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Max Ernst, Napoleon in der Wildnis (1941) |
Nel suo libro Le Marquis de Sade et sa complice ou Les revanches de la Pudeur (ed. it. Scritti inediti sull'opera di Sade, Longo, 1992), il critico letterario Jean Paulhan (1884-1968) così scrive:
Se Justine ha meritato d'essere la bibbia - almeno in una determinata epoca della loro vita - di Lamartine, di Baudelaire e Swinburne, di Barbey d'Auriville e di Lautréamont, di Nietzsche, di Dostoïevsky e di Kafka (o, su un piano leggermente diverso, di Ewerz, di Sacher-Masoch e di Mirbeau) è perché questo strano benché apparentemente semplice libro, che gli scrittori del XIX secolo hanno passato il loro tempo - senza quasi mai nominarlo - a esaltare, a mettere in pratica, a rifiutare, pone una domanda così fondamentale che non sono bastate le opere di un intero secolo a dare una risposta...*
Paulhan evidenzia quindi la realtà di un'influenza diretta dell'opera di de Sade su quella di Lautréamont, nonostante sia poi lui stesso a valutare l'uno e l'altro nei termini di scrittori "primitivi", nel duplice senso di "privi di antecedenti" e di primi esploratori di una "intera provincia del regno dell'uomo". Una condizione, del resto, quest'ultima, che Sade aveva ascritto a sé in piena coscienza, consapevole com'era che nessuno degli autori che avevano affrontato il suo stesso genere di tematiche si era mai spinto così lontano e così in profondità a scandagliare le regioni più oscure della natura umana.
E' d'altronde vero che non sono solo le opere dei due scrittori a presentare delle affinità, ma le loro stesse parabole letterarie, pur negli evidenti limiti imposti dalla grande differenza di durata delle rispettive esistenze e dalla conseguente gran diversità di numero di opere comprese nelle loro bibliografie: settantaquattro anni di vita e una produzione letteraria sterminata per Sade, ventiquattro anni e un paio di opere appena per Lautréamont.
Intenzionati entrambi a tendere fino agli estremi limiti del possibile gli angoli della rete dei loro pensieri, così da non lasciare nulla di taciuto di ciò che è dicibile, ma anche decisi ad assestare un colpo mortale a ogni pretesa di ordine e di limite, al livello dell'individuo come della società, hanno entrambi concluso la loro carriera di scrittura con un'opera di riparazione, seppur vistosamente ambigua, verso tutto quel che avevano messo per iscritto in precedenza.
Con la voce e la solennità dei grandi giorni, io ti richiamo ai miei deserti focolari, gloriosa speranza. Vieni a sederti accanto a me, avvolta nel manto delle illusioni, sul tripode ragionevole dell'acquietamento. Come un mobile di scarto, t'ho scacciata dalla mia dimora, con uno scudiscio dalle code di scorpioni. Se desideri ch'io sia persuaso che hai dimenticato, tornando da me, i dispiaceri che, sotto l'indizio dei pentimenti, t'ho causato un tempo, perbacco, riporta allora con te, sublime corteo, - sorreggetemi, svengo! - le virtù offese, e le loro imperiture riparazioni.
Questa è la voce di Isidore Ducasse, ex Conte di Lautréamont, in un passo di Poesie, opera tesa a correggere, nelle intenzioni palesate dal giovane scrittore, non solo alcuni punti della sua opera precedente (I Canti di Maldoror) ma anche i "gemiti poetici" del suo secolo, che altro non sono, nelle sue parole, che "orridi sofismi".
Quello che segue ora è invece il Marchese de Sade, nell'introduzione a La Marchesa di Gange, ultima sua opera pubblicata con lui in vita, nel 1813, cioè l'anno prima della morte:
Quello che segue ora è invece il Marchese de Sade, nell'introduzione a La Marchesa di Gange, ultima sua opera pubblicata con lui in vita, nel 1813, cioè l'anno prima della morte:
E' troppo doloroso mostrare che un crimine rimane impunito, perché noi non correggessimo in qualche modo il destino, sicuri soprattutto di far piacere alle persone timorate e oneste. Esse ci saranno grate di non aver osato dire tutto, proprio per non far vacillare la speranza così consolante che coloro che insidiano la virtù finiscano a loro volta per essere infallibilmente puniti.
