in una lettera all’editore Verboeckhoven), agli scritti di Adam Mickiewicz, Lord Byron, John Milton, Robert Southey, Alfred Louis Charles de Musset-Pathay e Charles Baudelaire, tutti autori che già prima di lui avevano “cantato il Male” per indurre l’uomo al bene.
E mai nessuno prima di Lautréamont aveva personificato la malvagità con tale enfasi. E mai nessuno lo avrebbe fatto dopo di lui, nonostante siano passati sei quarti di secolo da quel 1868 che vide il poeta trasferirsi a Parigi e dare alle stampe, come anonimo, il primo canto di Maldoror.
Un essere sadico e impietoso senza alcun freno, che si rivolge con inaudita violenza verso il suo prossimo, chiunque esso sia, senza distinzioni di età, sesso e natura. Egli dispiega per centinaia di pagine la sua furia smisurata, il suo odio contro Dio e contro gli uomini. Egli brama il disfacimento e da esso trae soddisfazione.
Razza stupida, idiota, ti pentirai di comportarti così. Te lo dico io. Te ne pentirai, stai certa che te ne pentirai! La mia poesia sarà solo per attaccare, con ogni mezzo, l’uomo, questa bestia feroce, e il Creatore che non avrebbe dovuto generare una simile canaglia. I volumi s’ammucchieranno sui volumi, sino al termine della mia vita, e tuttavia non si vedrà, in essi, che quest’unica idea sempre presente nella mia coscienza.

Da dove può venirmi questa profonda ripugnanza per tutto ciò che è umano?
Ma chi è quell’essere sadico e impietoso? In un certo senso è lo stesso Lautréamont, il narratore, colui che riferisce gli avvenimenti di cui in prima persona è artefice, e che si cala manifestamente nei panni del suo personaggio. Ma in un batter di ciglia il narratore e il suo personaggio si scindono; il primo fa un passo indietro, e cessa di identificarsi con quell’essere sadico e impietoso. Un altro batter di ciglia e il personaggio cessa di essere artefice e diviene un semplice testimone. C’è un continuo e inafferrabile alternarsi di identità da una pagina all’altra e spesso all’interno della stessa pagina. Non è accidentale, come qualcuno potrebbe speculare, bensì surreale, che poi è la cifra stilistica che rende Ducasse così unico.
Ma chi è quell’essere sadico e impietoso? Un uomo, un mostro, un vampiro. Ecco, forse vampiro potrebbe essere la descrizione più pertinente. Sarà per via della fissazione per il sangue, sarà per via del candore della pelle. Sarà per via della ferocia. Ma anche un vampiro, prima di essere un mostro, è stato anch’esso un essere umano. E cosa c’è di più umano del voler provare a raccontare l’orrore di una società ipocrita e bestiale? L’opera di Ducasse, nel suo complesso, fu una radicalizzazione del concetto della “morte di Dio”, e contemporaneamente una spietata critica alla società borghese in disfacimento della seconda metà dell’Ottocento. E se tutto ciò era vero nel 1868, allora lo è ancor di più oggi.
Nei suoi primi anni, quando viveva felice, Maldoror fu buono. Straordinaria fatalità, s’accorse dopo d’essere nato cattivo? Celò il suo carattere per moltissimi anni e finché gli fu possibile; però alla fine, a causa di tanta concentrazione, per lui innaturale, ogni giorno il sangue gli montava al cervello; finché, non potendo più sopportare simile esistenza, si gettò senza indugi sulla via del male… dolce soluzione!
Chi di noi può affermare di non essere nato e cresciuto nella totale fiducia in Dio e nel genere umano?  E chi di noi può affermare di non essersi mai sentito tradito da entrambi? C’è sempre un’età in cui la prospettiva cambia, drasticamente o progressivamente, e iniziamo a provare odio. Il male, l’odio, sono quindi ben lungi dal poter essere considerati la nostra originale passione e proprio questo, il dolce ricordo di quel miltoniano paradiso perduto, che ci monta al cervello, ci spinge a eccessi furiosi verso Dio e verso gli uomini.
E non è strano che in questo opinabile discorso io abbia voluto infilarci Dio, pur senza arrivare agli estremi maldororiani in cui l’essere supremo, colui che si fa chiamare Creatore, non sarebbe altro che un antropofago seduto su un trono fatto di merda umana e oro, il corpo ricoperto d’un sudario fatto con sudicie lenzuola d’ospedale, in mano il torso putrefatto di un uomo morto e tra i piedi una pozza di sangue ribollente. In fondo, non siamo forse noi stessi i primi ad attribuire a Dio le nostre fortune? Perché quindi non attribuirgli anche le sfortune? O per quest’ultime pesano solo i nostri peccati? E che dire dei cinghialetti dell’umanità?