La correzione del destino a cui si riferisce in questo caso Sade è rappresentata da una variazione nel finale del fatto storico, reale, da lui rielaborato ne La marchesa di Gange. Mentre infatti, nella realtà storica, uno dei due attentatori alla virtù della marchesa, l'abate di Gange, muore tranquillamente di vecchiaia, e addirittura in odore di santità, lo scrittore lo fa morire sotto i colpi di un pugnale vendicatore.
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Max Ernst, La tentation de Saint Antoine (1945) |
Ma se ho voluto accostare queste due citazioni è anche perché in entrambi trovano posto le parole "speranza" e virtù". E, almeno nel caso di quest'ultima, nel contesto di frasi di analogo significato.
Sade non era del resto neanche nuovo a simili esternazioni, come dimostra, per esempio, ciò che aveva scritto, oltre un decennio prima, a premessa de I criminali dell'amore:
Sade non era del resto neanche nuovo a simili esternazioni, come dimostra, per esempio, ciò che aveva scritto, oltre un decennio prima, a premessa de I criminali dell'amore:
Educare l'uomo e correggere i suoi costumi, questo è il solo scopo che ci siamo proposti con questi racconti. Che la loro lettura persuada della grandezza del pericolo che è sempre presente sotto i passi di coloro che credono di permettersi di tutto per soddisfare i loro desideri! Possano essi convincersi che la cultura, la ricchezza, le doti intellettuali e i doni di natura rischiano di portare fuori strada quando non siano sorretti e messi in valore dalla modestia, dalla buona condotta, dalla saggezza e dalla prudenza: queste le verità che vogliamo dimostrare. Ci perdoni il lettore i mostruosi dettagli degli spaventosi delitti di cui siamo costretti a parlare: d'altronde, come è possibile indurre a odiare simili traviamenti, se non si ha il coraggio di presentarli come sono?
Lo scusarsi della necessità di dover illustrare dettagli mostruosi per impartire lezioni di virtù era in realtà già da tempo un artificio usato da Sade, ma quella di questo esempio è, che io sappia, la prima volta in cui Sade premette alle scuse un'esplicita dichiarazione di voler correggere l'uomo e i suoi costumi. Ne La marchesa di Gange, però, il discorso si spinge ancora più avanti, e con l'eterno conflitto sadiano tra vizio e virtù ormai trasposto quasi interamente sul piano psicologico, è la necessità stessa dell'artificio della scusa a venir meno. La virtù continua sì ad essere sconfitta come prima, ma cambia la morale: dove una volta il vizio trionfava perché conforme alla verità naturale, adesso trionfa per puro arbitrio dell'uomo o della sorte. Ed è comunque ogni volta un trionfo parziale, poiché la virtù offesa, a differenza di prima, finisce vendicata sia ne I criminali dell'amore che ne La marchesa di Gange.
Identica tattica utilizzerà poi, mezzo secolo dopo, Lautréamont, nella corrispondenza da lui intrattenuta con l'editore parigino Auguste Poulet-Malassis (1825-1878) allo scopo di risolvere la situazione di stallo in cui versava la pubblicazione dei Chants de Maldoror. Lautréamont si era rifiutato di apporre al suo testo gli emendamenti richiesti dall'editore Albert Lacroix (1834-1903), cui il giovane scrittore aveva già versato un anticipo sulle spese di stampa), e Lacroix in risposta, temendone delle conseguenze legali, si rifiutava di mettere in vendita un'opera così estrema nei contenuti. Ecco allora cosa scrive, a sua giustificazione, Lautréamont a Poulet-Malassis, nell'ottobre del 1869:
Ho cantato il male come hanno fatto Mikiewicz, Byron, Milton, Southey, A. de Musset, Baudelaire, ecc. Naturalmente ho un po' esagerato il diapason per fare qualcosa di nuovo nel senso di quella letteratura sublime che canta la disperazione soltanto per opprimere il lettore e fargli desiderare il bene come rimedio.
E poi ancora, il febbraio successivo, con il perdurare dello stallo:**
Sapete, ho rinnegato il mio passato. Ormai non canto che la speranza; ma, per farlo, occorre innanzitutto attaccare il dubbio di questo secolo (melanconie, tristezze, dolori, disperazioni, nitriti lugubri, cattiverie artificiali, orgogli puerili, maledizioni risibili ecc., ecc.). In un'opera che porterò a Lacroix i primi giorni di marzo [le future Poésies] isolo le più belle poesie di Lamartine, Victor Hugo, Alfred de Musset, Byron e Baudelaire, e le correggo nel senso della speranza; indico come si sarebbe dovuto fare. Al tempo stesso correggo sei pezzi fra i peggiori del mio maledetto libro.
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Max Ernst, L'habillement de l'épousée (1940) |
Il "maledetto libro"è, naturalmente, I Canti di Maldoror. Personaggio di cui Lautréamont aveva descritto la malvagità e le scelleratezze esattamente come Sade aveva fatto con i suoi libertini filosofi.
Vi è in particolare un passo, nei Canti, in cui si accenna all'infanzia di Maldoror e alla sua successiva scoperta dei propri talenti in questi termini:
Stabilirò in poche righe che Maldoror fu buono durante i suoi primi anni, quando visse felice; ed è fatto. Egli s'avvide in seguito d'esser nato malvagio: straordinaria fatalità! Dissimulò il suo carattere finché poté, per un gran numero d'anni; ma alla fine, per via di questa concentrazione per lui non naturale, ogni giorno il sangue gli montava alla testa; sino al punto che, non essendo più in grado di sopportare una vita simile, si buttò volutamente nella mala carriera... dolce atmosfera!
Cioè in termini non troppo lontani da quelli di un passo de La nouvelle Justine in cui Sade così fa parlare il marchese de Bressac:
Credi forse che quand’ero bambino non avessi un cuore come il tuo? Ho lottato, ho elevato a princìpi i miei errori; e da quel momento ho conosciuto la felicità.
Bressac si rivolge in questo caso alla sua involontaria, e più che recalcitrante, allieva Justine, nel suo ennesimo quanto inutile tentativo di convincere la ragazza ad abbandonare le spine della virtù in favore delle rose del vizio. Sebbene infatti lo si possa considerare a tutti gli effetti la vera nemesi maschile della sventurata Justine (quella femminile è la Dubois), Bressac intrattiene al tempo stesso con la giovane donna un rapporto diverso da quello di tutti gli altri libertini che lei incontra sulla sua strada, fino a diventare una sorta di suo satanico angelo custode. Incapace di non provare, nel profondo del suo animo, una viva ammirazione nei suoi confronti, giunge anche a toglierla dagli impicci in almeno un paio di situazioni per lei ad altissimo rischio, mentre in una terza occasione arriva perfino a consigliarla sul modo di regolarsi con due libertini particolarmente pericolosi, Gernande e Verneuil, in questi termini:
...qualunque cosa capiti all'oggetto dei tuoi timori, bada di non parlarne a Gernande; il suo cuore di pietra è sordo agli slanci della sua generosità e potresti caderne vittima. E quando Verneuil arriverà, comportati bene con lui; sii gentile, premurosa, spiritosa; nascondi ogni stupido slancio del cuore. Gli parlerò bene di te; e l'averlo conosciuto potrebbe un giorno risultarti utile.
Fine della divagazione sui rapporti tra Justine e Bressac, che ci porterebbe troppo lontano approfondire oltre. Torniamo invece al nostro confronto letterario e, sempre indietreggiando, spingiamoci adesso fino ai rispettivi punti di partenza de I Canti di Maldoror e de Le centoventi giornate di Sodoma. Anche in questo caso è possibile intravedere delle analogie nel modo di porsi dei due scrittori, nei confronti stavolta del proprio pubblico ideale.
Cominciamo dall'avvertenza ai lettori inclusa da Sade nell'introduzione alle sue Giornate:
Amico lettore, è giunto il momento di predisporre il tuo cuore e il tuo spirito al racconto più impuro che mai sia stato narrato dall'inizio dei tempi, non esistendo un'opera simile a questa né tra gli antichi né tra i moderni. Immagina che ogni godimento onesto o prescritto da quella bestia di cui parli continuamente senza conoscerla e che chiami natura, che tali godimenti, ripeto, siano volontariamente esclusi da questo racconto, e se per caso ne troverai, questo accadrà unicamente perché saranno accompagnati da qualche delitto o qualche infamia. Senza dubbio molte delle deviazioni che vedrai descritte potranno rivoltarti, lo so, e però altre sapranno eccitarti fino a farti perdere sperma, ed è questo tutto ciò che ci serve. Se non avessimo detto tutto, analizzato tutto, come avremmo potuto intuire quel che ti conviene? Sta a te prenderlo, tralasciando il resto; un altro farà altrettanto; per cui, progressivamente, tutti potranno trovare ciò che a loro conviene.