Sazio di uccidere sempre, ormai continuavo a farlo per semplice abitudine.

Chi mai capirà perché assaporiamo non solo le ordinarie disgrazie dei nostri simili, ma anche quelle particolari degli amici più cari pur essendone al tempo stesso dispiaciuti? Un incontestabile esempio per chiudere i conti: l’uomo dice ipocritamente di sì, e pensa no. 
C’è un gusto quasi sadico nell’osservare il nostro vicino di casa o di scrivania e sperare che qualcosa gli vada storto. In fondo anche questa è una vecchia storia. Non siamo capaci di lavorare su noi stessi per migliorarci e sguazziamo nella nostra mediocrità fingendo sia un’eccellenza. Tanto, il mondo è fatto di poveri idioti che non siamo noi. È la stessa logica per cui, quando andavamo a scuola, c’era chi chiedeva agli insegnanti di abbassare i voti dei compagni. Ed è la stessa logica per cui riceviamo maggior piacere dalla cazziata al collega di quanto ne riceviamo da una pacca sulla spalla. Entrambe le cose contano niente, nel nostro piccolo mondo.
Se uno dei tuoi compagni ti offendesse, tu non saresti felice di ucciderlo? - Ma è proibito! - Non quanto credi. Si tratta solo di non lasciarsi arrestare. La giustizia espressa dalle leggi vale niente; ciò che conta è la giurisprudenza dell’offeso.
Ma chi è quell’essere sadico e impietoso? Non certo Maldoror, che, ormai dovremmo averlo capito, non è altro che un grande inganno. E che ne è del mistero Ducasse? Nessun mistero: è solo l’inganno dello specchio, quello dove osserviamo il male dimentichi che nell’immagine che esso ci rimanda ci siamo noi stessi. Maldoror è più spesso passività sofferente, non è affatto quell’efferato sadico che avevamo in mente. Maldoror prova moti di pentimento per le sue azioni. Bestemmia e si mortifica. Compie atti osceni e malvagi e se ne dispiace. Noi abbiamo mai provato pentimento? Molto meglio voltare le spalle e voltare pagina. In fondo siamo giudicati da leggi scritte da furbetti come noi, che si guardano bene dal darti la precedenza alle rotonde, che si guardano bene dal fare la differenziata, che si guardano bene dal tenerti aperto il portone quando stai arrivando di corsa urlando e sbracciandoti, magari arrancando fradicio sotto la pioggia.
Aria. Quasi mi manca l’aria. Una sensazione di violenza psicologica mai provata prima. Asfissiante. Ossessiva. Opprimente. Ormai non posso più tirarmi indietro. Non si torna indietro dopo aver gettato lo sguardo oltre l’infernale cristallo che riflette Babilonia, prostituta madre di abomini e di lordure! 


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Note bibliografiche


¹ Lautréamont, Canti di Maldoror, © 2010 Barbès Srl, pp. 252, ISBN 9788862941235

² Liberamente tratto dal libro dell’Apocalisse, 17:6

³ «L'Espoir, Vaincu, pleure, et l'Angoisse atroce, despotique, Sur mon crane incline plante son drapeau noir.» (Spleen, Les Fleurs du mal, Charles Baudelaire, Paris, 1840)

 Carmine Mangone, Maldoror e la verità pratica, (cc) Ab imis, Laureana Cilento (SA), 2017, pp. 92, ISBN 9780244022273.

 Per una descrizione fisica di Maldoror si faccia riferimento a questo curioso passaggio che, forse solo per un caso fortuito, richiama alla mente la Kuchisake-Onna del folclore giapponese: «Ho preso un coltello dalla lama affilata e mi sono tagliato le carni nei punti dove le labbra s’uniscono. Per un momento, ho creduto d’avere raggiunto il mio scopo. Ho guardato in uno specchio la mia bocca, che mi ero straziata! Fu un errore! Perché il sangue che colava copioso da due ferite non faceva distinguere se quello fosse davvero il riso degli altri. Però dopo alcuni momenti di confronto, ho visto bene che il mio riso non somigliava a quello degli esseri umani: io cioè non ridevo.»

 Federico Pastore, Genio e follia: il caso Lautréamont, © Il vaso di Pandora: dialoghi in psichiatria e scienze umane (vol. XVIII, n. 1, 2010).

⁷ Maurice Blanchot, Lautréamont e Sade, © 2003 SE srl, pp. 208, ISBN 9788867233625

* Tutte le immagini di accompagnamento all'articolo sono opera di Santiago Carusoe sono tratte da: Conde de Lautréamont, Los cantos de Maldoror. Valdemar Edición, Colección Gótica n. 100; 2016, pp. 432, ISBN: 97884-7702-819-2


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Prima o poi doveva accadere in questo Speciale. Di accostare Lautréamont a de Sade, intendo dire. I due autori cioè, che nelle parole citate dall’autore di questo post, hanno “inferto i più gravi danni all’edificio della letteratura occidentale”. Nulla di simile era mai esistito prima di loro. E neanche dopo, per la verità, come se le loro opere avessero davvero posto dei segnali di limite, delle pietre di confine, ma sul bordo di qualcosa al di là del quale non vi è alcuna Terra Incognita da esplorare, bensì un puro insondabile Abisso. Che poi, a fare questo accostamento, sia stato proprio TOM di The Obsidian Mirror, l’ideatore in primis di The Pleasure of Pain, non mi ha affatto sorpreso. (Vi invito a leggere, se non l’avete ancora fatto, i post del primo ciclo dello Speciale a cominciare, naturalmente, dall’introduzione: Il piacere della sofferenza). Mi ha semmai sorpreso, in positivo, la forma con cui TOM ha scelto di proporcelo, a metà tra l’analisi e il racconto, con quegli echi kafkiani che sembrano connaturati alla sua particolare verve narrativa e sono la sua firma ogni volta che lui dà briglia sciolta alla sua creatività. Ho così ragione di credere che anche voi abbiate apprezzato, altrettanto di quanto l’ho apprezzata io, questa sua singolarità di esposizione.


Lo stesso TOM poi, insieme al testo dell’articolo, mi ha anche passato in allegato due immagini. Alla fine, come avete potuto constatare, ci siamo accordati su altre immagini, più strettamente collegate all’opera di Lautréamont, ma ho deciso di approfittare dello spazio di questa mia post-fazione per presentarvele ugualmente.

La prima, relativa al film Ichi the Killer (Koroshiya 1) di Takashi Miike, è quella che vedete riprodotta subito sopra. L'altra, proposta qui a lato, mostra invece una figura del folclore giapponese chiamata Kuchisake-Onna (vedi, più in alto, la nota bibliografica n. 5). Io, che sono (o meglio ero) totalmente ignorante in materia, non ho nulla di mio da aggiungere, ma sul secondo soggetto vi invito a leggere questo antico post del blog The obsidian MirrorKuchisake-Onna, mentre sul primo ad attendere semplicemente l'arrivo della sezione novembrina di questo Speciale, più esplicitamente dedicata alla settima arte. Lì avrete tutte le risposte che potete desiderare, e per di più da uno dei pesi massimi in fatto di cinema. Quindi, keep your eyes open, boys and girls! O, detto in altri termini, state in campana, gente! [I. L.]

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