Ed ecco adesso il corrispondente passo di Lautréamont, che altro non è che l'incipit del Canto Primo del Maldoror:
Voglia il cielo che il lettore, fattosi ardito e divenuto momentaneamente feroce al pari di ciò che legge, trovi, senza disorientarsi, la sua strada aspra e selvaggia, attraverso le paludi desolate di queste pagine oscure e pien di tosco; perché, a meno che non informi la sua lettura a una logica rigorosa e ad una tensione di spirito equivalente almeno alla sua diffidenza, i mortali effluvi di questo libro impregneranno la sua anima come l'acqua lo zucchero. Non è bene che tutti leggano le pagine qui seguenti; qualcuno soltanto gusterà senza pericolo quest'amaro frutto.
Lautréamont enfatizza com'è nel suo stile, mentre Sade lo fa solo in apparenza, quando in realtà enuncia un dato di fatto. In ogni caso usano entrambi, sebbene in modi opposti, uno stile parodistico: Lautréamont attraverso la pretesa di voler limitare la propria platea di lettori, Sade pretendendo di allargarla al mondo intero con la promessa che ciascuno nel suo libro troverà qualcosa che gli conviene. In quanto al resto... basta che lo tralasci. Come se con Le centoventi giornate di Sodoma questo fosse possibile!
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Max Ernst, L'oeil du silence (1944) |
Se poi infine, per chiudere in bellezza questo post, allungatosi ben più del previsto, volessi divertirmi a ricercare il miglior candidato ad antecedente diretto del personaggio Maldoror nelle pagine di Sade, allora rimarrei senz'altro nell'ambito delle Centoventi giornate, candidando il presidente de Curval, uno dei quattro reggitori della Scuola di libertinaggio presentata nel libro, e proponendo, a dimostrazione del perché della mia scelta, questo paio di estratti dalla lunga descrizione che Sade dà di lui:
Ormai prossimo ai sessant'anni, e straordinariamente consumato dalla dissolutezza, era pressoché ridotto a uno scheletro. Era alto, smunto, sottile, con due occhi incavati e spenti, una bocca livida e malsana, il mento prominente, un lungo naso. Villoso come un satiro, con la schiena piatta, le natiche molle e cadenti che parevano due luridi stracci abbandonati sulle cosce, aveva la pelle così indurita dalle frustate che si sarebbe potuto torcerla tra le dita senza che lui lo sentisse.[...]Curval era a tal punto immerso nel brago del vizio e del libertinaggio che gli era divenuto pressoché impossibile volgere ad altro il suo pensiero. Aveva sempre sulla bocca, come nell'animo, le espressioni più volgari, violentemente frammiste a bestemmie e imprecazioni dettate dalla più profonda ripugnanza che nutriva, a somiglianza dei confratelli, per tutto ciò che apparteneva alla sfera religiosa. Questo disordine mentale, accentuato dall'ebbrezza pressoché continua in cui amava rimanere, gli aveva conferito con gli anni un'aria di imbecillità e di ottundimento che a sentir lui era fonte delle più preziose delizie.
Certo Isidore Ducasse Conte di Lautréamont, non poteva sapere del grande romanzo incompiuto di Sade, il cui manoscritto, come ho scritto nel Terzo Capitolo di questa serie di post, era sparito dalla scena del mondo quasi un secolo prima. A meno che proprio lui, Lautréamont, non sia stato uno degli invisibili custodi che hanno traghettato l'opera creduta perduta dal XVIII al XX secolo. Ma naturalmente questo è solo materiale per uno di quei thriller ambientati nel mondo dei libri che vanno per la maggiore adesso...
* * *
* Traduzione dal francese: mia.
** Le Chants de Maldoror saranno messi in vendita solo nel 1874, come opera postuma.
- Tutte le citazioni da Lautréamont sono tratte da:
- Lautréamont, I Canti di Maldoror - Poesie - lettere. A cura di Idolina Landolfi. Edizioni BUR, 1995.
- Roberto Calasso, La letteratura e gli dèi. Adelphi, 2001.
- François de Sade: La Marchesa di Gange (vol. I). Editoriale Corno; collana I jolly n.6, giugno 1966.
- François de Sade: I criminali dell'amore. Editoriale Corno; collana I jolly n.9, luglio 1966.
- Sade, La nuova Justine. GTE Newton Compton editori, 1992.
- D.A.F. de Sade, Le centoventi giornate di Sodoma. ES, 1991.